|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
The Allman Brothers Band - Reach for the Sky
|
30/10/2016
( 2364 letture )
|
La Allman Brothers Band è un gruppo statunitense formatosi a Jacksonville, Florida nel lontano 1969 per merito dei due fratelli Duane e Gregg Allman, universalmente considerata la principale inventrice del cosiddetto southern rock, genere nato dalla miscela di vari generi e sottogeneri del blues, del country e del rock e per certi versi lontani precursori della nostra amata musica. Veri innovatori della musica rock degli anni '70 gli Allman Brothers Band hanno costruito il loro mito grazie alle prestazioni live ricche di improvvisazioni e complessi medley e non a caso due dei loro dischi di maggior rilievo sono proprio due live album: Live At Fillmore East del 1971 e Eat A Peach dell’anno successivo (per metà in studio). La band, molto prolifica all’inizio degli anni 70, subì una battuta di arresto che ne determinò lo scioglimento nel 1976 a cui seguì dopo poco una reunion nel 1978. La reunion del gruppo con l’album Enlightened Rogues raccolse un discreto interesse da parte del pubblico ma le buone vendite non bastarono a salvare dal fallimento l’etichetta Capricorn Records. Gli The Allman Brothers Band si accasarono quindi con la Arista Records dando luce nel 1980 l’album oggetto di questa recensione. Che l’ispirazione di Gregg Allman e la capacità creativa complessiva della band si fosse un po’ inceppata lo si era già intuito da tempo e questo Reach for the Sky, ai tempi letteralmente stroncato dalla critica, anche a distanza di anni purtroppo conferma questa impressione.
Con un intro di chiara impronta gospel Hell & High Water dà il via all’album, la miriade di influenze della band paiono immutate ma con una palese ammorbidimento del sound verso un pop/rock mainstream poco ispirato e totalmente di mestiere. Questa impressione viene ulteriormente confermata dalla successiva Mystery Woman dove pure le chitarre appaiono più coinvolte e decise accennando anche dei fraseggi interessanti e restituendo un umore leggermente più grintoso. La strumentale From the Madness of the West seppur senza essere un pezzo trascinate o memorabile restituisce la perizia tecnica e l’abilità compositiva della band ma scivola via in maniera troppo morbida cosi come Angeline ai tempi l’unico pezzo passato dalle radio, un brano allegro e ascoltabile ma troppo lontano dall’anima della band. Una scossa di vitalità arriva, finalmente, con la rockeggiante I Got A Right to Be Wrong, pezzo certamente semplice ma in grado di smuovere il volume complessivo del disco grazie a delle ritmiche più veloci e a un cantato finalmente più convinto e aggressivo. Purtroppo dobbiamo constatare che questa sia l’unica scossa di rilievo del disco che tende ad appiattirsi e ad annoiare con le successive Famous Last Words, Keep On Keepin’ On e So long episodi troppo banali, senza tiro e soprattutto senza quella verve rock e ribelle che ha sempre contraddistinto la band.
In conclusione l’album, di durata complessiva leggermente superiore alla mezz’ora, è quindi da considerare oggettivamente un album minore nella discografia degli The Allman Brothers Band. Nonostante alcuni episodi interessanti in particolare il pezzo strumentale, Reach for the Sky manca di quella complessa alchimia psichedelica che ha reso grande il mito The Allman Brothers Band. Per chi non conosce questa affascinante band consigliamo assolutamente l’ascolto dei primi lavori - in particolare i live album - e solo successivamente e per pura curiosità un ascolto a questo album, tassello certamente meno importante della carriera e destinato probabilmente solo ai collezionisti della band e del southern rock in generale.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
11
|
Più leggero e più pop dei precedenti, si gioca con il successivo "Brothers of the Road" il premio come peggior disco del gruppo. Lo trovo comunque ascoltabile, non così scandaloso come leggo in giro, chiaramente non regge il confronto con quanto è venuto prima e dopo. |
|
|
|
|
|
|
10
|
Non ho mai ascoltato questo LP, forse non avrò mai il tempo di farlo. Rece e commenti non mi incoraggiano. Un utente qua sotto (Testamatta ride) diceva che di solito non lo caga nessuno. Se dipendesse dalla copertina cercherei di farlo abolire dai cataloghi: inguardabile. Ma mai giudicare un disco dalla copertina. Comunque leggo cose che mi fanno storcere il naso, tipo chitarra avatar (ma che è !?), syndrum (???) e (orrore profondo targato 1980) troppe volte la parola sintetizzatore. |
|
|
|
|
|
|
9
|
"Eat a Peach" è live per metà. Comunque, il debut omonimo, poi "Idlewild South", "Eat a Peach" e "Live at Fillmore" sono tutti capolavori a mio parere. E possono bastare quelli. |
|
|
|
|
|
|
8
|
un bel disco, ma betts da solo non mi ha mai ispirato, con warren haynes accanto la band ha sempre avuto una marcia in più |
|
|
|
|
|
|
7
|
Sarei curioso di leggere due righe su "Seven Turns" invece, a mio modesto avviso il gioellino nascosto della loro discografia!! |
|
|
|
|
|
|
6
|
Ma io ho ammesso che forse il mio italiano E' fuorviante  |
|
|
|
|
|
|
5
|
ho solo risposto che non era strano ("Scelta effettivamente strana (o coraggiosa) quella di recensire quest'album" Cit.), non era una contro critica. Anche il mio italiano, di solito, non è fuorviante  |
|
|
|
|
|
|
|
|
3
|
Non riesco proprio a capire da dove si evince che abbia criticato la scelta di recensire in ordine cronologico la discografia del gruppo. Ho giudicato strana/coraggiosa la scelta del disco nello specifico proprio perché letteralmente minore rispetto agli altri e perché di solito non lo caga nessuno, e quindi può essere anche un complimento alla linea editoriale. Alla cronologia non ci pensavo proprio e quanto da me scritto sugli album dal 1990 in poi era un mio libero pensiero, ammesso che sia concesso. Quindi la tua puntualizzazione è errata (o il mio italiano fuorviante per |
|
|
|
|
|
|
2
|
Non vedo cosa ci sia di strano nel seguire la linea temporale di una discografia, approfittando di una sezione che consente di farlo senza badare a particolari esigenze come la LG. Col tempo, verrà completata anche con ciò che ancora manca. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Scelta effettivamente strana (o coraggiosa) quella di recensire quest'album decisamente trascurabile. E difatti, come dimostrato dalla recensione stessa, le parole da spendere sono pochissime. Cmq con la nuova reunion del 1990 la band riprese a pubblicare album stupendi e con l'ingresso di Warren Haynes Dickey Betts trovò un degno compare. E, se mi è consentito, consiglio anche il fin qui ultimo (e tale rimarrà temo) album del 2003 "Hittin' the note" con Haynes e il subentro di Derek Trucks al posto di Betts, gran bel disco. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Hell & High Water 2. Mystery Woman 3. From the Madness of the West 4. I Got A Right to Be Wrong 5. Angeline 6. Famous Last Words 7. Keep On Keepin’ On 8. So Long
|
|
Line Up
|
Gregg Allman (Voce, Organo Hammond) Dickey Betts (Voce, Chitarra, Slide, Chitarra avatar, Sintetizzatore) Dangerous Dan Toler (Chitarra) Johnny Cobb (Pianoforte) Mike Lawler (Pianoforte, Pianoforte elettrico, Sintetizzatore) Jim Essery (Armonica) David Rook Goldflies (Basso) Mark Morris (Congas, Timbales, Percussioni) Jaimoe Johnny Lee Johnson (Batteria) Butch Trucks (Batteria, Syndrum)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|