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Doom:VS - Aeternum Vale
18/02/2017
( 1533 letture )
Supponiamo per un istante che uno dei sogni dell’umana onnipotenza applicata alla scienza riesca ad avverarsi, immaginiamo che l’alterazione del metabolismo si spinga così avanti da generare quello stato di ibernazione che ha fatto la fortuna di tante trame cinematograficamente orientate al futuro, ipotizziamo che si riesca a indurre uno stato di letargo pluriennale… certo, sono tutte domande a cui libri e film di fantascienza hanno già risposto con dovizia di particolari, raccontando incubi e speranze di chi al risveglio si trovi ad affrontare una nuova dimensione, ma in pochi si sono avventurati ad analizzare le ricadute anche su aspetti all’apparenza marginali ma in realtà più che legati alla nostra quotidiana esperienza di creature inserite in un contesto che difficilmente potremo portare con noi in eventuali viaggi temporali.
Prendiamo ad esempio un doom devoto che abbia scelto di ricorrere a qualche diavoleria criogenica addormentandosi a metà anni ottanta e puntando la sveglia appena dopo il cambio di millennio e che, superati i traumi da impatto con le nuove tecnologie, decida di rilassarsi con quello che credeva essere imperituramente il genere figlio delle sonorità Black Sabbath e Saint Vitus. Possiamo facilmente immaginare il suo senso di smarrimento nello scoprire quanto il rivolo originario abbia finito per ingrossarsi, accogliendo contributi sempre più variegati ed eterogenei rispetto alla lezione dei pionieri, unitamente allo spostamento del centro di gravità del movimento verso le terre di Scandinavia. Se, dunque, un ipotetico lettore di recente emerso dall’ibernazione decidesse di chiederci un riassunto della storia e dei tratti fondamentali del doom del Grande Nord in versione terzo millennio, credo che saremmo tutti in difficoltà, viste le innumerevoli direzioni su cui si è andata incamminando la scuola che annovera la premiata ditta Osbourne/Iommi tra i docenti honoris causa.

In alternativa, si può piuttosto (e forse con maggior costrutto) puntare su un distillato che restituisca almeno in buona parte le sfumature dello spettro e, tra i migliori candidati al ruolo di pozione magicamente esemplificativa, troviamo senza dubbio il moniker Doom:VS. Molto più di un progetto parallelo di un artista in libera e temporanea uscita dagli impegni con la casa madre Draconian, la creatura di Johan Ericson vede ufficialmente la luce a fine 2004 con il demo Empire of the Fallen e deflagra immediatamente come un interessantissimo tentativo di integrare gli spunti classici del combo di Saffle con una serie di apporti in arrivo dai territori di confine di quel gothic doom calcato già da quasi un decennio a partire da Shades of a Lost Moon. Tutto il materiale presente nel debut viene riproposto a due anni di distanza in questo Aeternum Vale e, integrato da due tracce, regala un full length che punta dritto all’imprescindibilità, negli archivi degli amanti delle metal lande più lentamente oscure.
L'arma vincente di Ericson è allora la capacità di non rinnegare l'esperienza maturata a fianco di Anders Jacobsson e Lisa Johansson (col suo carico di incastonature gothic mai sopra le righe e, soprattutto, mai protese alla materializzazione dello stereotipo “the beauty and the beast”, divenuto presto posa e caricatura, nel genere), riproponendone i punti di forza organizzati intorno a una capacità fuori dal comune di dipingere atmosfere delicate e allo stesso tempo percorse da fremiti inquieti. Su questa base, risultano vincenti da un lato gli arricchimenti “classicamente” doom di marca Saturnus (dalle parti di Copenhagen il 2006 è l'anno dell'uscita del terzo capolavoro, Veronika Decides to Die) e dall'altro le incursioni in territorio death nel solco della declinazione Swallow the Sun, all'epoca prossimi alla pubblicazione di Hope.

Il risultato, sorprendentemente, porta però discretamente lontano da ciascuno di questi elementi costitutivi, delineando piuttosto un mix tra le imponenti strutture dei Mourning Beloveth di The Sullen Sulcus e quella malinconia dolente di cui sono alfieri pressoché incontrastati gli Shape of Despair. Alla luce di ciò, sono sostanzialmente due, gli errori da non commettere incontrando i Doom:VS: il primo è quello di fare a ogni piè sospinto una sorta di esame del livello di recisione del cordone ombelicale coi Draconian, il secondo è quello di fidarsi del grosso equivoco, alimentato a lungo da buona parte della critica e che individua nell'orizzonte artistico di Ericson contributi irrinunciabili della poetica funeral, laddove il rallentamento del flusso narrativo, invece, non approda quasi mai alle cristallizzazioni Skepticism o Mournful Congregation, intercettando, al contrario, tutti gli aliti di vita figli dell'inquietudine. Detto della grande capacità del Nostro di aggirarsi con pari maestria tra le potenzialità di tutti gli strumenti (non focalizzando l'attenzione solo sulle sei corde brandite nella casa madre e schivando così un pericolo sempre in agguato, quando si ha a che fare con una one man band), la nota di merito principale è forse nella resa del cantato, mai piattamente adagiato sui cliché del genere ma sempre alla ricerca di sfumature e possibili contaminazioni. La base è indubbiamente un growl più sabbioso che profondo (la condivisione dei palchi con Anders Jacobsson ha probabilmente giocato qui un ruolo significativo, marcando in questo una differenza sostanziale con la spiccata gutturalità di Thomas A.G. in casa Saturnus), ma è bene non sottovalutare la funzione delle parti in clean e “whispered”, sempre ben spese per alimentare aperture melodiche o spettrali o semplicemente per accompagnare i cali di tensione, regalando riflessi lirici mai troppo coltivati, nel microcosmo doom.

Cinquanta minuti complessivi per sei tracce dal minutaggio opportunamente sostenuto, Aeternum Vale si apre con un brano dal titolo modificato rispetto all'originale (la I Fade di Empire of the Fallen diventa ora The Light That Would Fade) e mostra subito i tratti stilisticamente rilevanti dell'intero lavoro: impalcature possenti aggredite da improvvisi illanguidimenti, vapori che nascondono alla vista i contorni delle forme, una sorta di “ipotermia controllata” che sfida la percezione del tempo, tutto sembra apparecchiato per una tranquilla (si fa per dire...) nenia nera, ma nel finale non manca una scossa salutare, portata da un assolo da perfetto catalogo melodic death che mescola a sorpresa le carte. Draconiana fino al midollo, la successiva Empire of the Fallen porta in scena il classico dualismo vocale del gothic doom (leggere a una voce qualunque di Arcane Rain Fell, per credere), con il clean a sostituire la parte riservata al cantato femminile senza che l'impianto ne risenta. Il carico da novanta arriva con The Faded Earth, uno dei due inediti del platter, aperta da un'inattesa attitudine sinfonica rallentata all'inverosimile per aggiungere monumentalità alla miscela, prima che la rotta viri verso lidi decisamente più melodici, complice una sei corde qui davvero protagonista e in cui rivivono le scelte artistiche dei Saturnus in materia di assoli.
Tocca alla desolazione disperata di Oblivion upon Us aprire squarci intrisi di claustrofobia nella trama, ma anche stavolta la distanza dal funeral è marcata nettamente, se si pensa agli esiti del tutto diversi, a parità di “condizioni iniziali”, di una The March and the Stream, in casa Skepticism. Un po' più incerta per scrittura e carico emozionale, The Crawling Insects prova a spingersi su crinali doom/death relativamente canonici, ma stavolta qualcosa non funziona del tutto e i punti di sutura tra i due generi si rivelano alla prova dei fatti un po' troppo in evidenza, provocando una sensazione di sovrapposizione che nuoce al coinvolgimento, soprattutto nel finale troppo da pilota automatico inserito. Ma è una sensazione che dura lo spazio di un attimo, perché non appena rimette piede nella sua terra d'elezione, cioè la lentezza cadenzata, Ericson riprende immediatamente le redini del volo e regala un altro saggio di bravura con la conclusiva Aeternus, che chiude ciò che l'opener aveva introdotto; c'è qualcosa di misteriosamente liturgico, che accompagna lo sfumare dei grigi verso l'oscurità ed è qui, dove la musica si fa poesia, che angoscia e sconforto possono trovare un approdo. Consolatorio e non definitivo, certo, ma se non altro balsamico, per le nostre finite esistenze.

Profondo, atmosfericamente ipnotico, a cavallo di generi attraversati con passo leggero e mai invasivo, geneticamente concepito per spiriti sensibili alle sfumature più che alla vividezza dei colori, Aeternum Vale è un album che merita un posto di primissimo piano, nel pantheon del doom d'autore. Nell'eterna partita tra quantità e qualità, Johan Ericson ha sempre saputo da che parte schierarsi, issando sul suo vascello le insegne Doom:VS.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
91 su 3 voti [ VOTA]
Undercover
Sabato 18 Febbraio 2017, 16.09.17
1
Una giornata grigia in compagnia di questo disco mi fa lo stesso effetto di una piovosa con i Doors in sottofondo, viaggio, viaggio e ne rimango sempre soddisfattisimo. Un lavoro atmosfericamente stupendo e musicalmente da far conoscere a chiunque ama il genere.
INFORMAZIONI
2006
Firedoom Records
Doom
Tracklist
1. The Light that Would Fade
2. Empire of the Fallen
3. The Faded Earth
4. Oblivion upon Us
5. The Crawling Insects
6. Aeternus
Line Up
Johan Ericson (Voce, Tutti gli Strumenti)
 
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