|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Bretus - …from the Twilight Zone
|
14/07/2017
( 2659 letture )
|
Dalla letteratura al cinema, si sa, il passo è stato storicamente quasi obbligato, nonostante i due celebri fratelli di Besançon si fossero sbilanciati a definire la propria creatura “un’invenzione senza futuro”. Certo, la sfida tra incorruttibili pasdaran del primato della scrittura e cultori del nuovo linguaggio visivo ha vissuto e vive talvolta attimi di tensione (quante volte siamo incappati nel lapidario “molto, molto, ma molto meglio il romanzo, del film…”?), ma, a poco più di un secolo dal fatal brevetto, possiamo sostanzialmente affermare che la settima arte sia stata accolta ormai con pari dignità sulle pendici di quel monte Elicona che dalla notte dei tempi ospita le alunne predilette di Apollo. Una volta entrato nell’augusto consesso, il cinema ha potuto così interagire con le nobili e più attempate sorelle, in un rapporto di inscindibile simbiosi che ha dato frutti qualitativamente spettacolari sul piano dell’ispirazione, allargando potenzialità e prospettive ma risultandone anche trasfigurato, basti pensare all’effetto dirompente dell’avvento del sonoro in un mondo inizialmente fatto di sole immagini. In questo varco, non poteva non entrare a vele spiegate la musica, sia come elemento di decorativo accompagnamento sia, soprattutto, come moltiplicatore di emozioni, tanto che non sono rari i casi di colonne sonore altrettanto memorabili dei film che hanno accompagnato.
Letteratura, cinema e musica sono anche i vertici di un ideale triangolo d’oro entro cui si dispiega il raggio d’azione di una delle band più interessanti sulla scena doom tricolore, quei Bretus che cinque anni fa avevano stupito con un solidissimo debutto sulle lunghe distanze (In Onirica) e che sono stati capaci di ripetersi nel 2015 con The Shadow over Innsmouth. Eccolo subito in evidenza, l’elemento letterario, con il richiamo a uno dei migliori romanzi di H.P. Lovecraft, dove rivive il tipico gusto fantasy/horror di un maestro del genere tra incubi, visioni e paure geneticamente connaturate alle debolezze della nostra specie. Inquadrati in una solida cornice letteraria, gli spunti multidirezionali di In Onirica si erano così organizzati intorno alla forma di un horror doom dai tratti spiccatamente tradizionali e con l’esclusione di qualsiasi virata verso il lugubre (soluzione invece cara a un’altra delle italiche eccellenze, gli Abysmal Grief). Come al solito, in presenza di operazioni in cui la macchina del tempo sposta artificialmente le lancette in un’era lontana per gusto e retroterra anche culturale, il rischio era quello di disseminare il percorso di banalità vintage più di posa che di sostanza (per un risultato in cui anacronismo e derivatività lottano con esito incerto per il primato, mentre intanto a perdere è di sicuro l’ascoltatore), ma i Bretus erano riusciti nell’impresa di modulare con grande intelligenza le spinte verso epopee di altre decadi risultando contemporaneamente moderni anche per chi non abbia vissuto gli echi immediatamente successivi al primigenio big bang post-sabbathiano.
C’era dunque grande attesa e curiosità intorno alla nuova fatica del quartetto e i ragazzi non sbagliano davvero il colpo, spostandosi stavolta verso il vertice cinematografico del triangolo a cui accennavamo. Lo spunto per questo …from the Twilight Zone, infatti, viene da una delle serie tv in carsica apparizione sugli schermi americani tra il 1959 e il 2003 e approdata anche ai tubi catodici italiani con il titolo “Ai Confini della Realtà”. E fino a qualche lontana frontiera si sono davvero dovuti spingere, i Nostri, intanto per entrare in una nuova scuderia dopo l’abbandono della genovese Bloodrock Records; si è trattato, in realtà, di una replica di quel viaggio verso est che già aveva contraddistinto il debut (allora la Arx Productions di Donetsk) e che ora conduce alla cittadina di Taganrog, sul mar d’Azov, dove la piccola ma qualitativamente agguerritissima Endless Winter sta radunando un roster doom di tutto rispetto. Ma a non mutare sono soprattutto le coordinate stilistiche della band, sempre alle prese con l’ingombrante eredità sabbathiana declinata con un’essenzialità e un’asciuttezza di fondo che riportano immediatamente alla lezione dei Saint Vitus, sia pure con consistenti integrazioni figlie di echi Pentagram e Reverend Bizarre. A giovare alla resa dell’insieme è soprattutto l’intreccio impeccabile tra le possenti strutture edificate della sezione ritmica e le “libere uscite” concesse a sei corde e voce, che, a seconda dei casi, alimentano o sciolgono la tensione accumulata dalla coppia Azog/Striges. Eccellente, anche stavolta, la prova al microfono di Zagarus, col suo timbro vocale rigorosamente in clean e sempre molto carico in termini di pathos, a esaltare una sorta di vena recitativa/teatrale quanto mai opportuna, considerati gli approdi horror e i richiami alla cinematografia. E, quanto a imprescindibilità, non è certo da meno il contributo della sei corde, magistralmente brandita da Ghenes in modalità NWOBHM squadernando riff assassini, ad aprire improvvisi squarci luminosi che risaltano ancora di più andando ad innestarsi su trame in prevalenza oscure, quando non plumbee. Completa il quadro un intelligente ricorso all’arsenale “storico” del genere, in cui l’hard rock settantiano gioca ovviamente un ruolo di primo piano ma senza dimenticare venature delicatamente blues o addirittura accennate escursioni in territorio prog, a certificare l’impressionante livello di maturità raggiunto dai calabresi alle prese con le sfide dei classici.
Spente le luci in sala, si parte subito alla grande con l’opener Terror Behind the Mirror, distillato perfetto di ciò che si dipanerà nel resto dell’album con la sua atmosfera in progressivo appesantimento, mentre Zagarus occupa la scena da mattatore nei panni di uno Scott Wino Weinrich in versione marcatamente declamatoria, prima di consegnare il finale al primo memorabile assolo di Ghenes. Il tasso di pachidermicità aumenta ulteriormente nella successiva In the Vault (rieccole, le reminiscenze lovecraftiane, in un titolo che rimanda a un racconto del 1925), ma un improvviso stop centrale funge da colpo di scena per spalancare le porte a un inserto figlio della metal temperie ottantiana, in cui di nuovo la sei corde stampa un ricamo memorabile. Rispetto alla coppia d’avvio, l’andatura cadenzata di Old Dark House (che rimanda al lungometraggio del 1932) sembra ridurre la densità della struttura privilegiando piuttosto la componente “sinistra” dell’ispirazione, ma anche stavolta non mancano le sorprese, che si materializzano con un’improvvisa dilatazione melodica e un tocco avantgarde che sposano alla perfezione le velleità sceniche dei Bretus. Il quarto atto è affidato alla rievocazione di un film del 1964, Danza Macabra (con tanto di estratto vocale in presa diretta dalla pellicola) e si declina in forma di semi ballad intrisa di suggestioni blues, che tengono il campo per metà percorso in vista di una chiusura tra coriandoli Deep Purple e sabbia Saint Vitus. Rispetto all’impressionante qualità andata finora in onda, colpisce un po’ meno l’attitudine settantianamente hard rock di The Murder, anche se va riconosciuto che a questo punto del viaggio una scarica di energia può comunque svolgere una funzione salutare, nell’economia del platter (senza contare che già il finale in oscura dissolvenza ci riporta alla dimensione canonica della tracklist). E’ ancora un richiamo “dal vivo” al film di riferimento ad avviare The Creeping Flesh e in questa occasione i Nostri sfoderano la loro migliore prova classic doom dell’album, impreziosita da un passaggio in doppio timbro vocale forse meritevole di approfondimenti, nelle prossime prove, considerata l’ottima resa. C’è ancora spazio per un’ultima perla e i Bretus sembrano compiere una scelta spiazzante, affidandosi alla strumentale Lizard Woman; niente paura, però, perché dal campo psichedelico improvvisamente arato germoglia un capolavoro che riporta in vita con la giusta delicatezza sonorità che, pur trasfigurate, sono ormai indissolubilmente scritte nel nostro metal dna e al cui richiamo è impossibile restare indifferenti.
Viaggio multimediale all’interno di antri in cui l’oscurità raddoppia tra immagini e suoni, coperto da un velo di artistica inquietudine in cui rivivono senza stucchevoli manierismi le lezioni delle band che hanno fatto la storia del doom più affacciato sui balconi hard rock, …from the Twilight Zone è un album che trasuda classe da ogni solco e per cui non c’è alcun bisogno di scomodare un occhio di riguardo nel nome della tricolore conterraneità. Da Catanzaro alle pianure intorno a Rostov, a parlare per i Bretus è solo la qualità.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
5
|
grande band, con la grave pecca del singer che ha una pronuncia italiana terribile...basterebbe poco per migliorarsi tantissimo e rendere la loro proposta veramente di livello tanto superiore.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
3
|
Band straordinaria, di livello superiore. li ascolto da diverso tempo oramai e questo disco è come tutti gli altri: bellissimo! Se passano dalle mie parti a suonare non mancherei per nulla al mondo. |
|
|
|
|
|
|
2
|
Grandissimi! Una di quelle band di cui andare fieri, più supportati all'estero che in Italia! Disco di livello come i precedenti, garanzia totale |
|
|
|
|
|
|
1
|
Visti live a Lecco (a Lecco signori, data secca dalla Calabria!!!) e preso il suddetto cd al loro banchetto. Già con "In Onirica" mi avevano impressionato, questo nuovo lavoro è decisamente bello, confermo in pieno il voto! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Terror Behind the Mirror 2. In the Vault 3. Old Dark House 4. Danza Macabra 5. The Murder 6. The Creeping Flesh 7. Lizard Woman
|
|
Line Up
|
Zagarus (Voce) Ghenes (Chitarra) Azog (Basso) Striges (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|