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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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16/09/2017
( 2233 letture )
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Era il lontano 2005 quando cinque ragazzi dell’Arizona appassionati di death metal si affacciavano al panorama della musica estrema con un EP intitolato Doom e, inconsapevolmente, gettavano solide basi per un nuovo genere musicale che presto sarebbe diventato famosissimo, nonché fonte di costante discussione: il deathcore. Infatti, se associamo il primo deathcore a band come All Shall Perish, As Blood Runs Black, Sucide Silence e Carnifex, in verità è Doom dei Job For a Cowboy che volente o nolente dà il via a tutta una serie di stilemi poi ripresi da tutte le band del genere a venire: i nostri insomma hanno fatto scuola. Già attivi con la prima demo autoprodotta, è con Doom che definiscono il loro stile iniziale e riescono a mettere giù qualcosa di talmente devastante e selvaggio ma al contempo calcolato e preciso che davvero non si può non rimanere basiti: si tratta di avanguardia pura, mentre nel corso degli anni successivi i nostri torneranno inaspettatamente verso il death metal puro/technical con i lavori Demonocracy e Sun Eater.
Con Doom si parla invece di avanguardia perché pur rimanendo presenti i dettami della scuola death metal e brutal/slam, vengono inserite tutta una serie di dinamiche nuove che rinfrescano l’impatto generale dell’ascolto. È proprio il dinamismo strumentale e vocale che tiene l’ascoltatore sull’attenti: i continui cambi di tempo, i giochi di batteria, gli stop inaspettati, la ricercatezza delle chitarre ritmiche. Non si abusa dei breakdown del tipo lento perché se vogliamo essi ancora si devono profilare come cliché del genere, così come il pig squeal è perfettamente contestualizzato e mai esagerato: è con questo lavoro che il “Bree bree” si comincia ad associare al deathcore, anzi non fa che fomentare l’ascoltatore. Perché di base questo lavoro rimane comunque qualcosa di distruttivo: se vogliamo più fine del death metal (ma più pesante del metalcore) esso è schiacciante ma incalzante. Elliott Sellers ci colpisce con i suoi pattern di batteria, soprattutto con l’inserimento di filler jazz nel mezzo di tutt’altro. Inoltre lui è davvero fra i primi ad usare le campane, che saranno poi riprese da molti sia nel deathcore che nel metalcore. La punta di diamante sono le linee vocali di Jonny Davy che alternano growl e screaming ad hoc, con una freschezza straordinaria: dimentichiamoci del growl cavernoso, grave e senza volume di alcuni gruppi brutal/death metal, poiché qui abbiamo degli harsh vocals risuonanti, pieni e corposi. Grazie a ciò si riescono quasi a estrapolare le liriche, che sono ermetiche, apocalittiche e rappresentative di una sorta di filosofica denuncia sociale/religiosa nonché di sofferenza esistenziale. L’artwork è altrettanto simbolico e comunicativo nonché assolutamente inquietante. Si comincia con un intro tipicamente death/gore metal, Catharsis of the Buried, per proseguire con uno dei pezzi più rappresentativi e della band e del deathcore in sé: la distruttiva Entombement of a Machine, con i suoi repentini cambi ritmici, passata alla storia per il famoso breakdown col l’eclatante grido. Segue Relinquishied con la sua dissonanza decerebrante e lo screaming straziante, nonché il pig squeal brutale a manciate. Knee Deep ci stupisce invece per i suoi sprazzi di chitarra metalcore nel mezzo del mirabolante palinsesto deathcore, mentre è Rising Tides che vede gli inserti jazz di cui accennato sopra, sia da parte della batteria che del basso, per poi riprendere più tirata e primordiale che mai. Suspended by the Throat invece abbraccia in alcuni momenti una melodia inaspettata, chiudendo in bellezza la prima versione dell’EP, poi rimasterizzata l’anno successivo dalla Metal Blade con l’aggiunta dell’altrettanto clamoroso pezzo Entities in chiusura.
Per concludere, i Job for a Cowboy, con quello che poteva sembrare un qualunque EP death metal, hanno invece fatto la storia. Assolutamente da ascoltare a scopo accademico, nell’ambito del deathcore -soprattutto per Ia nuova generazione di follower del genere- ma anche per tutti gli appassionati di metal estremo.
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7
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Album importantissimo per tutte le band che vennero dopo (specialmente quelle deathcore, o quelle hardcore "beatdown") anche band non -core presero spunto da questa pietra miliare. |
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6
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Non mi trovi molto daccordo Mina, so quel che dico: innanzitutto i Job For a Cowboy iniziarono il loro percorso verso il deathcore con la loro demo del 2004, e già siamo un anno indietro. Poi, i miei riferimenti storici a determinate band in questo scritto si riconducono al fatto che molti collegano il primo deathcore di qualità proprio a quelle band li, Suicide silence, Carnifex, All shall perish, sopratutto gli ascoltatori piu' giovani, invece va tenuta presente questa band e nello specifico questo EP in quanto non solo segnante ma anche eclatante qualitativamente parlando, per questo è stato rivisitato e valorizzato. Per quanto riguarda gli As blood runs black, non molti li citano ma se vedi fra le mie recensioni appurerai che in una io stessa descrivo accuratamente come anche loro abbiano contribuito a gettare solide basi per il genere, ma anche in questo caso ho preso in considerazione il lavoro più segnante e significativo a sostegno della testi e non altri precedenti(Allegiance). Invece andando agli Acacia Strain a mio parere 3750 non era già vero e proprio deathcore bensì molto piu metalcore e groove. Ti do infine in parte ragione per i BMTH, ma per quanto molto avanti, quell'EP non ha metà della classe o degli stilemi di Doom. Gia' che c'eri potevi rimproverarmi di non aver citato i The Black Daliah Murder !! come se non sia risaputo che già anni prima avessero predisposto il death per il deathcore...ma il vero primo Deathcore è a mio parere questo EP. Confermo ciò che ho scritto, i miei riferimenti storici come vedi sono ponderatissimi, spero di essermi spiegata  |
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5
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Arrivarono prima gli Acacia Strain, le prime pubblicazioni degli As blood Runs black sono targate 2003/2004 e, importantissimo a mio modo di vedere per il genere fu anche This is what the edge of your seat was made for dei BMTH (2004). Se si fanno riferimenti storici, almeno farli corretti e non per portare acqua al proprio mulino in modo forzato. |
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3
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80 a sta cacatina no dai |
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2
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quel qualcosa in più è arrivato con la loro uscita più recente,ovvero il validissimo Sun Eater,sono curioso di sentire il seguito,per quanto riguarda Doom è un buon EP che però dopo ascolti prolungati viene un tantino a noia! |
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1
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Prometto che lo riascolterò, me lo ricordo poco. Ricordo bene invece che da band come questa ci si aspettava qualcosa di più che non è mai arrivato... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Catharsis for the Buried 2. Entombment of a Machine 3. Relinquished 4. Knee Deep 5. The Rising Tide 6. Suspended by the Throat 7. Entities
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Line Up
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Jonny Davy (Voce) Ravi Bhadriraju (Chitarra) Andrew Arcurio (Chitarra) Brent Riggs (Basso) Elliott Sellers (Batteria)
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