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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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08/07/2019
( 2437 letture )
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Eccoci qui a parlare, con imperdonabile ritardo, di un ritorno abbastanza atteso e sicuramente meritevole di attenzione da parte di tutti noi amanti del classico heavy senza fronzoli e senza vie alternative, old style, diretto come un gancio secco ed immutabile. Come dite? Certo che sto parlando degli Enforcer, e di chi altri dovrei parlare? Sì, in realtà sto scrivendo questo preambolo senza avere ancora ascoltato un secondo di questo nuovo Zenith, ma cosa volete che cambi, gli svedesi fanno sempre la stessa roba da quindici ann…ah no. Come nei peggiori (o migliori?) momenti di stupore innanzi ad avvenimenti inaspettati ecco che i soliti preconcetti che ognuno di noi possiede vanno “a farsi benedire” a seguito di un imbarazzante confronto face to face con la realtà; il fu one-man project di Olof Wikstrand ha finalmente deciso di dare una sterzata netta alla vettura, finora una discreta berlina, per tentare di trasformarla in una monoposto da corsa su pista allargando le vedute, le influenze e le sonorità da cui attingere, per salire ad un livello superiore. Tentare, appunto, perché le fantastiche premesse uscite dalla bocca del mastermind, ovverosia l’unica cosa su cui eravamo tutti d’accordo (in fase di registrazione, ndr) era quella di realizzare il più grande album heavy metal di tutti i tempi, senza alcuna sorta di limitazione, sono da considerarsi non in misura maggiore di semplici parole motivazionali; d’altronde bisognava giustificare in qualche modo l’insolita attesa di quattro anni che separa il precedente From Beyond (tra l’altro, omonimo del capolavoro dei Massacre) da Zenith, e sul libretto scolastico una giustifica in effetti la si può inserire, rifacendosi al concetto di sperimentazione.
I Nostri hanno infatti, probabilmente per la prima volta, alzato lo sguardo oltre la siepe e hanno implementato nel classico sound heavy vari elementi eterogenei, i quali se non bastano per raggiungere livelli eccelsi comunque donano quel pizzico di curiosità in più e magari assicurano anche qualche ascolto supplementare rispetto al solito. Il lavoro onestamente parte come peggio non sarebbe potuto, ovverosia con una banalissima Die for the Devil e il suo ritornello valido per la sigla della prossima inutile serie di Dragon Ball, un accozzaglia simil-radiofonica che non c’entra nulla con l’armamentario complessivo, l’epitome di ciò che non vorremmo mai sentire che sia connesso al mondo metal. Ma la capacità di ribaltare la situazione è impressionante e la seguente quasi titletrack riabilita in pieno gli Enforcer, gran pezzo classic che farà la gioia di noi colpevolmente tacciati di conservatorismo e avvalora una nostra importante teoria sulle circostanze adatte alle sperimentazioni e quelle meno propense che esporremo in altre sedi. Si prosegue con Searching for You e aumentano vertiginosamente i giri, cosa buona e giusta poiché eseguita con contezza e padronanza dei mezzi, mentre la quarta traccia presenta i primi grandi inediti elementi che divideranno la critica: Regrets è una ballad da melodie e pianoforte, se vogliamo allargarci potremmo definirla la November Rain degli Enforcer, eseguita e composta discretamente, con la voce di Olof, sebbene non eccezionale, sugli scudi e un’atmosfera che ben si accasa all’interno di questo Zenith. Non ci spingiamo verso la definizione di “Rock anthem” da stadio come fatto da altri, ma il contenitore di genere è quello. Torniamo a lidi a noi più vicini con The End of a Universe, in cui le sei corde di Jonathan Nordwall e del fondatore disegnano ottimi paesaggi sonori e in cui il vocalist si lascia andare alla propria miglior performance di questo LP. La seconda pesante strada sterrata intrapresa è costituita da Sail On, in cui siamo di fronte ad un incrocio riuscito a metà tra funk e metal; difficile anche solo approcciarsi ad esso e spiegare a parole ciò che va e ciò che non va, ci limitiamo a fare i complimenti al gruppo per il coraggio dimostrato e ci auguriamo che il pubblico apprezzi questa mutato modus operandi. One Thousand Years of Darkness è dotata di una ottima base heavy, sopra cui sono aggiunte sezioni rifacentisi al power neoclassico e addirittura richiami orchestrali per un risultato finale più che soddisfacente, ma il meglio sta altrove, precisamente in Thunder and Hell, compendio di adrenalina che riesce a ricongiungerci con l’essenza del piacere più recondito. La componente ritmica è impeccabile, una macchina programmata per esaltarsi ed esaltare, le incursioni soliste sono invece limitate ma efficaci. Chiudono il platter due creazioni che definiremmo senza infamia e senza lode, che altro non fanno se non ribadire il giudizio definitivo sull’album: funziona, coinvolge, è ottimamente prodotto e suonato, ma andando a cercare ciò che spicca qualitativamente sul resto dobbiamo tornare ai vecchi stilemi; ciò non vuole essere in alcun modo un’invettiva contro la ricerca della novità o del pezzo “freak”, il quale ci sta sempre, ma semplicemente una constatazione (s)oggettiva. Quindi no, la berlina non è diventata una monoposto.
Ora bisogna attendere di capire come si comporteranno in futuro gli Enforcer, e la scelta dipenderà ovviamente dai dati di vendita di Zenith, ma vogliamo sperare non solo da quelli. Ad ogni modo, quest’ultimo parto ci restituisce un combo in perfetta salute, solido alle basi, desideroso di aprirsi e conoscere di più; la curiosità può essere un elemento fondamentale per un musicista, così come la sua pietra tombale se ad essa non si unisce la capacità pratica. Confidando che il secondo scenario non sia dietro l’angolo per i quattro svedesi, ci riserviamo il piacere di riascoltare Zenith in queste calde sere estive, chiaramente quando non in altre faccende affaccendati.
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11
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Un passo quasi falso. Il lento che ricorda gli ABBA da dimenticare. E gli ultimi due pezzi anonimi. Ma c\'è anche qualcosa di buono. Gli do un 65. E si sono rifatti alla grande con l\'ultimo Nostalgia. |
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10
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Premettendo che mi piacciono maledettamente, in questo album è vero che certe sfuriate speed degli esordi sono state sfumate a favore di sonorità più morbide, ma è forse questo un male?
Il livello dei pezzi è altissimo e comunque, molti passaggi, sono davvero heavy e cattivi.
Dalle prossime uscite si capirà di più sul futuro sound della band, ma per il momento non posso dire di essere rimasto deluso.
80/100 |
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9
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Album che spiazza non poco ma tutte canzoni di altissimo livello. Ritornelli che restano in testa al primo ascolto .. "One Thousand Years of Darkness" è un piccolo capolavoro. voto 85 |
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8
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Concordo con maurilio, non mi è piaciuto per niente neanche a me. Sound troppo morbido (il che non è un male per carità, ma se consideriamo i precedenti lavori, la delusione è tanta), e non mi sembra un granchè eccetto due/tre pezzi. In campo Heavy per ora uno dei miei album preferiti è quello dei Riot City, spiace dirlo ma gli Enforcer a sto giro hanno toppato. |
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7
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A me non piace per niente questa svolta. io adoro from beyond e mi piace molto death by fire. qui si sono ammorbiditi troppo,fortuna che non l ho preso a scatola chiusa proprio perché messo in guardia dai banali singoli ascoltati. Niente a che vedere con i tiratissimi pezzi dei due cd precedenti. Peccato! |
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6
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Io consiglio ultimo SATAN veramente bello. |
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5
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Concordo con Graziano, uno o due pezzi Speed in più avrebbero fatto solo che bene a quest'album! Comunque se volete sentire dell'Heavy purissimo e senza ruffianate vi consiglio il debutto degli italiani Vultures Vengeance, davvero un bell'album! |
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4
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Sempre bravi a suonare, ci mancherebbe, mo il metal secondo me dev'essere fatto anche di cattiveria, velocità, grinta e altro, non tutto uoo uoo...mo basta dai, non chiamatelo heavy, per piacere, parere mio, è chiaro.... |
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3
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Sul finire degli anni ottanta molte band hard & metal si ammorbidirono strizzando l'occhio all'Aor e al metal più melodico e patianto (Van Halen, Virgin Steele, Twisted SIster, Saxon ecc). Sembra che gli Enforcer stiano seguendo lo stesso percorso 30 anni dopo... Disco un po' altalenante, ma non mi dispiace, manca qualche pezzo furibondo dei loro, però la personalità della band risalta sempre, sfuggendo alla trappola in cui cadono i gruppi clone... |
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2
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Devo ammettere di esser stato un po' deluso da quest'album, avevo letto dichiarazioni magniloquenti da parte di Olof, le quali mi avevano fatto sperare in un album anche meglio di From Beyond, magari pure più oscuro e aggressivo. Invece... Zenith è molto morbido e orecchiabile! Forse troppo in effetti. In ogni caso, ha il pregio di svelarsi dopo più ascolti, non è così diretto come potrebbe sembrare, ed effettivamente ci sono pezzi che meritano molto, tipo: Zenith of the Black Sun, The End of a Universe, Forever We Worship the Dark e Ode To Death (quest'ultime due secondo me non proprio senza infamia e senza lode). Altri pezzi sono più che piacevoli, anche se One Thousand Years of Darkness mi ha ricordato gli ultimi Battle Beast, il che non è un bene. Però c'è sempre qualcosa che ti fa rimanere le canzoni in testa, e questo è un bene in fondo, anche perché rende l'album molto vario ed eterogeneo. Detto questo Regrets dovrebbe essere una cover e non mi piace quasi per niente, sembra la presa in giro di una ballata, Sail On è un altro dei pezzi che salto spesso, però c'è da dire che forse è il pezzo più particolare scritto dai nostri. Alla fin fine non è un brutto album, il 70 se lo prende |
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1
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Mi hanno duluso molto con questa pacchianata..mi sarei aspettato speed metal dei vecchi tempi. Andate a cagare... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Die for the Devil 2. Zenith of the Black Sun 3. Searching for You 4. Regrets 5. The End of a Universe 6. Sail On 7. One Thousand Years of Darkness 8. Thunder and Hell 9. Forever We Worship the Dark 10. Ode to Death
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Line Up
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Olof Wikstrand (Voce, Chitarra) Jonathan Nordwall (Chitarra) Tobias Lindqvist (Basso) Jonas Wikstrand (Batteria, Tastiere)
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