|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Lunatic Soul - Lunatic Soul II
|
04/01/2020
( 1052 letture )
|
Due anni dopo l’uscita del primo omonimo album, i Lunatic Soul propongono un disco il cui titolo sembra voler suggerire che il qui recensito lavoro in studio rappresenti il secondo capitolo del loro progetto. Lo stile scelto infatti non smentisce questa immediata impressione. Lunatic Soul II, questo il nome, riprende quello stato tra torpore e risveglio inoculato da Waiting for the Dawn -ultima traccia di Lunatic Soul- e con The In-Between Kingdom rimane sospeso in un clima che precede la trasmigrazione di un’anima. Mariusz Duda e compagni ripetono un giro alienante, che rimbalza da portale a portale, che vaga dalle percussioni tribali a canti, o echi di canti, posti su accordi lunghi di tastiera e un rassicurante riff. Approdati in Otherwhere si viene accolti da una chitarra acustica e un guzheng, il quale inserisce un elemento di spicco nel pezzo che richiama le ballate occidentali, qui riproposte intimisticamente, in modo minimalista. L’Io del brano permette di seguire il flusso degli eventi, degli stati d’essere in cui si riconosce il parlante. Esso va oltre lo spazio infinito, il tempo e la forma, un ritorno al bianco. La voce perfettamente percepibile scandisce ogni parola chiaramente, dettando i momenti in cui questa eterea vicenda si svolge. Suspended in Whiteness, divisa in due parti, cala l’ascoltatore direttamente in questa dimensione bianca, in cui ci si libra in mezzo al vuoto privi di massa, in una luce senza fine. Inizialmente si avverte un gran senso di leggerezza, ma con l’ingresso nella seconda parte l’inquietudine si fa spazio, le percussioni divengono meno limpide, i temi riflettono l’idea talvolta di ossessione e oppressione claustrofobica. La convinzione e la coerenza con le quali procede il brano, però, non isolano chi ascolta, facendolo inesorabilmente soccombere. Avviene il contrario per lo spirito, protagonista di questo smarrimento, partecipe di un’iniziazione misterica ma apparentemente accessibile in senso universale, l’anima ripete facendo proprie le parole
I don't feel alive I don't feel alive I feel nothing
Parole solide che non lasciano spazio a gradualità o sfumature, piene affermazioni o negazioni che non implicano ambiguità. I chimes risuonano nella cassa toracica, si stagliano nel tappeto sonoro che avanza misurato, investendo geometricamente ciò che incontra. Una netta svolta nella narrazione si verifica con Asoulum: è angoscia, mutamento inconsulto di forme, pur sempre nel ritmo controllato. I suoni diventano sintetici, ci sono dei crescendo che si troncano per tornare alla situazione iniziale, effetti che si muovono tra le frazioni di tono. Le pareti bianche non sono più un paradiso ma l’emblema del delirio. La richiesta di non cancellare nuovamente il proprio nome ha un destino ombroso, non si sa se rimarrà inascoltata in questo turbinio di lame e bianco. Limbo, intermezzo di meno di due minuti, è una cascata di suoni inaspettati e inusuali in cui si inseriscono accordi secchi, perentori. Il retrogusto a metà tra l’etnico e il futuristico conferisce un alone di mistero e di tensione crescente, di attesa e aspettativa verso lo spannung. Ciò si risolve in Escape from Paradice, che si aggancia all’intermezzo. L’implorazione si fonde con l’espiazione, l’intero mondo interviene per sostenere questa rottura, per interrompere la provvisorietà della situazione: serve una cesura
It's my turn to fall .
Transition, il settimo brano, è un vero e proprio capolavoro. Racchiude elementi di generi diversi tra loro, puntando su un versante sperimentale in cui si sprigionano molteplicità di dimensioni. Il titolo è eloquente: l’anima narra il viaggio, narra della ricerca di sé che l’ha accompagnata negli ultimi momenti, dell’obiettivo e della paura, della necessità di tornare. Una volta introiettato il pezzo, si dischiuderà nel sublime. Il ritmo della riflessione si placa con Gravestone Hill, struggente nella sua semplicità, scorre sulla chitarra acustica e sulle remote tastiere. Emerge quel senso di solitudine, non mediocre e paesaggistico, che il testo restituisce conglobato alla musica. Lunatic Soul II si conclude con Wanderings: epilogo sottilmente nostalgico e meditativo che intreccia rimpianto e storia facendo parlare finemente gli strumenti, senza bruschi cambi.
L’album è un must dei Lunatic Soul, entra in sintonia con le trame della natura umana e oltre, costruendone un’epica. La composizione è impeccabile, l’interpretazione e l’esecuzione sono mirabili. Ottimo proseguimento di un progetto partito bene, senza alcuni punti deludenti.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
1
|
Tutto quello che tocca Mariusz è oro. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. The In-Between Kingdom 2. Otherwhere 3. Suspended in Whiteness 4. Asoulum 5. Limbo 6. Escape from Paradice 7. Transition 8. Gravestone Hill 9. Wanderings
|
|
Line Up
|
Mariusz Duda (Voce, Chitarra, Tastiere, Chimes, Kalimba, Percussioni, Basso, Batteria) Macej Szelenbaum (Guzheng, Flauti, Pianoforte, Strumenti ad Arco, Sintetizzatori) Wawrzyiec Dramowicz (Batteria, Cajòn)
Musicisti Ospiti: Rafał Buczek (Tastiere e Loop nella traccia 9)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|