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27/04/25
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Cloven Hoof - Age of Steel
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07/05/2020
( 1656 letture )
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Nati nell’ormai lontano 1979, i Cloven Hoof possono essere collocati a pieno titolo nel novero dei prime movers di quella scena che di lì a poco sarebbe stata etichettata come NWOBHM. Partiti dalle West Midlands (Wolverhampton) con il famoso Ep The Opening Ritual si sono affermati con l’album Cloven Hoof, per poi percorrere una strada abbastanza comune tra i gruppi non di primissimo piano e/o baciati dalla quella fortuna che toccò a pochi. I ragazzi di Lee Payne, dopo aver attraversato gli anni Ottanta in maniera più che dignitosa erano infatti spariti sul finire del decennio, per riapparire sulla scena a metà anni Dieci del nuovo secolo, sull’onda del rifiorire dell’interesse verso certi suoni meno “plasticosi” e più vicini allo spirito primigenio del metal. Arrivando così ai nostri giorni e all’uscita di Age of Steel, loro sesto full-length in studio.
Riallacciandosi a quanto inciso col disco a tema fantascientifico Dominator del 1988, con il personaggio cardine del racconto che torna ora in vita e una storia la cui conclusione avverrà solo con il prossimo album, i Cloven Hoof confermano pregi e limiti della loro musica. Come era assolutamente normale aspettarsi, in ogni caso, Age of Steel non sposta nulla dal punto di vista dello stile, sempre sostanzialmente aderente a quello classico della band e del genere proposto. Magari con un po’ più di power qua e là. Ciò che è da valutare, considerando che non parliamo di un gruppo di new wavers di seconda o terza generazione, che può quindi suonare ciò che suona restando al riparo dalle possibili accuse di scimmiottare la lezione dei padri, è quindi quanto il CD riesca a restare ugualmente fresco e come si inserisca nella storia del gruppo. A prescindere da quanto il concept sia originale – non molto - Age of Steel parte bene con Bathory, solenne e potente, scritta per la voce da novello Dickinson di George Call (Aska) e per esaltare la forza da rullo compressore della musica. Anche utilizzando ritmi non molto elevati, per puntare invece sulla magniloquenza e la durezza dell’interpretazione. Discorso analogo per Alderley Edge, più varia e davvero molto maideniana - tanto da ricordare Seventh Son of a Seventh Son - e più ancora per Bedlam, Ascension, Gods of War (qui sono gli Helloween a spuntare all’orizzonte) e Judas, risolta in modo un po’ più personale. Aphaty e Victim of the Furies scorrono più dirette, senza però perdere quel tocco enfatico e la loro facilità di scrittura. Più ariosa e power Touch The Rainbow, mentre Age of Steel chiude il prodotto in modo quasi marziale.
CD ben costruito rispetto al genere suonato e coerente con la storia del gruppo, la cui formazione conserva di quella originale il solo Payne nei suoi ranghi, Age of Steel si inserisce in modo corretto nella discografia dei Cloven Hoof. Produzione adeguata alle necessità, arrangiamenti in linea col messaggio, qualche piccolo tocco di tastiera e canzoni che fanno il loro lavoro. Al netto dei richiami all’opera di gruppi di più chiara fama che trattandosi di una band con la storia di cui abbiamo accennato sono in parte perdonabili e di una presenza del power che in passato non si era registrata. Coi conseguenti, possibili cali di tensione dopo ascolti prolungati. Niente di sconvolgente e men che mai qualcosa che possa far gridare al capolavoro, quindi, ma un disco che molto semplicemente è ciò che deve essere.
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8
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l 'ho ascoltato varie volte perchè il predecessore mi era piaciuto parecchio ma......il ritornello di gods of war plagia quello della celeberrima march of time e poi i continui furti ai danni della vergine di ferro me lo hanno reso decisamente antipatico. Un album cosi lo perdonerei a degli esordienti , non a dei veterani, e l'unico merito che ci trovo è che mi ha ricordato quanto siano immensi i maiden e i tedeschi della suddetta march of time. In questo periodo è uscito decisamente di meglio in campo di metal classico |
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7
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No vabbè la seconda traccia è letteralmente SSOASS degli Iron, spero che nei credits lo abbiano messo come "liberamente ispirata a..." |
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6
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Dopo il disco da poco recensito di Axel Rudi Pell, ecco per me un altro esempio di heavy metal derivativo e che suona terribilmente di già sentito. Solo che con i Cloven Hoof mi dispiace di più perchè Who Mourns For The Morning Star è stato uno dei dischi che ascoltato di più nel 2017. Questo qui invece l'ho trovato molto piatto, tranne un paio di pezzi nella parte centrale. Carino, ma dopo due o tre ascolti lo metto a prendere polvere. 62. |
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5
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While most of the Metal world showers this album with 8, 9 pretty high praise, we can always count on some overly, self serious stuffy critic to hold back the praise because of some nitpicky nonsense. Bravo.
My review of this review: Lame. Writer doesnt know a great record when he hears it. He thinks Ennio Morricone invented sex and that anybody else fucking must be copying the other fuckers.
Can't you just enjoy a good record without seeking to deconstruct what it is that makes it so good to the point that via your deconstruction the pleasure of listening is ruined? I enjoy this album very much. Great songs top to bottom. Anything that detracts from that enjoyment is mere detail. Save that foolishness it for yourself. Some people get slapped in the forehead with a pussy and are offended. Others just fuck it. I wonder which one is the reviewer here? |
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4
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anzi li ribattezzerei CLONE HOOF  |
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3
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trito e ritrito senza un briciolo di ...loro ! |
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2
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Concordo con la recensione, ma avrei dato un voto più alto visto che, come giustamente scrive il recensore, il disco è decisamente buono nell'essere "ciò che deve essere". |
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1
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Album abbastanza valido anche se tremendamente derivativo. Sopratutto ALDERLEY EDGE è in piu parti ai limiti del plagio essendo letteralmente una copia di SEVENTH SON OF A SEVENTH SON!!!! Miglior brano la selvaggia VICTIM OF THE FURIES. Tuttosommato al netto di qualche filler e dimenticandosi i troppi richiami ai Maiden delle scorse decadi ascoltos enza dubbio piacevole. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Bathory 2. Alderley Edge 3. Apathy 4. Touch the Rainbow 5. Bedlam 6. Ascension 7. Gods of War 8. Victim of the Furies 9. Judas 10. Age of Steel
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Line Up
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George Call (Voce) Chris Coss (Chitarra) Ash Baker (Chitarra) Lee Payne (Basso) Mark Bristow (Batteria)
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RECENSIONI |
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