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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Cloven Hoof - A Sultan’s Ransom
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15/08/2020
( 1086 letture )
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Venuti fuori dalla scena di Wolverhampton già nel 1979 e quindi da annoverare tra i prime mover della N.W.O.B.H.M., i Cloven Hoof sono sempre stati considerati una band di culto, che però non ha mai raggiunto il vero successo. Principalmente perché le uscite discografiche che l’hanno riguardata sono sempre arrivate sul mercato con un certo ritardo rispetto allo svolgersi degli eventi e non sono state numericamente fitte, rimanendo in questo modo più un fenomeno da appassionati che da grandi platee. Agglutinato attorno alla figura del bassista/compositore Lee Payne, il quale nel corso degli anni resterà l’unico elemento fisso della formazione, il gruppo arriva all’esordio nell’82 con l’EP Opening Ritual. Proseguendo poi con il primo album nell’84 (Cloven Hoof), con il live di inediti Fighting Back dell’86, il secondo in studio nell’88 (Dominator), per poi chiudere questa fase della carriera con A Sultan's Ransom nell’89, già con innumerevoli cambi di formazione alle spalle.
Molto teatrali fin dall’inizio e in anticipo su molti altri anche nel rapporto con la tecnologia, i Cloven Hoff si presentarono in studio appunto con una formazione nuova che si giovava di innesti provenienti dai Tredegar, onesta heavy band gallese con un album dell’86 in bacheca, per incidere A Sultan's Ransom presso i Mad Hat Studios della città natale, ottenendo un buon risultato. Aperto dall’incalzante ed epica Astral Rider, il disco mostrava il solito buon equilibrio tra potenza e melodia rockeggiante tipica dei gruppi inquadrabili nella scena di appartenenza (Forgotten Heroes), ma non disdegnava affatto di premere sull’acceleratore in maniera decisa. Un pezzo speed come D.V.R. -che per inciso sta per "Death Valley Racer"- è in grado ancora oggi di provocare qualche ecchimosi durante il pogo, break compreso, mentre Jekyll and Hyde riporta con tutti e due i piedi e una certa classe in piena N.W.O.B.H.M, senza tralasciare quel fondo epico che il gruppo ha sempre cercato di conservare. Apertura orientaleggiante in linea col titolo per 1001 Nights e poi ancora pesante heavy/epic a farla da padrone. Molto rocciosa Silver Surfer, uno dei pochi brani non firmati da Payne, poi in Notre Dame viene inserita una nota oscura pur restando largamente nei confini dello stile della band. Abbastanza amichevole e quasi radiofonica Mad, Mad World, prima di passare alla parte finale del disco. Più in linea con le aspettative Highlander, ancora basata su un approccio epic (di questi ultimi due pezzi vennero girati dei video promozionali) e finale con i quasi sette minuti con richiami antichi di Mistress of the Forest. Canzone più ambiziosa e strutturata dell’album, vicina a certe cose della prima parte della carriera dei Maiden.
Una band coesa sebbene non fosse insieme in quella configurazione da molto, canzoni ben scritte che funzionano a dispetto dell’assenza di picchi di valore assoluto (l’anno è il 1989, decisamente difficile tirare fuori qualcosa di nuovo restando nell’alveo della N.W.O.B.H.M.), una voce adatta alla situazione -purtroppo Russ North in seguito diventerà più interessato all’alcol che alla musica- da apprezzare appieno solo escludendo il prodotto e la band dalla contestualizzazione relativa al periodo in cui è arrivato sul mercato. Del resto, tutto nel campo affrontato dai ragazzi delle West Midlands era già stato detto, altri stili erano decisamente più al passo coi tempi e ben altri stavano per scompaginare le carte. Di conseguenza, da valutare in maniera un po’ meno entusiasta se inserito più correttamente nel contesto della storia del metal. A Sultan's Ransom è ad ogni modo un lavoro ancora molto piacevole da ascoltare, che si inserisce in maniera ottimale in quella del gruppo e si piazza per soprammercato al numero 442 tra i 500 Greatest Rock & Metal Albums of All Time di Rock Hard. Immediatamente dopo la sua uscita, purtroppo, i Cloven Hoof ebbero dei problemi contrattuali che li portarono a uno scioglimento nel 1990, per poi tornare in pista nel 2004 e in tempi più recenti, a pubblicare vari album, con Age of Steel del 2020 a risultare la loro ultima fatica nel momento in cui queste righe vengono scritte. Sempre in un certo ritardo rispetto ai tempi, ma probabilmente poco interessati a queste faccende, i Cloven Hoof non fallirono nemmeno questo colpo. Peccato che in pochi se ne accorsero.
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Uno dei migliori lavori heavy della sua era. 85 |
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La NWOBHM incontra lo USPM in questo disco che a mio parere è il loro capolavoro, con una prestazione stellare di Russ North e pezzi bellissimi come Astral Rider , Forgotten Heroes e Notre Dame, disco da avere e band che avrebbe meritato molto di più... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Astral Rider 2. Forgotten Heroes 3. D.V.R. 4. Jekyll and Hyde 5. 1001 Nights 6. Silver Surfer 7. Notre Dame 8. Mad, Mad World 9. Highlander 10. Mistress of the Forest
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Line Up
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Russ North (Voce) Andy Wood (Chitarre) Lee Payne (Basso) Jon Brown (Batteria)
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RECENSIONI |
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