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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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16/05/2020
( 1846 letture )
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Raramente ci siamo trovati in difficoltà a classificare un album secondo le canoniche collocazioni come nel caso dell’ultima release degli Horisont e il perché è facilmente spiegabile: parti con la prima traccia e ti trovi un vivace motivo da pianoforte che ricorda l’Elton John più scatenato a cui in breve tempo si agganciano le chitarre hard anni settanta, passi alla seconda e non puoi non riconoscere la raffinatezza del rock progressivo mentre nella terza l’attacco iniziale è farina del sacco di Mark Knopfler. Potremmo continuare per tutte le undici tracce di Sudden Death, sesto disco dei riconosciuti maestri svedesi del retro-rock, e per ognuna di esse troveremmo infiniti spunti; un’idea carina sarebbe quella di farlo ascoltare a chiunque voglia farsi una cultura del rock a 360° e, man mano, risalire agli ispiratori di ogni singolo passaggio. La cosa in realtà non dovrebbe stupire per lo meno chi ha in mente lo storico di questo gruppo: partiti alla stregua di act come Graveyard e Rival Sons, cimentandosi con un interessante e allo stesso tempo limitante heavy rock di stampo 70’s, sono passati in maniera inaspettata ad un incrocio tra heavy metal e prog rock con il magnifico Odyssey (per chi non lo conoscesse, basti ascoltare la title track e si apre un mondo) per poi stabilizzarsi al ribasso con il precedente About Time ed evitando di proseguire con altre sperimentazioni. O meglio, sperimentare sì ma senza osare troppo, andare sul sicuro salendo sulle spalle dei giganti, come si suol dire. Stessa cosa hanno fatto all'interno di Sudden Death, hanno attinto da un ampio coacervo d’influenze e hanno mostrato nuovamente un’invidiabile pasta artistica; La missione era quella di fare il disco che volevamo, non quello che la gente si sarebbe aspettata da noi afferma il frontman e pianista Axel Söderberg, aggiungendo che la loro metodologia di scrittura prevede il fine di andare oltre ciò che si ritiene possibile, sempre più in alto e più forte dei pregiudizi. Se questo “andare oltre” può essere declinato nell'assemblare in maniera sempre più varia i rimandi di un passato da “golden era” del rock, il risultato è assodato.
In quattordici anni di attività la composizione interna degli Horisont si è mantenuta per quattro quinti più che stabile, ad eccezione di un paio di cambi nel ruolo di chitarrista a fianco di Charles Van Loo, caratteristica che ha aiutato nel trovare dei punti di riferimento fissi e duraturi riscontrabili anche questa volta. Il background cultural-musicale dei cinque è vastissimo e se lo volessero potrebbero veramente dilatare al massimo questa natura camaleontica incentrando ogni loro prossima uscita su un singolo sottogenere: arena rock, AOR, hard rock, soft rock, country, progressive. Ma attualmente sembrano più interessati a mescolare tutte le carte in tavola ad ogni botta e mostrare, con una certa dose di orgoglio, la propria padronanza di questi antichi mezzi; operazione che se fatta in maniera accorta e con la conoscenza della materia produrrà esattamente quanto udibile in Sudden Death, un LP da assicurarsi a scatola chiusa. Partiamo dai due brani più lunghi: Free Riding è un furto con scasso dalla discografia degli Eagles a cui è annesso un intermezzo di sintetizzatore che strizza l’occhio a Tony Banks mentre la conclusiva Archaeopteryx in Flight è una delicatissima escursione strumentale che ci restituisce tutto l’amore degli svedesi per i Pink Floyd e per le venature ancora prog e new wave che si insinuano nella suite, composta da momenti solisti delle “twin guitars” alternati ad un velluto di tastiere che ammansirebbe anche il più esagitato di questo mondo. Le principali differenze con il passato, anche recente, degli Horisont stanno nella progressiva pulizia del suono e nella ormai marginale impronta hard rock rispetto a sfumature più leggere e contaminate anche col pop, nonché dal richiamo nei testi alla “poetica” del country americano à la George Jones e affini; ecco dunque che una semplice canzone rock’n roll come Runaway rischia di essere l’episodio più duro a livello di sound dell’intero platter, e nemmeno il più azzeccato qualitativamente. I momenti migliori vanno invece cercati in Into the Night e nel suo refrain da stadio, un coro liberatorio e revivalista che non fa prigionieri, oltre che in quella atmosfera patinata e orecchiabile che pervade tutto l’inciso; nello psych rock di Breaking the Chain con il quattro corde di Magnus Delborg e l’ariosa voce di Axel in prima linea oppure nell'ispiratissima Standing Here, traccia che sa di Texas e di Marlboro Red nella più classica delle accezioni positive, omaggio al southern d’annata. I cinque strumentisti non sono fenomeni individuali ma sono circondati da un’alchimia che riteniamo sia il fattore chiave di questo ennesimo centro in studio, quello che permette di risultare più che credibili in un contesto di grande eterogeneità.
Il picco irripetibile per gli Horisont è probabilmente già stato scritto con l’uscita cinque anni fa di Odyssey, tra i migliori prodotti di genere del ventennio appena concluso nel quale i Nostri apparivano come la reincarnazione modernizzata degli Uriah Heep, per usare un’iperbole che abbia un minimo di senso; ma quando si possiede un talento simile è quasi impossibile presentare un prodotto scadente, cosa infatti mai successa ai nostri nordici. Sudden Death spiazzerà i fan del gruppo sin dal primo brano, qualcuno penserà ad una becera commercializzazione caldeggiata dalla Century Media o ad un’ispirazione in calo ma siamo convinti che giunti alla fine del “volo dell’archaeopteryx” in pochissimi saranno delusi da questa direzione giacché anche nella musica, come in tutti gli ambiti della vita, esistono delle considerazioni oggettive a cui non ci si può sottrarre, e il fatto che questi individui siano grandi musicisti e compositori crediamo sia proprio una di queste.
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4
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Appena comprato. E ancora una volta mi trovo d'accordo con @Shock. In larghi tratti mi hanno ricordato la NIghtflight Orchestra. Al momento non mi sbilancio perché esagererei con i superlativi. Adesso andrò a rispolverare Time warriors (l'unico che avevo) perché mi ricordavo qualcosa di completamente diverso (ma altrettanto valido)
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3
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Uno dei migliori gruppi, e anche dei meno "famosi" gruppi che riprendono il suono tipico dell'hard rock anni settanta, tornano con un disco dalla copertina orrenda ma con una qualità compositiva molto alta, anche grazie al recupero di sonorità più da fine anni sessanta, grazie anche all'uso di sintetizzatori, e con una serie di canzoni veramente eccelse.
Disco da 85. |
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2
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Al di là dell'effettivamente cover oscena, il disco è assolutamente godibile: qua più che retro rock direi proprio retro retro, infatti ci sono più richiami agli assi sessanta, tra un Eagles, Hellacopters, synth e quant'altro il gruppo ha sfornato un disco da ascoltare più volte per cogliere in pieno ogni sfumatura. Nel genere uno dei migliori dell'anno. |
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1
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E dell'artwork...ehm....non diciamo niente? |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Revolution 2. Free Riding 3. Pushin' The Line 4. Into The Night 5. Standing Here 6. Runaway 7. Gråa Dagar 8. Sail On 9. Breaking The Chain 10.Hold On 11.Archaeopteryx In Flight
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Line Up
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Axel Söderberg (Voce, Piano) Charles Van Loo (Chitarra) David Kalin (Chitarra) Magnus Delborg (Basso) Pontus Jordan (Batteria)
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RECENSIONI |
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