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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Nargaroth - Geliebte des Regens
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06/06/2020
( 1251 letture )
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Vivere il black con la massima naturalezza, scrivendo musica che è pura esternazione del sé senza troppi fronzoli e senza dover di annaspare nel tentativo di soddisfare l'incontentabile platea dei puristi; Nargaroth è semplicemente questo, o per meglio dire Kanwulf in seguito rinominatosi Ash. La one-man band tedesca rilasciò nel 2003 Geliebte des Regens, un macigno di settantatré minuti, spezzettato in sei tracce di oltre dieci minuti l'una, eccezion fatta per l'intro. L'accoglienza infatti è lasciata a quattro minuti di suoni ambientali, che fanno affondare l'ascoltatore in una foresta sotto la pioggia, con solo un didgeridoo immerso tra rombi temporaleschi. Con un monocromatismo nero che tende all'inverosimile, il resto dell'album è pura ed estraniante solitudine, una raschiatura sonora che cancella il circostante e lascia l'ascoltatore solo con sé stesso, tra abrasive chitarre, ritmiche ostinatamente invariate e uno scream che s'amalgama nel tutto. È inevitabile far volare il pensiero a Filosofem, dato che il richiamo a brani di burzumiana memoria è il modo migliore per far intendere subito di che registro si sta parlando. La ripetitività in musica è sempre stata oggetto di dibattito, essendo una questione delicata da affrontare, soprattutto quando si parla di produzioni che son venute dopo certi dischi riconosciuti universalmente come capolavori e che hanno fatto di questa caratteristica il loro tratto saliente. Il suo non essere di immediata comprensione porta irrimediabilmente a enormi sopravvalutazioni o sottovalutazioni, e quando i giudizi si fanno particolarmente prepotenti e la possibilità di discussione va a farsi benedire, su questo genere di produzioni piove una sconfinata serie di giudizi, con ognuno che cerca di essere il più contro-corrente possibile, come se esistesse sempre un'unica ragione per poter validare un disco.
Questa breve premessa sulla ripetitività è necessaria per poter affrontare al meglio Geliebte des Regens, perché troppo facilmente potrebbe essere liquidato come un citazionismo ad artisti considerati più grandi di lui o al contrario elevato a capolavoro assoluto per pochi elitisti. Kanwulf non fa musica per scherzo, e questo è il primo punto su cui conviene soffermarsi. La sua musica non è emulazione, non è fomento immaturo di chi vuole affrettarsi a farsi un nome scegliendo vie già percorse senza aggiungerci del suo. Laddove si vuole sacrificare originalità e varietà, bisogna compensare con un forte coinvolgimento emotivo e sperare che l'ascoltatore possa avere almeno qualche recettore che gli permetta di comprendere il discorso nascosto dietro certe scelte di stile. L'autenticità delle sensazioni, pertanto, è il fulcro intorno al quale bisogna girare per poter evitare di dare giudizi inappropriati su quest'album. Il senso di solitudine che si instaura nell'ascolto delle lunghe tracce è praticamente automatico, fin da quando si fanno i primi passi nell'infinito bosco nero di Manchmal wenn sie schläft, brano su cui torneremo più avanti per forza di cose. Le poche variazioni sono inserite con ingegno, dopo i giusti periodi di saturazione, con dissonanze che rendono sempre più estraniante il viaggio lungo sentieri non scritti. I piatti della batteria sbattono ostinati, incessanti e mai frenetici, sono il continuo in musica della sordida pioggia dell'intro, e con il loro tintinnare scandiscono gli inutili secondi di un tempo infinito e senza variazioni. Il tempo e lo spazio perdono valore, e questo è uno dei profondi aspetti della solitudine, in cui appunto un elemento, se veramente isolato, è talmente estraniato e al di fuori del resto da non poter avere più riferimenti e interconnessioni. L'isolamento fisico pertanto tende a combaciare con l'isolamento più intimo, spirituale, sperimentando così un concetto di solitudine che si espande su tutte le dimensioni e su tutti i piani. In questo, anche gli altri brani come Wenn Regen liebt e Von Scherbengestalten und Regenspaziergang, nonostante siano effettivamente diversi e distinguibili dalla prima traccia, ascoltati in successione cedono il posto alla prossima traccia quasi senza soluzione di continuità. E qui, dopo quaranta minuti, accade qualcosa di strano. La quinta traccia è in realtà nuovamente la seconda traccia con delle piccole differenze. Per quanto questa cosa possa per alcuni smorzare sensibilmente il giudizio sull'album, riflettere sul suo posizionamento potrebbe essere la chiave per capirne il motivo. Infatti, come si è detto all'inizio con l'intro, il disco è ben equiparabile a un viaggio sconfinato in un bosco indefinito. Nell'infinito vagheggiare di album come questo, vi è comunque un implicito e inevitabile senso di linearità e di prosecuzione, dato dallo scorrere delle tracce. In Geliebte des Regens questo impreciso errare ci ha riportati a un certo punto in un posto in cui ci sembra già di essere stati: ci si è persi nel bosco. Il senso di dispersione, di perdizione e privazione dell'orientamento quindi si accentua: si è ritornati dove ci si trovava al momento della seconda traccia, si è girato in tondo, senza mai avvicinarsi a una parvenza d'uscita o a un sentiero più chiaro. L'unica differenza rispetto a prima è appunto data dal nostro precedente passaggio, da qualche rametto spezzato e poco altro. L'angoscia dovuta al totale annullamento dell'esterno è ormai forte, ma l'abbandonarsi al vuoto rimane stranamente piacevole, un sollievo, grazie all'ipnosi frutto di poche note fin troppo eloquenti.
Il finale di Outro - Leb' wohl ci restituisce infine al mondo, ritorna la pioggia naturale, ma il bosco è ancora dietro di noi e continua ad esercitare una sinistra influenza. La chitarra non smette di stridere, di sollevare i toni per poi farli riaffondare nella coltre, e ci si sente nuovamente ghermiti dagli invisibili artigli della solitudine, ancora troppo invitante. Tuttavia, a un certo punto l'album dovrà pur finire, ma nessuno ci vieta di premere per sbaglio nuovamente play, come se il tutto fosse ripartito da solo. Geliebte des Regens riesce ad affascinare, perché si avverte un sentimento autentico dietro qualcosa di così criptico. Ovviamente, è indispensabile trovarsi ben predisposti per poter godersi appieno l'esperienza, e anche se per chi è tipico del genere è un consiglio che passa quasi in sordina è sempre doveroso farlo. Kanwulf/Ash è un musicista consapevole, sa quello che fa e per chi lo fa, e vive l'arte forse più della sua vita stessa. Probabilmente per chi già è cultore delle produzioni alla Filosofem e apprezza il black più rarefatto e depressivo quest'album è un titolo noto, ma nell'ipotetico caso in cui non lo fosse la sezione rispolverati di Metallized è proprio qui per questo.
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3
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In mancanza di esilio volontario dal sistema odierno,consiglio Wigrid e Trollskogen per salvifica immersione forestale. |
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2
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Pur essendo un cultore del genere, all\'epoca non mi diede magia.Molto distante dalla perla assoluta Filosofem.Lo trovai prolisso e poco spontaneo. |
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1
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Macigno depressive molto bello. Uno dei migliori album di Ash sicuramente. Ci può stare anche qualche punticino in più. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Intro - Calling the Rain 2. Manchmal wenn sie schläft 3. Wenn Regen liebt (Zwiegespräch mit mir) 4. Von Scherbengestalten und Regenspaziergang (Vision eines realen Todes) 5. Manchmal wenn sie schläft (In musikalisch differenter und kristalliner Lebensform) 6. Outro - Leb' wohl
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Line Up
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Kanwulf (Voce, Chitarra, Basso, Didgeridoo, Effetti) L'Hiver (Batteria)
Musicisti ospiti D. (Didgeridoo)
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