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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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29/08/2020
( 1723 letture )
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Correva l’anno 1982 quando i Manilla Road pubblicarono il loro secondo album, Metal. Il gruppo, nato in Kansas nel 1977 e capitanato dal cantante e chitarrista Mark Shelton, riesce per la seconda volta a creare un qualcosa che si rivelerà un’evoluzione importante per la nascita del filone da loro definito “epic-metal”. Metal rappresenta un grande passo avanti rispetto a Invasion non allontanandosi però completamente da quanto fatto al debutto. L’album incarna perfettamente l’essenza dell’allora primordiale epic-metal: non si allontana troppo dalle sonorità del classico heavy metal, anzi, si possono trovare addirittura residui di doom o di rock anni ‘70, ma al contempo il songwriting racchiude in ogni angolo epicità e riferimenti a racconti eroici. Difatti l’epic all’epoca si manifestava sui contenuti più che nelle sonorità (che come vedremo sapranno comunque essere a loro modo maestose, delle vere e proprie cavalcate). Prima di parlare più strettamente di Metal bisogna precisare un dettaglio. Ci troviamo di fronte a dei Manilla Road giovani, distanti da una produzione mirata e da una consapevolezza stilistica che troveremo per esempio in Crystal Logic, Open the Gates o The Deluge. L’album è stato prodotto in pochi mesi e molto probabilmente con mezzi non perfettamente adeguati alla riuscita del tutto. Ne consegue che la qualità sonora non è il punto di forza del CD. Il gruppo però con abilità copre questo deficit con sette ottimi brani, in cui composizione, idee e stile la fanno da padroni. Anche le influenze prog, space, doom o di qualsiasi altro genere possono diventare sfumature piacevoli nella complessità dell’album.
Le danze si aprono con la ruvida cavalcata Enter the Warrior, in cui, spada e scudo alla mano, si prende posto nel campo di battaglia. Si notano subito la voce roca e profonda di Shelton e una solida ritmica che cavalca per tutta la canzone, fino ad arrivare ad un fastoso assolo di chitarra, che slancia il brano per poi lasciare spazio fino alla fine al riff iniziale. Breve ma intensa è Defender, un vero e proprio grido di battaglia puramente heavy metal. Queen Of The Black Coast come da titolo è ispirata dall’omonimo capitolo facente parte della serie “Conan il Barbaro” di Howard. Il pezzo prosegue quanto già visto in precedenza. È una traccia epica fortemente influenzata dal metal britannico di fine anni ‘70. Chitarra, batteria e basso martellano e accompagnano la caratteristica voce di Mark con ritmiche serratissime. La title track, Metal, arpeggiata, lenta e pulita, ma sul finale come sempre ruggente, è un vero e proprio inno al metallo, epicamente inteso come catene che opprimono o spade per raggiungere il Valhalla. Out of Control with Rock n’ roll è un elogio al rock, sempre intrecciato in maniera evocativa ed esaltante, come lo sono testo e musica. Il penultimo pezzo, forse uno dei migliori, è Cage of Mirrors, un’eroica lotta contro Lucifero e i suoi guerrieri dalla durata di quasi nove minuti. È un brano complesso, intrecciato tra strofe incantevoli e leggere (in cui il canto è pulito e gli strumenti hanno un suono ricco di effetti come reverberi o chorus) e parti in cui la voce graffia e in cui torna la rude distorsione della chitarra, che è protagonista di riff serrati e veloci assoli. La chiusura dell’album spetta a Far Side of the Sun, tratta da Invaders (la cui versione dura circa il doppio ed è più “space” nella parte strumentale). Il viaggio spaziale verso l’altro lato del Sole chiude il disco nel modo con cui è iniziato, ossia all’insegna di un suono crudo e massiccio.
Tirando le somme: l’album è generalmente buono, anzi, può essere considerato ottimo vista la storia del gruppo e del genere. In Metal i Manilla Road non sono ancora arrivati alla forma più “completa” del loro epic metal, ma sono sulla buona strada. Testi, composizione e idee sul piano musicale e stilistico sono apprezzabili se pur minati da una produzione non propriamente adeguata. L’ascolto è arricchito, ma anche reso più impegnativo dall’emergere di influenze e stili, che rendono l’album non sempre omogeneo e fluido (in particolar modo nella seconda metà dell’ascolto). Si sorvolano questi piccoli difetti considerando l’importanza storica (ma anche musicale) dell’album e le immense e mai troppo declamate qualità del gruppo. Siamo ancora lontani dai già citati successivi capolavori del gruppo, ma ci troviamo sicuramente di fronte a una pietra miliare del metal, sicuramente apprezzabile dai fan incalliti del genere e del gruppo, ma anche da un pubblico più esteso (mai raggiunto dalla band), che si troverà di fronte ad un album storico, imponente, ben composto e ricco di stimoli, che trova i suoi limiti nella produzione, ma che comunque si lascia ascoltare e che nonostante il peso degli anni riesce ancora a divertire.
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5
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Così come nell’esordio, qui i Manilla Road sono in fase di rodaggio. Stilisticamente ancora in fase di ricerca, cominciano però già a far intravedere qualcosa dell’imminente glorioso futuro, come nella title-track, nell’opener o nella già edita Far Side of The Sun. Allo stesso tempo rimane già impresso il timbro unico di Mark Shelton. Il divario con i 3/4 album successivi è tuttavia ancora ampio. Voto 75 |
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4
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Un buon album, abbastanza grezzo e dal suono ancora poco definito. Voto 72 |
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3
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Corretto! Grazie mille della segnalazione David D. |
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2
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C'è un errore nella recensione all'inizio, il primo disco dei Manilla si chiama Invasion, non Invaders. |
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1
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Disco non troppo definito ma proprio per questo ottimo, in un epoca di formalismo coatto come quello odierno , e non solo in musica, spicca per le innate qualità intrinseche. Quelle che hanno fatto del rnr una musica inimitabile e inimitata. Perche' è essenza stessa del rock. E fanculo ai replicanti |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Enter the Warrior 2. Defender 3. Queen of the Black Coast 4. Metal 5. Out of Control with Rock & Roll 6. Cage of Mirrors 7. Far Side of the Sun
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Line Up
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Mark Shelton (Voce, Chitarra) Scott Park (Basso) Rick Fisher (Batteria, Cori)
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