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Tool - Opiate
31/10/2020
( 3006 letture )
Quando si parla di Opiate, si pensa ai Tool come una band molto lontana dal sound odierno, considerando soprattutto il salto stilistico dal loro primo EP a quell’esordio cupo e già indirizzato di Undertow (1993). Lo scenario dei primi anni novanta a Los Angeles era impregnato di grunge, crossover, alternative metal e strutture classiche del metal in via di decadimento. La strada intrapresa da due giovani Adam Jones e Maynard James Keenan, entrambi amici di Tom Morello dei Rage Against the Machine prende tuttavia una svolta nel momento in cui quest’ultimo presenta Danny Carey ai due futuri fondatori dei Tool. Le strade delle due band citate si sono incrociate molte volte, da concerti che li hanno divisi da due parti diverse dal palco, fino a tournée in cui questa distanza è stata abbattuta. Questa crescita parallela ha in parte influenzato il punto di partenza di una band -chiaramente- destinata a cose più grandi. Adam Jones e compagni, quasi del tutto scevri delle strutture progressive che sarebbero arrivate nei dischi successivi, puntano tutto su un sound aggressivo e ruvido, dall’attitudine vagamente punk (non nel senso strettamente melodico, ma da un punto di vista di approccio musicale).

I primi secondi di silenzio di Sweat sono la calma prima della tempesta: la batteria tirata e le chitarre gonfie aprono un brano che -come molti della band- ha dei versi molto ambigui che narrano il disagio di rivivere ciclicamente la propria vita (o in maniera altrettanto probabile un bad trip dovuto alle droghe).

"Seems like I've been here before
Seems so familiar
Seems like I'm slipping
Into a dream within a dream
It's the way you whisper
Drags me under
Takes me home"
(Sweat)


La voce teatrale e multi-registro di Maynard spicca immediatamente sopra i riff della sei corde che si incastrano alla perfezione con i giochi di piatti di Danny Carey, che fin dai primi tre minuti di carriera non si risparmia assolutamente nulla. Hush è invece il primo proto-singolo dei Tool, brano corto e dalle venature sfrontatamente metal/punk che mette in risalto una costruzione semplice e un messaggio volutamente chiaro è secco.

"Fuck you
I can't say what I want to
Even if I'm not serious
I can't say what I want to
Even if I'm not serious
Things like
Fuck yourself, fuck yourself
You piece of shit, why don't you just go kill yourself?"
(Hush)


Dopo pochi giri di basso slappato l’urlo primordiale di Keenan entra a gamba tesa esprimendo in maniera molto nitida e sintetica il pensiero della band riguardo alla censura musicale. Non sono solo le parole ad essere violentissime, ma anche le immagini del video promozionale girato fecero scalpore, ritraendo i membri della band nudi con del nastro adesivo nero a croce sulla bocca e gli adesivi "PARENTAL ADVISORY - EXPLICIT CONTENT". Il brano è tratto -come Cold and Ugly, Part of Me e Jerk-Off- dalla prima demo della band 72826 (1991). La successiva Part of Me è un altro pezzo che segue la tradizionale forma canzone, basandosi tuttavia su riff veloci e incalzanti che non lasciano un secondo di respiro all’ascoltatore.

"I know you well, you are a part of me
I know you best, better than anyone
I know you well, you are a part of me
I know you best, better than one might think
It's time for you, to make a sacrifice
It's time to die a little, give it up"
(Part of Me)


Nonostante la proposta furiosa, spuntano i primi versi sull’autocoscienza e sulla critica di se stessi. Il cantante lascia che il suo subconscio parli con la sua parte razionale, giungendo alla conclusione che solo la morte dell’ego (intesa come parte cosciente) possa lasciar trascendere l’individuo verso la crescita personale. Cold and Ugly è uno dei due brani live, registrati nella notte del trentuno dicembre del 1991 ad Hollywood contenuti su questo EP. La band lascia alla chitarra l’arroganza di aprire il brano con un riff appartenente al metal più classico, per poi relegarsi ad un ruolo più decorativo durante le strofe. Gli splendidi vocalizzi di Maynard veicolano l’andamento melodico con maestria è sono la vera ciliegina sulla torta del pezzo.

"Underneath the skin and jewelry
Hidden in her words and eyes
Is a wall that's cold and ugly
And she's scared as hell"
(Cold and Ugly)


Seppur in maniera più acerba rispetto al brano precedente, i Tool continuano a parlare di false apparenze e scheletri nell’armadio, dove la struttura siamo noi stessi e gli scheletri le paure nascoste dentro la nostra anima. Le tematiche rimangono pesanti anche nella seconda esibizione live dell’EP con Jerk-Off, canzone che parla di giustizia e persone che oltrepassano la linea, mettendosi al di sopra di essa.

"Someone told me once that there's a right and wrong
Punishment would come to those who dare to cross the line
But it must not be true
For jerk-offs just like you, and
Maybe it takes longer
To catch a total asshole
But I'm tired of waiting"
(Jerk-Off)


L’attesa divora Keenan e la rabbia viene espressa tramite sezioni ai limiti del thrash metal, con un brano furente e che non fa prigionieri. Maynard si augura -in maniera volutamente provocatoria- di vestire i panni di Dio e poter fare giustizia da sé. Ovviamente non è questo l’esempio da seguire, ma il brano punta a lasciar riflettere l’individuo sullo sbaglio di porsi al di sopra della giustizia. Il pezzo esplode su uno degli urli più aggressivi della storia della band, della durata di quasi undici secondi e con una strofa finale cantata con una cattiveria inaudita. Torniamo infine in studio per la titletrack del disco: armonici eterei, sensazioni musicali volubili, una linea di basso protagonista e un approccio vocale multiforme sono gli ingredienti che ci permettono di riconoscere lo stile che da lì a qualche anno porterà la band nell’Olimpo. Nonostante alcuni frangenti più aggressivi di Opiate siano profondamente ispirati ai Rage Against the Machine, le parti più lente e di costruzione del climax lasciano a intendere un prossimo e forte avvicinamento al progressive.

"Choices always were a problem for you
What you need is someone strong to guide you
Deaf and blind and dumb and born to follow
What you need is someone strong to guide you

Like me"
(Opiate)


La religione è l’oppio dei popoli e -citando Marx- Maynard Keenan scaglia la sua prima pietra verso uno degli argomenti a lui più caro. La critica ai cristiani -e a tutte le religioni organizzate- è quella di creare seguaci incapaci di avere delle scelte personali, poiché fortemente influenzati dai dogmi della fede. La mancanza di libertà che viene ceduta per un posto in paradiso è per il cantante un modo di vivere inaccettabile

"Thy god's will
Becomes me
When he speaks
He speaks through me
He has needs
Like I do
We both wantTo rape you"
(Opiate)


Il brano va a chiudersi in maniera dissacrante e potente, con un Keenan che diventa una guida religiosa e parla per conto di Dio. Lo stupro viene usata come metafora per indicare quanto le privazioni e la mancanza di libero arbitrio imposti dalla fede tolgano tutto all’individuo lasciandolo solo con le sue convinzioni personali. In una grande incursione finale la titletrack chiude il disco con la stessa forza con la quale lo ha aperto, lasciando tutto sospeso in un limbo di silenzio. Poco dopo il sesto minuto iniziano a tornare dei rumori dalle casse e nuovamente i Tool riemergono in maniera confusa e psichedelica. The Gaping Lotus Experience è una porzione nascosta di musica posta alla fine della stessa traccia di Opiate e mette in risalto la dimensione onirica della band. Tra citazioni al comico statunitense Bill Hicks -lo stesso alla quale è dedicato Ænima- e voci che chiamano prima Maynard e poi Satana, i Tool sperimentano la loro personale esperienza di musica e psicoattività.

Opiate è un EP ricco di strutture e spunti interessanti, seppur sviluppati con un songwriting ancora vagamente acerbo. La produzione ruvida è quella meno curata all’interno della discografia della band, ma anche per questo il platter risulta unico e ben si sposa nella proposta dall’atteggiamento sfacciato. Da un punto di vista musicale, nonostante gli sviluppi futuri, non mancano i classici tempi imprevedibili che hanno reso nota la band -nonostante le strutture musicali più abbordabili- e gli impulsi di ferocia guidati da Keenan e Carey, tra doppie casse e urla liberatorie. Opiate non presenta pezzi da novanta e ancor di più se paragonato ai suoi successori brilla di una luce propria meno intensa. Nonostante ciò ha la dote unica di rappresentare un breve, ma fondamentale punto di elaborazione per i Tool e lascia all’ascoltatore la bellissima e pura immagine di una band sull’orlo di esplodere in una galassia di suoni e sensazioni unica.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
88.43 su 16 voti [ VOTA]
Vicarious
Domenica 8 Novembre 2020, 12.29.57
4
Graffiante, acerbo, provocatorio. Impossibile non amarli
Mainardo e compagnia bella.
Mercoledì 4 Novembre 2020, 23.39.18
3
Senz' altro il migliore dei Tool, non si discute. Voto 98.
Rob Fleming
Sabato 31 Ottobre 2020, 17.23.47
2
Rabbioso e graffiante. Però in più di un'occasione si avverte quella marcia in più. 73
Indigo
Sabato 31 Ottobre 2020, 13.42.41
1
A me questo lavoro piace molto. Vero che è un po' "acerbo " rispetto ai capolavori successivi ma ogni traccia è valida e come dice giustamente @Axoras è un ottimo frame della band tra il primo demo e il primo vero album. Opiate è il brano che preferisco sia a livello musicale sia a livello tematico, davvero tagliente nel criticare la religione e il suo potere di condizionare i più deboli. Ottimo, mi aspetto la recensione di Salival che contiene delle chicche mica da ridere
INFORMAZIONI
1992
Zoo Entertainment
Alternative Metal
Tracklist
1. Sweat
2. Hush
3. Part of Me
4. Cold and Ugly
5. Jerk-Off
6. Opiate
Line Up
Maynard James Keenan (Voce)
Adam Jones (Chitarra)
Paul D’Amour (Basso)
Danny Carey (Batteria)
 
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