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Pride of Lions - Lion Heart
07/11/2020
( 1187 letture )
Siamo bonariamente indispettiti nei confronti di Jim Peterik! Sembra talmente preso dai vari progetti di cui fa parte fra The Ides of March, Jim Peterik and The World Stage, collaborazioni altolocate come quella con Robert Lamm dei Chicago o ancora quella con l'ex Styx Dennis DeYoung da aver quasi dimenticato la sua creatura migliore attualmente sul mercato, cioè i Pride of Lions. Rievocatori di un avvincente sound ottantiano dai connotati melodic hard rock, la combo Peterik/Hitchcock è stata in grado di entusiasmare gli amanti delle sonorità eighties fin dall'omonimo esordio attraverso melodie rimembranti il glorioso passato del leader della band e quindi dei suoi Survivor. Sull'ultimo Lion Heart questo avviene forse persino troppo ma per il momento limitiamoci nel constatare che il sesto album in studio dei Pride of Lions, pur regalando tanti momenti esaltanti, risulta meno ammaliante dei suoi illustri predecessori e qualche volta cade nel citazionismo perdendo di vista il potente strumento in proprio possesso: la mirabile voce di Toby. Le parti di tastiera (curate personalmente dal mastermind della band) ed i numerosi innesti vocali dello stesso fanno pensare ad un personalissimo quanto autoritario confezionamento del prodotto con conseguente perdita di peso e di libertà espressiva da parte del cantante; magari qualche consiglio in più in fase di stesura da parte di quest'ultimo avrebbe giovato maggiormente alla natura delle composizioni. Ciononostante -è bene sottolinearlo- parliamo di un disco AOR di pregevole fattura, degno delle migliori compagini di rock sofisticato attuali, contenente (in particolare nella seconda parte) tracks notevoli, proprio dove s'impone il singer di Kokomo. Che ciò sia un caso?

Perciò togliamoci subito i sassolini dalla scarpa evidenziando gli episodi per così dire "incriminati", quel ricorso ad escamotage d'esperienza del buon Peterik, stratagemmi dei quali in verità il settantenne non avrebbe alcun bisogno. Su We Play for Free e Good Thing Gone riecheggiano le tastiere di Popular Girl, ma mentre la prima appare una fusione sbiadita fra questa track e Because the Night, la seconda è un crescendo entusiasmante fino all'enfatico chorus. L'unica pecca della canzone è un evidente mancamento in fase di registrazione delle parti di batteria, le quali talvolta appaiono in ritardo ma per il resto giù il cappello. Sleeping with a Memory approccia come Waiting for a Girl Like You dei Foreigner facendo pensare ad un chiaro omaggio ai newyorchesi anche perché il brano racchiude quelle atmosfere eteree, sognanti e notturne proprie del pezzo citato finendo per accaparrarsi un giudizio estremamente positivo. Sollevati, avendo tolto la zavorra che ci appesantiva, approcciamo al resto del disco, il quale sembra carburare soltanto dopo quelli che in realtà dovrebbero essere i brani di punta dell'LP ovverosia la titletrack, Heart of the Warrior e Carry Me Back. Sono buoni pezzi ma dal fondatore dei Survivor ci si aspetta di più ed infatti egli non si fa attendere! Escluse la ballata scolastica Unfinished Heart (mero esercizio di stile di Toby con tanta tecnica ma poco cuore) e la skippabile Give It Away, la seconda parte di Lion Heart si dimostra all'altezza. Flagship invoca il pop/elettronico spiazzando un po' almeno inizialmente per poi catturare con un mix fra le due voci riuscitissimo sia sulle strofe, sia sulle armonizzazioni del ritornello; l'atmosfera acquatica caratterizza il maestoso finale. Rock & Roll Boom Town esprime le emozioni finora assopite sotto colate di tastiere, complice l'interpretazione sentita dei due coautori e le melodie immortali messe in mostra dal sestetto. L'intermezzo "latino" alla Carlos Santana ed il solo finale di Mike Aquino portano il brano su altissimi livelli. La proposta hard rock di You're not a Prisoner ruba ai The Cult l'abilità nel far confluire la strofa perfettamente nel ritornello, ma emerge soprattutto per meriti propri grazie ad un chorus ossessionante, alla batteria perennemente in 4/4, al basso ridondante al punto giusto ed alla composta assistenza delle chitarre. Il dolce pezzo da novanta è lasciato proprio alla fine, s'intitola Now e ci fa capire (e parzialmente anche irritare) come i Pride of Lions siano ancora in grado di scrivere brani egregi e d'interpretarli ancora meglio grazie al signore al microfono. Un Toby sontuoso infatti emoziona sui docili arpeggi dal sapore vagamente southern per poi lasciare spazio ad un assolo infinito a svanire che conclude l'album nel migliore dei modi.

Insomma cosa manca a Lion Heart? Qual è l'aspetto che lo fa essere leggermente inferiore alle precedenti uscite? Ebbene in soldoni nel corso degli anni i Pride of Lions ci hanno regalato tracks avvincenti dai ritmi rapidi come Sound of Home, Born to Believe in You, Language of the Heart o la più recente Rising Up, tanto per citarne alcune. Purtroppo in questo album neanche l'ombra di un brano di tale fattura, mentre sono (come sempre) di spessore gli episodi melodrammatici/romantici dove la dualità delle ugole regala passaggi sentimentalmente consistenti. Non risulta nemmeno un problema la ripetuta autocitazione, contestuale e quasi inevitabile all'interno del genere e presente in praticamente tutti i lavori dei nostri, bensì certamente si fa sentire una minor creatività nelle composizioni, fisiologica dopo diciassette anni di vita e tutto sommato contenuta. La speranza è che sia solo una fase passeggera perché delle emozioni donate dagli episodi suggeriti nelle prime righe delle conclusioni ne abbiamo assolutamente bisogno pure negli anni a venire.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
77.09 su 11 voti [ VOTA]
Andrew Lloyd
Sabato 7 Novembre 2020, 22.27.49
5
Sempre amati ma col precedendente mi avevano alquanto deluso. Pensavo che i livelli di "The Roaring Of Dreams" fossero un lontano ricordo, invece questo "Lion Heart" è davvero convincente. Il tempo dirà se si tratterà di un ritorno ad alti livelli. Intanto, bentornati Leoni! 80
JC
Sabato 7 Novembre 2020, 19.39.36
4
Sí beh, il finale è semplicemente strepitoso... a partire da Flagship c'è un crescendo pazzesco
Shock
Sabato 7 Novembre 2020, 16.06.42
3
Quando hai la capacità di concludere un disco piazzandosi un pezzo da novanta come Now, un bravo da brividi veri, vuol dire che riesci sempre a scrivere grande musica. Magari non è il loro migliore, magari ha un che di già sentito, ma quando fai uscire un disco simile, poche balle, sei semplicemente un grande musicista (qui due), e riesci a fare uno dei migliori dischi del genere dell'anno.
Aceshigh
Sabato 7 Novembre 2020, 14.04.37
2
Mi è piaciuto. Concordo sul fatto che forse manca il vero “pezzone”, ma allo stesso tempo delle 12 tracks non ne scarterei una: il livello medio rimane sempre bello alto. Non ho notato questo scarto tra la prima e la seconda metà dell’album (anzi, Carry Me Back per esempio, con quel giro armonico strano nel refrain, mi è piaciuta un casino). Toby sempre una grande voce. Comunque nel complesso concordo con il voto della bella recensione.
JC
Sabato 7 Novembre 2020, 12.33.49
1
Per me un ottimo disco; è vero, a tratti è da manuale; è vero, la magia del disco di esordio è forse irreplicabile. Però qui si incontrano melodie stupende e tecnica, in un connubio felice, con una teatralità che esalta i singoli pezzi. Ho dato 80, ma non da fan, in piena oggettività. Recensione scritta col cuore (di Leone) che mi è piaciuta tantissimo.
INFORMAZIONI
2020
Frontiers Records
AOR
Tracklist
1. Lion Heart
2. We Play for Free
3. Heart of the Warrior
4. Carry Me Back
5. Sleeping with a Memory
6. Good Thing Gone
7. Unfinished Heart
8. Flagship
9. Give It Away
10. Rock & Roll Boomtown
11. You're Not a Prisoner
12. Now
Line Up
Toby Hitchcock (Voce)
Jim Peterik (Voce, cori, chitarra elettrica e acustica, tastiere, percussioni)
Mike Aquino (Chitarra solista e ritmica)
Christian Mathew Cullen (Sintetizzatore, programmazione)
Klem Hayes (Basso)
Ed Breckenfeld (Batteria, percussioni)

Musicisti ospiti
Kevin Campbell (Basso nella traccia 1)
Colin Peterik (Batteria nella traccia 1)
 
RECENSIONI
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