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Magellan - Impeding Ascension
28/11/2020
( 1515 letture )
I Magellan sono una di quelle band la cui fine è meglio non ricordarla, dati i tragici avvenimenti accaduti a Wayne e Trent pochi anni fa. Purtroppo un peccato enorme, parliamo infatti di due fratelli la cui inventiva si è espressa in una discografia coraggiosa -a tratti fin troppo- ma che proprio per questa sua essenza spavalda è riuscita e ritagliarsi una fetta di pubblico altrettanto sofisticata. Perché in fondo di questo si sta parlando, di una realtà che ha saputo osare nell’ambito del rock e metal progressivo, con influenze che andavano dal rock tradizionale anni ’80 e ‘90 fino all’elettronica più art che ancora oggi presenta release fin troppo antiquate se confrontate proprio con le idee dei Magellan. Passare quindi a parlare del loro secondo lavoro Impeding Ascension è un qualcosa che non si può rinchiudere alla mera analisi dei brani presenti al suo interno, bensì a quanto oggi siano ancora apprezzabili o meglio ancora “coraggiosi”: il progressive non è forse sfidare il futuro a muso duro ma davanti a uno specchio?

L’approccio più spontaneo per parlare di questa perla luccicante ma, al contempo, non rifinita e lucidata a dovere, è quello di analizzare le pietre angolari e quindi le tre suite da oltre dieci minuti: l’opener Estadium Nacional, la successiva Waterfront Weirdos e la penultima Storms and Mutiny. Tre pezzi che nel complesso compongono più di metà dell’album, costituendo le porte di entrata e di uscita di Impeding Ascension. Attraverso le loro atmosfere scardinate, i colori estremamente saturi alternati a bianchi e neri cupi, fino ai climax emozionali; tutto in queste suite -seppur non perfette- risulta divertente e mai banale, mai prevedibile. Iniziando l’ascolto verrete investiti da una intro acapella in stile Queen, poi sezioni completamente eterodosse con il tutto che costituiscono questo puzzle dal disegno complessivamente carnevalesco. I riffoni a piena chitarra progressive tipica degli anni ’90 che si interrompono per variazioni sincopate ed oscure, quasi inaspettate. Le parole d’ordine sono dunque divertimento e originalità, con comune denominatore la sregolatezza sognante dei Magellan. Ricordate poi questa infrastruttura policromatica in cui sono inserite parentesi di oscurità, poiché sono non solo la struttura delle singole suite ma dell’intero platter.
I climax dopo l’arpeggio di piano di Waterfront Weirdos, le sue linee vocali fresche, giocherellone quasi e accompagnate da sezioni elettroniche, soli di tastiera, giri alle pelli sui tom così ben cadenzati che quando si giungerà alla scala chitarristica, e poi al successivo leitmotiv ripetuto, non si potrà che godere. Parliamo infatti senza di dubbio di uno dei brani più azzeccati di tutto il disco. La drammatica fine con sonorità epiche e audaci, è capace poi di ricollegarsi proprio all’ultima suite del trittico, cioè Storms and Mutiny. Aperta dall’intermezzo No Time for Words (esplicativo il titolo essendo costituita da soli tastiera, basso e batteria) è ancor più cupa delle precedenti, continuando in riff mutati di matrice Tool come potremmo asserire oggi senza timore di smentita: uno sviluppo sinusoidale tra fasi concitate e fasi più cervellotiche, sino all’arpeggio finale.
Eppure, nonostante siano brani compatti e nel complesso ottimamente realizzati -nonché completamente fruibili ancora oggi seppur a tratti fin troppo idiosincratici da sembrare confusionari- sono quei summenzionati tasselli cupi a completare questo quadro. Così come nell’ascolto delle suite ci si ritrovava davanti a variazioni interessantissime e leggermente “outsiders”, ecco che estendendo il tutto al macrocosmo dell’intero disco, si potrebbe dire la medesima cosa. Songsmith è una perla, accattivante grazie al suo riff memorizzabile in men che non si dica, l’ottimo basso, i giri alla Rush e il groove a dir poco perfetto. L’assolo di tastiera sul terzinato che poi si apre in un 5/4 è la ciliegina sulla torta di una canzone in cui i cambi di tempo sono funambolici e imprevedibili, un gioiellino dunque di poliritmie, idee e aggressività che merita di essere ascoltata più e più volte. Discorso similare anche per Virtual Reality, forse meno accattivante nel suo complesso ma che poggia sulle stesse caratteristiche di “breve ma intenso” di Songsmith. Il finale poi è perfetto, a buon intenditor poche parole. Il lotto si chiude infine con una violenza quasi inaspettata, quella emanata da Under the Wire e la sua spigolosità velenosa.

Allora perché, direbbero i più attenti, non ci troviamo davanti a un capolavoro? Esattamente per questa immagine confusa che avremo di fronte a conclusione del disco, queste macchie di colore che sembravano costituire un bellissimo quadro ma che in realtà sono sconnesse per più aspetti tra loro e che addirittura presentano delle toppe fuori contesto nel bel mezzo del puzzle che, per quanto siano anche meglio del dipinto in sé, rimangono toppe…
Eppure non mi sentirei di definire Impeding Ascension un album appena discreto, infatti alle porte del 2021 è ancor un disco che può dare molto a tante orecchie progressive, il cui coraggio può essere apprezzato proprio per essere ciò che ho nominato in apertura: una perla non lucidata, in alcuni frangenti troppo piatto, in altri troppo figlio del suo tempo, in altri poco geniale e in altri ancora fin troppo.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
87.6 su 5 voti [ VOTA]
JC
Venerdì 4 Dicembre 2020, 13.20.25
6
Il mio preferito è Test of will, ma anche qui ci sono buone idee. Spero non saranno dimenticati.
Voivod
Venerdì 4 Dicembre 2020, 12.56.35
5
Album fantastico! La sola introduzione corale di "Estadium Nacional mi dà ancora i brividi!
OSVALDO
Lunedì 30 Novembre 2020, 14.11.30
4
Stupendi questo ed hour of restoration. c'è il loro zampino anche nel bellissimo age of impact con ospiti illustrissimi uscito nel 1998. Con una vera band alle spalle questo disco sarebbe passato alla storia peccato...
fasanez
Domenica 29 Novembre 2020, 17.22.45
3
li ascoltavo ai tempi del debutto.... bellissimo, poi li ho persi. Non sapevo delle loro tragedie... mi spiace. ho comunque degli ottimi ricordi di questi bravi e sfortunati musicisti.
Aceshigh
Sabato 28 Novembre 2020, 18.54.03
2
Grandi Magellan! Grande Trent Gardner. Dei primi tre splendidi album questo forse è quello che ascolto meno, a volte un po’ troppo complesso per i miei gusti. Test of Wills e soprattutto Hour of Restoration (meraviglioso) sono un gradino sopra. Ma anche questo merita un ascolto (anzi, più di uno, vista la complessità). Waterfront Weirdos e Estadium Nacional sono due pezzi top, poi dopo a mio avviso cala un po’. Voto 82
duke
Sabato 28 Novembre 2020, 13.40.30
1
...decisamente un buon disco…..
INFORMAZIONI
1994
Magna Carta
Prog Metal
Tracklist
1. Estadium Nacional
2. Waterfront Weirdos
3. Songsmith
4. Virtual Reality
5. No Time For Words
6. Storms And Mutiny
7. Under The Wire
Line Up
Wayne Gardner (Chitarra acustica, Chitarra elettrica, Batteria e Cori)
Trent Gardner (Tastiera, Batteria e Voce)

Musicisti ospiti
Hal Stringfellow Imbrie (Basso, Voce)
Doane Perry (Batteria nella traccia 2)
Hope Harris (Voce nella traccia 4)
 
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