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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Tribulation - Where the Gloom Becomes Sound
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03/02/2021
( 3027 letture )
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L’essenza del nuovo album dei Tribulation si esplica in maniera totalizzante nel brevissimo interludio pianistico di Lethe, che divide in due la scaletta: poco più di due minuti in cui il classicismo armonico/melodico europeo si scontra con un’atmosfera decadentista tipicamente ottocentesca e l’immagine che ne scaturisce è quella di un poeta maledetto, assorto nella sua arte, nel buio di una villa in stile neogotico, mentre è preda dei propri fantasmi. Certo, questa è un’immagine non innovativa e peraltro piuttosto abusata, ma è un buon punto di partenza per calarsi nell’immaginario che Jonathan Hultén e i suoi compagni hanno voluto delineare nei dieci brani di Where the Gloom Becomes Sound –titolo bellissimo ed evocativo che cita quasi testualmente una strofa di Hades “Pluton” di Sopor Aeternus & The Ensemble Of Shadows, dall’album Dead Lovers' Sarabande (Face One) del 1999; questo riferimento, sia liricamente che concettualmente, non è casuale e si lega in maniera piuttosto diretta alle tematiche del disco di cui si sta per parlare– e che dona fin da subito un inquietante senso di esoterismo capace di diffondersi ininterrottamente nei quasi cinquanta densissimi minuti della sua durata. In effetti in questo nuovo disco la band ha deciso di dedicarsi all’esplorazione profonda dei temi occulti che ne caratterizzano da sempre i testi, ma concentrandosi nello specifico sul rapporto dell’uomo con i cinque elementi propri della tradizione ayurvedica (fuoco, acqua, terra, aria, etere), per un concept inerente la magia elementale. Vi è una commistione interessante tra occidente ed oriente, la quale è ben rappresentata dall’incrocio tra musica –occidentale– e tematiche –prettamente orientali– per un risultato che è tutto da scoprire, muniti di testi, traduzioni e appunti. Lo stesso Hultén, principale autore del lavoro sia dal punto di vista musicale che testuale, afferma che vi sono molti punti a livello tematico che sono a libera interpretazione dell’ascoltatore, ma in realtà la quantità di argomenti che vengono trattati o anche solo accennati merita una ricerca più approfondita.
Detto delle liriche dunque, di cui parleremo anche in seguito, passiamo alla musica: i Tribulation avevano già dato prova del loro valore con l’ottimo Down Below, album che aveva diviso i fan della prima ora in maniera irreversibile, proponendo una miscela di sonorità che pescava a piene mani da quell’immaginario gotico proprio della scena darkwave anni ’80 a scapito delle influenze death metal che ne avevano marchiato a fuoco gli esordi; la strada intrapresa sembra aver dato i suoi frutti, dal momento che quel disco ha vinto gli Swedish Grammis Awards nella categoria Best Hard Rock/Metal nel 2019 e i nostri rincarano la dose in Where The Gloom Becomes Sound, che forse manca di effetto sorpresa, ma assolutamente non di qualità, ponendosi fin da subito come una conferma delle potenzialità della band svedese. L’album è stato composto per la maggior parte da Jonathan Hultén, come già detto, e ciò è piuttosto sintomatico se si considera che proprio lo scorso marzo il chitarrista e compositore ha dato alla luce il suo primo album solista, Chants From Another Place, che tra l’altro ha qualche punto di contatto con il disco dei Tribulation, a partire dall’artwork, annunciando la sua conseguente dipartita dalla band. Questa opera degli svedesi è da considerare dunque come un testamento artistico da parte di Hultén e se l’intensità che la musica riesce a sprigionare in certi frangenti ha davvero un qualcosa di elegiaco forse lo si deve anche a questo. Il primo pregio che si può notare una volta terminato il primo ascolto dell’album è inerente all’omogeneità del disco, che contemporaneamente riesce a rendere ogni singolo brano ben distinto e caratterizzato. Sembra una banalità, ma soprattutto nell’epoca delle playlist non è così: durante l’ascolto di Where the Gloom Becomes Sound l’orecchio è sempre concentrato ed ammaliato dalle melodie e dalle costruzioni armoniche dei brani e il rischio di skippare tra i singoli episodi è praticamente azzerato. Non si pensi che i Tribulation abbiano abbandonato completamente il metal, tutt’altro; semmai la componente più dura del proprio sound si è incanalata verso soluzioni più fini e raffinate, che prendono in prestito soluzioni dall’heavy più classico e dalla NWOBHM per quel che riguarda gli incastri chitarristici, mentre si rifà maggiormente all’estetica dark e gotica per quel che riguarda la sezione ritmica. Le harsh vocals di Johannes Anderson poi rimangono il vero e proprio collante con il death metal primigenio e sebbene ciò renda il sound della band personale e immediatamente riconoscibile, rimane la curiosità di sentire come si adatterebbe una voce pulita su certe trame delineate dagli strumenti. La partenza soffusa di In Remembrance è perfetta e funge da adeguato antipasto al resto dell’album: il brano si muove su coordinate gothic doom con alcune pregevoli variazioni dal sapore più classico, con tanto spazio lasciato alle chitarre –vere protagoniste di tutto l’album– e un’atmosfera globale che riesce a intimidire e al tempo stesso avvolgere l’ascoltatore. Il meglio però arriva subito dopo: Hour of the Wolf ha un riff irresistibile ed estremamente melodico e il suo ripetersi ostinato non annoia, ma anzi rafforza sempre di più quel senso di epicità galoppante che i quattro sono capaci di costruire con poche note incredibilmente azzeccate. Prosegue su livelli ottimi Leviathans, ancora grazie alla stessa soluzione chitarristica, stavolta più mesta e cupa, ma sempre in odore di darkwave inglese. La voce acida di Anderson riesce ad incastonarsi alla perfezione tra gli arabeschi strumentali del gruppo e il crescendo enfatico che arriva in prossimità della conclusione del brano ha la stessa forza evocativa dei Katatonia più riflessivi. È una citazione operistica ad aprire invece la più cadenzata Dirge of a Dying Soul, che gode proprio di un afflato teatrale capace di rendere quei cinque minuti più consoni ad un macabro grand-guignol piuttosto che ad un semplice album metal. Nella seconda parte dell’album i ritmi si fanno maggiormente serrati e la componente più viscerale dei Tribulation emerge con forza nei riff a cascata di Daughter of the Djinn, uno degli episodi migliori del disco, dove si alternano spiragli gothic metal ad armonizzazioni puramente NWOBHM con la batteria di Oscar Leander che varia sapientemente donando freschezza al risultato finale. La produzione fosca, ma bilanciata di Tom Dalgety –già artefice del sound dei Ghost– si fa apprezzare poi nei momenti più drammatici e ritualistici come Inanna, dove gli intarsi delle chitarre costruiscono una tela ipnotica e irresistibile, ma non delude anche in corrispondenza di episodi più tirati come Funeral Pyre, dove gli svedesi sperimentano coi suoni inventandosi un theremin modulando i suoni di una chitarra. Prima del gran finale è da citare anche Elementals, che purtroppo è il brano meno peculiare del lotto, con una struttura fin troppo semplice e che non si lascia ricordare per chissà quali meriti. Il gran finale invece è all’insegna della pomposità e della magniloquenza: The Wilderness è un autentico profluvio di chitarre straziate e strazianti che stavolta non svettano, ma lavorano in sordina per poi esplodere in squarci solistici fascinosi e decadenti. Intorno al quarto minuto ha inizio un crescendo dal vago retrogusto neoclassico, dove finalmente trova spazio in maniera corposa anche il basso e la band può muoversi compatta verso lidi che lasciano intravedere un nuovo futuro, ancora più luminoso ed epico e all’insegna della melodia. Il testo è uno dei più intensi del disco e descrive con dovizia di dettagli un rituale mirato al ricongiungimento con la Madre Terra e con la natura tutta tramite l’intercessione della Devī, termine sanscrito che indica una generica divinità femminile, in questo caso presumibilmente Aditī, la Madre di tutte le forme di vita esistenti secondo la tradizione vedica. Ne riportiamo il passaggio più evocativo, ma la lettura merita di essere effettuata nella sua interezza.
From the earth She was sprung, the support of this world To whom we're all but the image of a child The destroyer of safety at the threshold of the path The road that will lead us into the wild.
Al momento di trarre le conclusioni si comprende come Where the Gloom Becomes Sound sia un album che cresce con gli ascolti e che mostra davvero pochissime pecche a fronte di un sound certo non innovativo, ma personale e convincente; i momenti notevoli non mancano e gli spunti per ciò che potrà aspettarci in un prossimo disco si lasciano piacevolmente intravedere. I Tribulation sono a questo punto una realtà artistica importante e degna di stare tra i nomi che contano, la loro proposta si muove a cavallo tra il metal e sonorità più oscure che non disdegnano influenze pop, ma l’equilibrio tra le varie componenti è azzeccato e intelligente, risultando sempre più interessante ad ogni ascolto. Nel 2021 i quattro svedesi –da oggi con il chitarrista Joseph Tholl al posto di Jonathan Hultén– si riconfermano e riescono anche a superare il buono che già avevano mostrato in Down Below. Where the Gloom Becomes Sound merita di essere ascoltato ed interiorizzato, insieme ai tanti messaggi esoterici che porta con sé. Non è un’impresa scontata e nemmeno semplice, ma la musica viene incontro all’ascoltatore con il suo carico di seducenti sonorità allo stesso tempo enfatiche e decadenti in grado di fare breccia non solo nell’orecchio, ma anche più in profondità. Un’opera di assoluto valore, che inaugura l’anno nuovo nel migliore dei modi. Ultimissima menzione per l’edizione fisica dell’album, per la quale è consigliata la versione Ltd. Deluxe Lp Artbook per un semplice motivo: tra i tre brani bonus figura la magnifica The Dhampir, brano-monstre di quasi diciannove minuti dove i Tribulation riescono a far convivere i Christian Death di Rozz Williams con spunti ritmici coldwave e accelerazioni death metal di grande impatto, trovando anche spazio per alcuni sprazzi western e tastiere Seventies. Il sound è davvero gotico e catacombale, con samples e sintetizzatori che puntellano qui e lì lo svolgimento del brano. Non ci si spiega perché The Dhampir non sia stata inserito nella scaletta dell’album, ma sarebbe un delitto non ascoltare questa ottima suite. L’ennesima prova del fatto che ci troviamo di fronte a grande musica.
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5
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Sono bravi I. Musicalmente parlando ci sanno fare. Peccato per la solita voce del cazzo black senza mordente che dopo due canzoni ha già rotto i coglioni. Almeno a parer mio. Peccato. |
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4
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Ottima band e il disco è in loop.Il lavoro di chitarre davvero tanta roba |
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3
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Finalmente sono riuscito ad ascoltarlo come si deve! Che dire? Ė un disco pquasi perfetto, fatto di atmosfere notturne e lugubri e grandi canzoni. Lo trovo l'evoluzione naturale del precedente, un po piú complesso ma senza perdere di vista la melodia. Una piccola nota: gli assoli sono splendidi, sostituire Hulten non sarà uno schezo |
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2
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Ottimo album davvero, forse leggermente al di sotto di Down Below, ma comunque splendido. Il passato è ormai lontano , l’ora del lupo è vicina! |
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1
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Una delle mie band preferite, che con questo album conferma di saper fondere alla perfezione aggressività, melodia ed emozione. La separazione di Hulten dalla band è difficile per me da assimilare, perché lo trovo davvero un artista eccezionale, e continuerò a seguirlo nel suo progetto solista. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. In Remebrance 2. Hour of the Wolf 3. Leviathans 4. Dirge of a Dying Soul 5. Lethe 6. Daughter of the Dijnn 7. Elementals 8. Inanna 9. Funeral Pyre 10. The Wilderness
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Line Up
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Johannes Andersson (Voce, Basso) Adam Zaars (Chitarra) Jonathan Hultén (Chitarra) Oscar Leander (Batteria)
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