|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Ad Nauseam - Imperative Imperceptible Impulse
|
09/02/2021
( 2671 letture )
|
È stato un silenzio piuttosto lungo quello dei vicentini Ad Nauseam, che dopo aver convinto all’esordio con Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est ben sei anni fa, sembravano aver fatto sparire ogni traccia. E sarebbe stato un peccato, perché le potenzialità espresse nel debutto meritavano certamente di essere espresse con un seguito che fosse almeno all’altezza o che comunque permettesse ai quattro di migliorare una proposta tutt’altro che facile sia d’ascoltare che da gestire.
Non è stato un silenzio improduttivo, anzi, se si pensa al motivo che ha spinto i quattro a scegliere questo monicker – lo spingere fino alla nausea il processo compositivo -, viene lecito pensare che durante questi sette anni i nostri abbiano concentrato tutti gli sforzi e gli impegni su Imperative Imperceptible Impulse, disco che pur proseguendo quanto ascoltato sul debutto mostra un gruppo decisamente interessato ad andare “oltre”. Stilisticamente parlando siamo sempre a contatto con un death metal che trova ispirazione da Gorguts, Ulcerate e Imperial Triumphant ma se nel 2015 il tutto sembrava un riuscito compromesso, in questo caso bisogna segnalare come a livello compositivo ci sia un netto passo in avanti che sembra portare i musicisti in una concezione tutta loro e se vogliamo d’avanguardia dello stile. Se i gruppi citati riescono in qualche modo, pur nella loro follia, a mantenere uno scheletro chiaro, gli Ad Nauseam fanno l’opposto, distruggono quello schema e puntano a ricreare composizioni più accostabili a veri e proprio ambienti sonori, canzoni che rifuggono da qualsiasi logica più immediata e risultano quindi una sfida a chi ascolta. Va detto che il tutto avviene per gradi (volutamente?), tanto che l’iniziale Sub Specie Aeternitatis introduce gran parte delle caratteristiche del disco, costruito attorno ad una complessa struttura death metal che inserisce blast beat, riff più serrati e delle atmosfere che si muovono tra l’oscuro e il caotico. Qualche riff più marziale e meno sostenuto aiuta poi a prendere dimestichezza con ritmi molto complessi e caratterizzati da continui cambi di velocità e soprattutto un ampio uso di tempi dilatati. Quello che però salta subito all’orecchio con il passare dei minuti è la concezione di riff, totalmente diversa da quanto ci si aspetti; le chitarre privilegiano infatti arpeggi dissonanti, scale, armonici e in generale degli intrecci non lineari ma che in qualche modo offrono degli spunti armonici/melodici. L’intenzione dei quattro è infatti proprio questa, ovvero riuscire a dare musicalità ed armonia a soluzioni che sembrano essere esattamente il contrario; ecco perché l’ascolto diviene quindi ostico, ma una volta dentro ci si imbatte in composizioni che pur nella loro complessità riescono a catturare e suscitare qualcosa come nella lunga (dodici minuti) Coincidentia Oppositorum, canzone ambiziosa e in cui i nostri riversano tutta la loro concezione di musica estrema. Davvero tanti i momenti che s’incrociano tra di loro, i cambi di tempo passano dal farsi trascinanti e violenti per tornare in un attimo su ritmi sospesi, con le chitarre che, nonostante la presenza di un violino, sembrano diventare violini se non svolgere la funzione di altri strumenti; in alcuni punti restano infatti sullo sfondo creando una linea melodica, mentre in altre sembrano quasi pestare assieme alla batteria. Come detto, i momenti di “calma” ci sono, e Horror Vacui è sicuramente un brano che rispetto ad altri è più incline a certi rallentamenti in cui tutto sembra fermarsi per lasciar spazio ad arpeggi che pur nella loro tranquillità suonano sempre dissonanti e disturbanti. La vera calma arriva però con la conclusiva Human Interface To No God; la prima parte non si discosta da quanto sentito fino ad ora, ma ecco che da metà in poi il tutto assume i connotati di un pezzo jazz lento e in totale contrasto con tutto il resto; se pensiamo al modo graduale con cui si entra nel pieno del disco, un finale simile è del tutto sensato e inserito perfettamente. Dopo quasi un’ora di dissonanze, ed è bene specificare che è tutto solo ed esclusivamente basato sulla dissonanza, il finale del pezzo suona come un ritorno su coordinate più accessibili e prive di quel mix tra caos e oscurità sentito fino a pochi minuti prima. Un lavoro del genere merita ovviamente una produzione di altissimo livello, ed anche in questo caso si è piacevolmente stupiti: ogni singolo strumento riesce ad essere percepibile in qualsiasi momento, e questo è dovuto al modo in cui i quattro hanno deciso di registrare. Anziché affidarsi a tecniche moderne, ognuno dei membri ha preferito trovare il modo migliore di registrare ogni singolo strumento (vale anche per i singoli pezzi di batteria) utilizzando una strumentazione particolare e, stando alle loro dichiarazioni, tutt’altro che comune. Quello che ne viene fuori è un qualcosa di molto interessante e che rientra nel discorso della ricerca sonora che oltre all’aspetto tecnico tocca anche quello compositivo di cui si parlava sopra, ovvero il dare musicalità ad uno stile che sembra andare in direzione opposta. Qualcosa che trova radici nei grandi compositori del 900. Nonostante ciò, gli strumenti sono tutti percepibili, chiari, così come le voci risultano ben amalgamante con tutto il resto; e non si può sorvolare sul compito svolto dal basso, anche lui molto presente nel mixer e che non limita mai il suo operato ad un semplice accompagnamento.
Il primo ascolto di Imperative Imperceptible Impulse è decisamente spiazzante, travolge con la sua complessità e in qualche modo diviene la trasposizione sonora del titolo. Si ha come la sensazione di essere davanti ad una composizione che in qualche modo rispecchia il concetto di weird espresso dal filosofo/critico musicale/sociologo Mark Fisher (1968 – 2017):
«Come abbiamo visto, il weird è costituito da una presenza – la presenza di qualcosa che non è al suo posto.» The Weird and the Eerie, 2016
Un qualcosa di straniante che, pur essendo composta da elementi definiti e noti (death metal, musica, suoni, rumori), per come appare, costruita e percome gli elementi sono disposti, sembra essere non-corretta, disturbante. Non si tratta di un ascolto facile ed è probabile che chi non ha apprezzato l’esordio non riuscirà ad entrare in sintonia con la proposta, ma è un disco che a suo modo presenta una spiccata voglia di sperimentare anche a costo di sacrificare l’immediatezza e rendere l’ascolto una sfida, tanto che la cosa migliore è gettarcisi dentro per scoprirlo mettendo da parte etichette e quant'altro. Nonostante tutto, Imperative Imperceptible Impulse è un lavoro riuscito, in cui perdersi e a cui dedicare ben più di un ascolto.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
13
|
Ragazzi, mi dispiace per chi non riesce a capirlo. Forse tra qualche anno vi ricapiterà in mano e ci entrerete in risonanza anche voi. Capita, probabilmente è solo troppo presto. 80 è un voto basso per questo disco, il tempo lo proverà. Ho notato che più lo si ascolta più diventa accessibile e più scorre via liscio. Tutto sembra essere lì per un motivo. Per me è un 99 |
|
|
|
|
|
|
12
|
Poco da dire, album notevole, a tratti sorprendente. Come in diversi hanno fatto notare, è ostico, sale con gli ascolti e a mio avvio più probabilmente è rivolto agli addicted del “genere” (se di genere possiamo parlare). In un certo qual modo mi ha ricordato Cosmogenesis degli Obscura, ovviamente non per affinità sonore (anche l’orecchio meno allenato coglie un approccio alla materia completamente diverso) ma, se ricordo come scrissi all’epoca su queste pagine, per quella capacità di sintesi straordinaria ed evoluta che gli Ad Nauseam hanno posto in essere rispetto a tutte le loro, citate e non, influenze. A questo punto non mi meraviglierei se Imperative Imperceptible Impulse farà parlare di se anche in futuro. |
|
|
|
|
|
|
11
|
Incuriosito, sono andato su YouTube e l'ho ascoltato tutto piú di una volta. 80 é anche poco per come la vedo io. |
|
|
|
|
|
|
10
|
Sinceramente lo trovo solamente eccessivamente pesante, il discorso del "ci vuole un numero alto di ascolti per capirlo" mi pare sinceramente eccessivo.
Loro sono forti, ma al secondo ascolto ero già saturo. Per fare roba alla Ulcerate e Gorgouts ne deve ancora passare di acqua sotto i ponti. Per me 70 |
|
|
|
|
|
|
9
|
Come direbbe Barbieri un bel mappazzone |
|
|
|
|
|
|
8
|
Grandissimo sfoggio di tecnica e di idee, certo però che è veramente difficile da digerire come disco. Non sono ancora riuscito a farmi un'idea in merito, è come se fosse un album potenzialmente bellissimo ma di cui non riesco a memorizzare i passaggi. Spesso mi capita che sia uno di quei dischi che mi fanno esclamare "cazzo che bello, sicuro lo compro", poi invece non mi viene neanche più voglia di riascoltarlo - proprio per il suo carattere ostico |
|
|
|
|
|
|
7
|
Chiedo al Recensore: (che rispetto molto perché risponde sempre con gentilezza) L' Album degli Inferi del 2014 lo avevi giudicato Ostico e dato 65.. A questo affibi 80 pur riconoscendo anche questo di non facile ascolto.. Qual è la discriminante che ti ha fatto propendere per uno il Bicchiere mezzo pieno e per l'altro quello mezzo vuoto? A Me sono piaciuti entrambi ma trovo più Ostico il Lavoro recensito qua sopra... Grazie in anticipo per la Risposta.. |
|
|
|
|
|
|
6
|
Ma quale sarebbe il Numero massimo di ascolti entro il quale capire se Uno sia "afferrato" o meno di Musica? |
|
|
|
|
|
|
5
|
Questo disco è una cartina tornasole della cultura musicale dell'ascoltatore. Chi non lo apprezza ha lacune da colmare, questo è certo, oppure non lo ha ascoltato abbastanza, è un album da assimilare molto lentamente. L'ho già ascoltato 6 volte e mi rendo conto che ho solo appena cominciato ad orientarmi. Questo album non va capito, bisogna aprire la mente e lasciarlo entrare. |
|
|
|
|
|
|
4
|
@Marco: penso a Stravinskij e Xenakis; è uno di quei casi in cui queste influenze sono davvero percepibili e concrete, specialmente nei momenti più calmi o lenti  |
|
|
|
|
|
|
3
|
Son contento, dopo i nostri precedenti scambi di battute privati sul disco, di leggere la tua opinione. E son contento che contrasti con l'idea che mi son fatto del disco, eccessivamente sbilenco ed "oltre" (persino per un estimatore dell'"oltre" quale sono io). A me danno la sensazione di usare la scusa dell'avanguardia per mascherare una certa confusione di idee. Preferisco di gran lunga il precedente, che aveva una direzione precisa.
Ma immagino sia un problema solo mio ^^ |
|
|
|
|
|
|
2
|
Interessante. Sì, forse più wannabe Imperial Triumphant (lo sfoggio ipertrofico di tecnica e soluzioni cervellotiche è quello. La voce, poi, è pressochè identica) che Deathspell Omega ma sono dettagli.
No, mi chiedevo piuttosto quali sarebbero i 'grandi compositori del 900' in cui troverebbe radici questo lavoro. Ma anche questo è un dettaglio, al di là di tutto il dischetto merita più di un ascolto. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Mamma mia che album e che gruppo! Per quanto mi riguarda se la giocano alla pari con band come gorguts, deathspell omega ecc...ma trovo gli ad nauseam assolutamente originali ed unici e pur essendo materia per pochi, credo abbiano raggiunto un livello addirittura superiore a quei gruppi. Il lavoro chitarristico è di un livello pazzesco e basso e batteria contornano il tutto in modo perfetto. Come sottolineato nella recensione non è di sicuro un lavoro facile e necessita di ripetuti ascolti, ma poi se si è amanti del genere diverrà indubbiamente una droga. Da comprare! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Sub Specie Aeternitatis 2. Inexorably Ousted Sente 3. Coincidentia Oppositorum 4. Imperative Imperceptible Impulse 5. Horror Vacui 6. Human Interface to No God
|
|
Line Up
|
Andrea P. (Voce, Chitarra, Violini) Matteo G. (Chitarra) Matteo B. (Basso) Andrea S. (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|