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Dropkick Murphys - Turn Up That Dial
02/05/2021
( 1534 letture )
Che grande band i Dropkick Murphys: partiti dalla scena street punk di Boston si sono prestissimo imposti con la loro personalissima miscela di punk “operaio” e folk irlandese, aggiornando di fatto la formula inaugurata dai leggendari Pogues a inizio anni ’80 in una versione moderna e irresistibile. Negli anni il gruppo ha subito molteplici cambi di formazione, ma si è saputo sempre distinguere non tanto sul piano discografico, ma su quello live ed extra-musicale, grazie a concerti sempre più imponenti e paragonabili solo a quelli dei grandi nomi mainstream e ad azioni in campo sociale decisamente impegnate, oltre che politicamente schierate.
Esplosi definitivamente con The Warrior’s Code, per merito del singolo I’m Shipping Up To Boston, gli americani non si sono più fermati, allargando sempre di più il proprio bacino di fan e la propria influenza sociale e attivista; questo ha portato di conseguenza ad un cambio di sound che si è fatto sempre più radicale, fino ad arrivare al punto di tralasciare quasi del tutto la componente punk preferendole un rock musicalmente innocuo condito con le sempre ottime melodie folk irlandesi. Si può dire con pochi dubbi infatti che l’ultimo album davvero degno di nota della band sia quel The Meanest Of Times datato 2007 che al suo interno presentava ancora brani notevoli e divenuti classici dal vivo come The State Of Massachusetts e Johnny, I Hardly Knew Ya. Da quel momento in poi i dischi del gruppo si sono susseguiti con costanza regalando però pochi momenti salienti e diventando praticamente meri pretesti per andare in tour e suonare dal vivo, dimensione dove i Dropkick Murphys ad oggi hanno davvero pochi rivali, soprattutto da quando Ken Casey ha abbandonato il basso (suonandolo comunque in studio) per arrivare al culmine dell’alchimia con Al Barr, riuscendo di fatto a trasformare la band in una realtà invincibile dotata di due frontman eccezionali.
La pandemia ha colpito anche le attività dei bostoniani, i quali però si sono distinti come uno degli esempi più concreti ed attivi sia in campo artistico che in campo sociale, dando una lezione esemplare su come organizzare concerti in streaming, abbinando ad essi una giusta causa – il live dello scorso 29 maggio Streaming Outta Fenway è uno, se non IL, migliore concerto in streaming del 2020 e rimarrà probabilmente tale per altri anni ancora – e su come la musica e l’attivismo possano davvero portare a risultati seriamente tangibili: il singolo Mick Jones Nicked My Pudding, rilasciato digitalmente il 21 marzo 2020 insieme alla b-side James Connolly (inspiegabile il fatto che questo pezzo – ottimo – non sia finito sul disco qui recensito) al prezzo di 2$ ha effettivamente contribuito a sostenere la delicata situazione degli ospedali di Boston intasati dai malati di Covid-19 con aiuti economici e materiali non indifferenti e questo grazie sia all’attività diretta del gruppo che all’aiuto dei fan.
Sono seguiti altri concerti in streaming, tra cui l’ormai tradizionale data per festeggiare San Patrizio, il 17 marzo, e contemporaneamente il gruppo non ha mai smesso di far parlare di sé, rilasciando man mano la maggior parte dei brani che sono andati a comporre il nuovo album Turn Up That Dial, uscito il 30 aprile 2021.

Il discorso che si è fatto in apertura comprende in toto questo disco, che prosegue sulla falsa riga del precedente 11 Short Stories Of Pain & Glory con una scaletta breve e altamente scorrevole fatta di melodie facili e arrangiamenti sapienti, cori immediatamente memorizzabili e basi ritmiche sostanzialmente rock che cedono il posto spesso e volentieri a ballate folk dall’impianto sì tradizionale, ma anche smaccatamente pop in certi casi. Non che questo sia un male dal momento che tutto funziona nei brani dei bostoniani, dalla produzione perfetta del fidatissimo Ted Hutt alla struttura dei singoli episodi, confezionati al meglio per dare il meglio di sé dal vivo. È davvero evidente come i Dropkick Murphys puntino a costruire momenti musicali godibili sì su disco, ma pensati soprattutto per la dimensione live, dove i cori diventeranno sempre più imponenti e i testi imperniati sulla vicinanza, sull’unione e sull’impegno civile e sociale, ma anche sulle relazioni sentimentali e sulle amicizie sincere saranno sentiti intimamente da tutti i fan festanti.
I membri del gruppo affermano che Turn Up That Dial non è altro che una dichiarazione d’amore nei confronti della musica e una testimonianza del successo raggiunto in tutti questi anni di attività, sempre grazie al supporto dei tanti sostenitori della celtic punk band per eccellenza da venticinque anni a questa parte. Ciò è sicuramente lodevole e senza dubbio tra i solchi del disco questa gratitudine si percepisce, insieme ad un senso di spensieratezza e malinconia legato a doppio filo alla situazione attuale. Ciò non toglie però che il copione del disco è già scritto e altamente prevedibile, per via di tutti quegli accorgimenti già descritti sinora che si presentano ciclicamente e con tempismo quasi imbarazzante. Il fatto poi che la maggior parte dei brani dell’album siano stati rilasciati già molti mesi fa non aiuta dal punto di vista della longevità, anche perché è proprio nei singoli già pubblicati che sono da ricercare i momenti migliori del disco.
Fin dalla titletrack si prova quel consapevole sentimento che fa sì che il brano piaccia, ma se lo si stesse ascoltando dal vivo, cantando e saltando sul ritornello assieme ad altre centinaia di persone allora funzionerebbe infinitamente meglio. Lo schema comunque è quello che si conosce bene da tanti anni ormai: riff vagamente punk rock doppiati dagli strumenti acustici che intessono una struttura semplicissima e funzionale sulla quale le voci di Barr e Casey si intersecano con furore insieme a quelle degli altri musicisti, formando un coro da stadio che ormai è un vero e proprio marchio di fabbrica della band.
Tutta la scaletta porta con sé questa voglia irrefrenabile di esplodere definitivamente dal vivo, anche nei momenti più toccanti come I Wish You Were Here, ballatona folk da abbracci e accendini al vento dedicata al defunto padre di Al Barr e al loro rapporto peculiare. La fisarmonica e il tin whistle sono i protagonisti indiscussi di un brano malinconico e nostalgico che convince, ma che è anche prevedibilissimo dall’inizio alla fine.
Un brano come Queen Of Suffolk County paga pegno invece ad una delle influenze sempre più presenti nella musica della band, ovvero Bruce Springsteen, ormai un abitué sia nei live dei bostoniani che su disco (Peg O’ My Heart rimane uno dei momenti migliori di Going Out In Style del 2011), mentre invece la già citata Mick Jones Nicked My Pudding rimanda fin dal titolo ai Clash, finendo per essere di fatto l’episodio più prettamente punk dell’album, scanzonato e cafone al punto giusto.
La palma di miglior brano del disco se la guadagna comunque Smash Shit Up, incalzante nel suo andamento ancora una volta puramente celtic punk e capace di regalare uno di quei ritornelli che solo i Dropkick Murphys sanno inventare: nostalgico e commovente, ma al contempo incredibilmente energico e a suo modo “universale”.
Non mancano gli attacchi diretti a Donald Trump, accusato pubblicamente da Ken Casey e soprattutto dal batterista Matt Kelly come il maggior responsabile della cattiva gestione della situazione pandemica negli Stati Uniti negli scorsi mesi e deriso con pungente ironia in Chosen Few, che strapperà un sorriso anche ai tanti appassionati di calcio in giro per il mondo (a voi scoprire il perché).

Turn Up That Dial è un disco che funziona senza dubbio, ma che è anche destinato a durare poco, dal momento che nella discografia della band si trova decisamente di meglio; insieme all’album precedente questo si posiziona come uno dei punti più bassi nella carriera del gruppo, anche se questo non vuol dire che l’opera in sé sia di poco valore, tutt’altro. C’è moltissimo mestiere negli undici brani in scaletta, ma si percepisce ancora quella bruciante passione che ha dato vita negli anni a capolavori dell’irish punk come Sing Loud, Sing Proud! (2001).
Turn Up That Dial rimane dunque una buona risorsa per i Dropkick Murphys, che potranno pescare almeno tre o quattro brani destinati a diventare fissi nei concerti del vivo e proprio su questo argomento chiudiamo la recensione, consigliando l’ascolto dell’album senza dubbio, ma esortando – appena sarà possibile in condizioni davvero sicure – tutti voi ad andare ad ascoltare la band dal vivo, magari in un evento all’aperto dove i bostoniani possono davvero dare il loro massimo. Non ve ne pentirete, assicurato, e potrete toccare con mano la vera essenza di questi vecchi punk americani dallo spirito irlandese.



VOTO RECENSORE
64
VOTO LETTORI
73.33 su 3 voti [ VOTA]
Black Me Out
Venerdì 14 Maggio 2021, 20.05.21
7
Ciao @Davide, anche io ho valutato questo disco con la testa e con il cuore di un fan di vecchia data, te lo assicuro. Sono d'accordo con te sul fatto che quello che i DKM fanno sanno farlo benissimo e infatti, come ho scritto, li ritengo la band per eccellenza nella scena irish punk. Però io penso che la formula negli anni sia cambiata, spostandosi dal punk puro ad un sound decisamente più rock e di conseguenza anche più accessibile e meno "violento", aprendosi ad una platea vastissima. Perché questo Turn Up That Dial non può essere accostato ad un disco come ad esempio Blackout (cito questo anche perché è uno dei dischi che apprezzo di meno dei bostoniani) come se fossero la "stessa cosa", sei d'accordo? E per quanto possa continuare a stimare Ken Casey e i suoi rimango convinto che da ormai 3 dischi a questa parte in studio la band non ha più nulla da dire e questo Turn Up That Dial rimane un palliativo molto gradevole che però non ha ulteriori pretese (e personalmente lo reputo molto poco longevo, così come il precedente) se non quella di essere suonato dal vivo. Da qui deriva la sufficienza, niente di più niente di meno. Alla fine credo che a loro stessi interessi poco ormai sfornare un disco potenzialmente eccellente, ma il loro intento sia solo quello di collezionare brani cantabili e funzionali per i live; intento nobilissimo, sia chiaro, e che non mina la credibilità del gruppo. Ma come ho già detto altre volte, i DKM rimangono, oggi, una band da live, prescindendo dai dischi in studio a mio parere.
Davide
Venerdì 14 Maggio 2021, 15.21.09
6
Sono molto di parte, in quanto fan di vecchia data di questa band, ma devo dire che effettivamente non sbagliano un colpo! Condivido molto della recensione a parte il voto, che secondo me è la classica sufficienza che sta a dire "fanno bene il loro ma sempre uguale". Bhe, vero, ma un gruppo che non rinnova la formula mostrandosi sempre molto convincente in una scala da 1 a 10 merita qualcosa in più, non un 10 che si dà ai capolavori o ad album particolarmente innovativi, ma un 7/8 che sta a dire quanto la band in questione, anche se fa sempre la stessa cosa, la fa col c**** durissimo! Come consigli correlati assolutamente gli italianissimi The Clan!
Elluis
Mercoledì 5 Maggio 2021, 12.30.20
5
Adoro i DKM e sono molto curioso di ascoltare questo album. Parlando di band satellite a questo gruppo, non si possono non menzionare gli Street Dogs anche loro di Boston, fondati dall'ex cantante proprio dei Dropkick Murphys... li conobbi anni fa quando li vidi dal vivo, di supporto ai Misfits. Molto consigliati
cycomiko
Martedì 4 Maggio 2021, 14.16.08
4
Mi permetto di segnalarvi una band, sempre di scuola Bostoniana, che vidi qualche anno dal vivo. comprai il cd 1 minuto dopo che era finito il concerto: i the kings of nuthin'...Anche se come genere sono piunk / psycobilly. Non so se esistono ancora pero' .. qualcuno mi disse che il cantante/leader era morto di un male.
duke
Lunedì 3 Maggio 2021, 20.40.56
3
...grazie black me out....cerchero' le bands da te citate che non conosco...
Black Me Out
Lunedì 3 Maggio 2021, 18.01.27
2
@duke Curiosa le citazione ai Flatfoot 56, che piacciono anche a me. Al gruppetto aggiungerei pure i Paddy And The Rats (almeno i primi due dischi), molto meno "seriosi", ma gradevoli. E ovviamente anche i Rumjacks, recensiti qualche giorno fa con il disco nuovo qui sul sito. Sono d'accordo che i Dropkick Murphys rimangano i migliori di tutta la scena irish punk, che di fatto hanno contribuito a fondare (senza MAI dimenticare la lezione dei leggendari Pogues, sia chiaro), poi un gradino sotto ci stanno gli ottimi Flogging Molly. Spostandoci dal punk tout court per me meritano di essere citati anche i canadesi Great Big Sea, che io adoro, ma che penso essere oggettivamente validi sotto ogni punto di vista (un brano come "Home For A Rest" parla da solo). Ad ogni modo sì, questo disco dei DM non è davvero nulla di che, ma a costo di ripetermi, confermo che questo è un gruppo da vedere dal vivo. Esperienza colossale ogni volta.
duke
Lunedì 3 Maggio 2021, 16.45.26
1
...nel genere sono i migliori....magari vederli dal vivo ....come loro aggiungerei i flatfoot 56......musica ideale per una festa a base di birra......
INFORMAZIONI
2021
Born & Bred Records
Punk Rock
Tracklist
1. Turn Up That Dial
2. L-EE-B-O-Y
3. Middle Finger
4. Queen Of Suffolk County
5. Mick Jones Nicked My Pudding
6. H.B.D.M.F.
7. Good As Gold
8. Smash Shit Up
9. Chosen Few
10. City By The Sea
11. I Wish You Were Here
Line Up
Al Barr (Voce)
Tim Brennan (Voce, Chitarra)
James Lynch (Voce, Chitarra)
Ken Casey (Voce, Basso)
Jeff DaRosa (Voce, Banjo, Mandolino, Chitarra)
Matt Kelly (Voce, Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti:
Lee Forshner (Cornamusa)
 
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