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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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22/05/2021
( 1235 letture )
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I quattro sanno di grande promessa mantenuta ma non fino in fondo
Così sentenziava Tommaso Iannini nel volume monografico Nu metal: era l’aprile del lontano 2003 eppure, a distanza di quasi vent’anni, quell’aforisma rimane ancora il modo migliore per descrivere la parabola di un gruppo che, pur avendo sulla carta tutte le possibilità, non è mai riuscito a farsi annoverare tra i big del genere. In assoluto i primi a seguire le coordinate stilistiche del sound proveniente da Bakersfield (il demo d’esordio risale al ’94), i Coal Chamber occupano un posto di rilievo nella storia del nu metal in quanto proprio durante un loro concerto nel ’97 un giornalista di Spin, non sapendo come recensirli, coniò il termine che da allora andò a definire -retroattivamente- il filone inaugurato dal debutto omonimo dei Korn. Coal Chamber, uscito lo stesso anno di Three Dollar Bill, Y’all$ e Around The Fur, è una pietra miliare del “nuovo metal” nonostante la sua palese ispirazione a Korn e Life Is Peachy (i riff in downtuning ripresi da Head e Munky, il basso slappato tipico di Fieldy e l’alternanza vocale schizofrenica alla Jonathan Davis), mentre il successore Chamber Music segna un evidente passo in avanti nella definizione di una proposta musicale più ricercata e personale grazie all’introduzione di un’intrigante patina industrial/gothic metal. Entrambi i dischi vengono apprezzati dai fan e vendono un buon numero di copie ma, già dopo l’uscita del secondo disco, inizia ad aleggiare tra i membri una fastidiosa sensazione di incompiutezza, come se i numeri raggiunti fino a quel momento non fossero sufficienti e il famoso quid in più fosse ancora distante, forse ormai irraggiungibile. Per questi motivi i malumori in seno al complesso crescono ogni giorno di più finché, terminate da poco le registrazioni per il seguito di Chamber Music, la bassista Rayna Foss decide di lasciare la band per crescere la figlia avuta da Morgan Rose (batterista dei Sevendust), anche se la vera ragione sembra essere il rapporto ormai logoro con il main vocalist.
La frustrazione e le tensioni latenti strisciano perfidamente lungo i solchi di tutti e dodici i brani di Dark Days, il terzo e ultimo album della fase storica in cui le sperimentazioni sinfoniche del predecessore vengono troncate ex abrupto a favore di un ritorno alle sonorità più crude ed immediate del self-titled. Le morbose melodie simil-gothic, le algide tastiere e il calore degli archi che avevano brillato in Chamber Music non trovano spazio nei Giorni Oscuri, dove a far da padrone sono i riff claustrofobici di Meegs e le harsh vocals caustiche di un Dez Fafara fino ad allora mai così aggressivo. Apre le danze la ferocia nevrotica di Fiend, tra i migliori brani della band grazie ai suoi riffoni ribassati e al chorus anthemico reiterato con un compiaciuto sadismo. Caricano a testa bassa anche l’abrasiva Glow e Something Told Me (inserite rispettivamente nelle soundtrack del Re Scorpione e di Resident Evil), con la seconda dominata da un Dez Fafara schizoide il cui cantato in growl subisce nelle strofe deviate inflessioni rap. Dark Days tiene fede alle tenebre evocate dal titolo e costruisce un paesaggio sonoro inquietante e senza possibilità di uscita, facendo precipitare la mente dell’ascoltatore nella follia paranoica di pezzi storici come Loco, Clock o Pig. Il livello qualitativo sale ancora nel groove dai brandelli hip-hop di Alienate Me, nel potentissimo rap metal lacerato di One Step (infettato da alcuni microbi elettronici) e nella rancorosa Friend?, rappresaglia isterica contro le persone che si fingono amiche e poi pugnalano alle spalle senza alcun rimorso. A una tripletta del genere segue Rowboat, depravata cover dei Flood tutta fango e marciume che arriva a sfiorare persino territori sludge; il resto della tracklist si muove sulla falsariga di quanto già visto anche se merita almeno una citazione Empty Jar, con il basso di Rayna in bella vista e l’ennesima ottima prestazione di un furibondo Dez.
Dark Days è dunque un solido album di genere proponente un nu metal “duro e puro” al 100% ma, all’epoca dell’uscita (7 maggio 2002), fu proprio questa caratteristica a decretarne la poca fortuna: ormai il successo del trend era entrato in fase calante (basta confrontare le vendite di Untouchables con quelle di Issues) e il melodic metalcore, di contro, si preparava a lasciare l’underground per diventare la nuova Next Big Thing ponendo il primo importante tassello con Alive or Just Breathing dei Killswitch Engage, pubblicato appena due settimane dopo. Nei mesi successivi il gruppo si sfaldò definitivamente consumandosi tra risse verbali e fisiche (clamoroso l’alterco avvenuto a Lubbock nel Texas) che portarono all’addio di Bug Cox e di Dez Fafara: il frontman da lì a poco fondò i Devildriver mentre l’epitaffio a nome Coal Chamber arrivò nel 2003 sotto forma del B-Sides and Rarities Giving The Devil His Due. Tralasciando la reunion e il debole Rivals, oggi vale sicuramente la pena di rispolverare Dark Days per poterlo apprezzare più di quanto non sia stato fatto in passato. Non ha dalla sua il valore storico dell’esordio né il fascino decadente di Chamber Music, però rimane l’ultima grande prova di un gruppo che, se fosse riuscito ad esprimere pienamente il suo potenziale, avrebbe davvero potuto ambire ad un piazzamento accanto ai vari Korn, Deftones e Slipknot. Come dicevamo all’inizio, una promessa mantenuta ma non fino in fondo.
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7
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Mi ricordo che al primo ascolto pensai che era un disco da 50/100 poi dopo averlo ascoltato per bene molte volte lo giudico un 80 pieno. E\' veramente fantastico, \"Friend?\" e \"RowBoat\" sono dei capolavori |
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6
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Non ho mai pensato che potessero ambire ad un successo commerciale simile o vicino a quello dei KORN, DEFTONES O SLIPKNOT, e non per demeriti qualitativi, a mio parere il loro capolavoro è "CHAMBER MUSIC" uno dei 10 dischi più importanti del genere, all'uscita di questo lavoro aleggiava già un discreto disinteresse per il new metal |
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4
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Esatto, Dark Days ha più cattiveria che "follia", molto probabilmente a causa delle tensioni e dei rapporti ormai logori tra i vari membri. Il self-titled, anche per la data di uscita (il 1997 è il primo anno in cui escono dischi degli epigoni dei Korn, i Coal Chamber stessi e i Limp Bizkit), rimane superiore ma sinceramente quest'album per me si colloca al massimo appena un gradino sotto. Si Dez stava già preparando l'addio e in poco tempo infatti pubblicò l'esordio dei Devildriver, tra l'altro un bel lavoro che ho gradito non poco.
A mio avviso il loro errore principale è stato quello di non approfondire la venatura gothic abbozzata in Chamber Music: era quello il famoso quid in più che avrebbe permesso loro di distinguersi dalle altre band del filone, purtroppo non hanno saputo/voluto farlo e sappiamo tutti com'è andata a finire.
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3
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hai ragione, è un gran bel disco, ma da quello che ho ascoltato continuo a preferirgli il debutto omonimo, nonostante fosse quasi una copia dei Korn era più "particolare"... qui siamo nel 2002, e Dez dava già la sensazione che si stesse "devildriverizzando", infatti il disco di debutto del suo nuovo gruppo uscirà dopo un anno, nel 2003... questo è più "monolitico", mentre "coal chamber" era più schizzato e psicotico... fatto sta che qui si ha l'impressione che si sia perso un attimo quel pizzico di follia che regnava nel primo, a favore di un sound più duro e corposo come dici tu...  |
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2
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@Numetalhead, ma come...non l'hai mai ascoltato per intero?! Devi rimediare al più presto perché questo è un self titled 2.0 con un sound ancora più corposo e un Dez Fafara super aggressivo!
Sarà che per scrivere la recensione l'ho ascoltato a ripetizione ma quasi quasi ora mi piace più dell'esordio: Fiend, Alienate Me, One step, Friend? (strepitosa) e Rowboat sono delle mine di puro nu metal. Ascoltalo subito poi fammi sapere ma credo proprio non ti deluderà. |
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1
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eh questi "giorni oscuri" mi dovrò decidere ad ascoltarli prima o poi... conosco bene la sola "glow", che non era affatto male, e forse avrò ascoltato distrattamente "fiend"... da ciò che ho letto in effetti è stato sempre descritto come un misto fra i primi due, forse più tendente al primo... comunque sì, avevano tutte le carte in regola per diventare dei grandi, ma lo sono stati solo fino ad un certo punto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Fiend 2. Glow 3. Watershed 4. Something Told Me 5. Dark Days 6. Alienate Me 7. One Step 8. Friend? 9. RowBoat 10. Drove 11. Empty Jar 12. Beckoned
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Line Up
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Bradley “Dez” Fafara (Voce) Miguel “Meegs” Rascón (Chitarra) Rayna Foss (Basso) Mike “Bug” Cox (Batteria)
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RECENSIONI |
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