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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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19/12/2021
( 1579 letture )
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Annoverabili tra le ultime stelle della scene phase, gli Of Mice & Men hanno fin qui avuto una carriera scostante e a dir poco turbolenta, segnata dalle perdita di pedine chiave quali Shayley Bourget e soprattutto Austin Carlile, main vocalist e uomo-immagine fuoriuscito dal gruppo per ben due volte a causa di una rara patologia che lo ha purtroppo costretto al ritiro nel 2016. Come si può immaginare, la qualità delle uscite ha subìto il peso di tali avvicendamenti e infatti, dopo i primi due dischi, la band è entrata in una fase di ambigua transizione incorporando in maniera non convincente influenze nu metal (Restoring Force, 2014) e poi spostandosi verso lidi alternative metal/rock nell’altrettanto insoddisfacente Cold World (2016). La riscossa è partita nel successivo Defy, prima uscita con al microfono il solo Aaron Pauley, già in line-up dal 2012 come bassista e seconda voce: questa scelta interna si è rivelata vincente perché l’album ha riportato il gruppo sui retti binari del melodic metalcore e il bellicoso EarthandSky (2019) è stata una gradita certificazione dello stato di salute ottimale dei californiani.
Echo, settimo album in studio, è la somma degli EP Timeless. Bloom (disponibili da febbraio e maggio) e da Ad Infinitum, a cui va aggiunta la cover collocata a fine scaletta. Sul piano stilistico si riprende il discorso inaugurato in EarthandSky, pertanto quello che ci attende è un metalcore battagliero esaltato da ritmiche accelerate e nervose, chitarre roventi, immancabili breakdown e una solida batteria infarcita di sezioni in doppio pedale. Aaron Pauley -a cui è toccato l’ingrato compito di sostituire l’amato Carlile- dimostra ancora una volta di essersi meritato la promozione a frontman, in quanto le sue harsh vocals (specializzate in uno scream fierissimo) calzano a pennello con lo spigoloso impianto strumentale e il registro pulito riesce sempre a regalare melodie vivaci e appassionanti. L’offensiva si scatena immediatamente in Timeless, opener che si muove fra riff pungenti e al contempo ingentiliti da echi swedish, breakdown caparbi e gli scream in your face di Pauley. Imbastita sugli stessi elementi ma ancora più trascinante è la speculare Obsolete, eccelsa testimonianza dell’energia senza freni del metalcore unita alla cantabilità di ritornelli cristallini pronti a risuonare dal vivo nelle arene. Il gruppo non ha paura di esporsi e osa ripescare dal passato più scomodo l’amore per il nu metal, il cui influsso comincia a manifestarsi nei solchi di Anchor, composizione che lascia trasparire i primi apporti elettronici e concede più spazio al registro pulito del singer, comunque affiancato da vigorosi sprazzi urlati. L’idea di una benché minima pausa non viene (al momento) contemplata visto che la ferocia nu-core della cupa Levee è alquanto esplicativa e Bloom, nonostante l’incipit possa ingannare, è un'altra mazzata in piena regola mitigata solo all’altezza dei malinconici refrain. Pulling Teeth e Mosaic sono poi altre due mine impazzite colme di breakdown, harsh vocals inasprite e sfrecciate impunite con il doppio pedale capaci di mandare k.o. in men che non si dica. Era francamente impossibile pensare di costruire un intero album su ritmi tanto esagitati e infatti l’ultimo segmento della tracklist si differenzia per un mood più tenue che punta a mettere in luce l’afflato melodico delle corde vocali di Pauley: tolto l’ardore della furente title-track, Fighting Gravity viene affidata in toto alla dolcezza della sua timbrica e così Helplessly Hoping, pezzo di Crosby, Stills & Nash (in Defy era toccato a Money dei Pink Floyd) riletto in una straniante versione sinfonica che stupisce per la modalità esecutiva e per la collocazione.
Echo è la prova che gli Of Mice & Men hanno ormai trovato la quadra dopo le instabilità dell’ultima fase con Carlile: sotto la guida di Pauley il gruppo si è ricompattato tornando a fare quello che gli riusciva meglio, ossia un metalcore rabbioso e melodico al tempo stesso come da tradizione nel genere almeno da metà anni ’00. Per i fan più accaniti sarà ancora un problema accettare l’assenza del “grande ex”, ma va detto che la performance del suo sostituto è ben poco criticabile nell’arco dei tre dischi finora realizzati e anzi, gli va dato il merito di aver rigenerato una band che rischiava di impelagarsi in acque mosse e potenzialmente letali. EarthandSky rimane superiore, ma Echo è un buonissimo disco che va a premiare la determinazione dei quattro, bravi a non aver gettato la spugna di fronte alle notevoli difficoltà incontrate e capaci di ripartire con umiltà e passione, cosa tutt’altro che scontata.
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Credo che questo stile di composizione calzi maggiormente con la band che erano e che sono. Dal quarto album l’impressione è quella di non riuscire a trovare una collocazione in una scena che li ha superati e con cui non riescono a stare al passo. L’impressione è che fossero sempre a inseguire mentre con questo album sembrano riaffermare una loro posizione più originale. Un 80 ci può stare. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Timeless 2. Obsolete 3. Anchor 4. Levee 5. Bloom 6. Pulling Teeth 7. Mosaic 8. Fighting Gravity 9. Echo 10. Helplessly Hoping
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Line Up
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Aaron Pauley (Voce, Basso) Phil Manansala (Chitarra, Cori) Alan Ashby (Chitarra, Cori) Valentino Arteaga (Batteria)
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RECENSIONI |
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