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Djiin - Meandering Souls
26/02/2022
( 1113 letture )
La scena metal underground francese negli ultimi anni è stata una fucina ribollente di nuove band e musicisti, molti di questi dediti ai generi estremi più disparati, ma sempre alla ricerca dell’originalità attraverso sperimentazioni, contaminazioni e ibridazioni. Forti del successo di artisti del calibro di Alcest, Igorr, Klone, Celeste e Gojira, solo per nominarne alcuni, queste nuove realtà stanno emergendo dall’anonimato alla ricerca di un posto al sole in un mercato che si fa via via più affollato e labirintico. Senza magari suscitare il clamore mediatico di queste band più “estreme”, anche il doom, il rock psichedelico e i suoi generi satelliti stanno conoscendo una discreta ascesa, grazie alle proposte mai ortodosse di realtà quali Ixion, Angellore, Funeralium e Indigo Raven. Spesso e volentieri questi artisti non gravitano attorno a Parigi, polo culturale francese per eccellenza, ma emergono da ambienti spesso anche molto lontani dalla capitale. Non fanno eccezione i Djiin, provenienti dal capoluogo della Bretagna, Rennes, che giungono a fine 2021 alla pubblicazione del secondo full length in studio, Meandering Soul, sotto l’ala dell’etichetta indipendente francese, Klonosphere (distribuzione Season of Mist), label attentissima alle nuove realtà che spaziano dall’alternative rock al doom, passando per lo stoner e il rock psichedelico. E non è un caso che la musica proposta dai Djiin sia difficilmente ascrivibile ad un solo genere, avendo il pregio di sapersi muovere all’interno di correnti che vanno a lambire diversi stili e musicalità.
Meandering Soul è un concept album, e Klonosphere non ha badato a spese pubblicando l’edizione fisica dell’album in un bel digipack al cui interno è contenuto un booklet a colori che oltre ai testi dei brani, propone parti in prosa e suggestive immagini a corredo della storia narrata.

La cantante Chloé Panhaleux è autrice sia dei testi delle canzoni che di quelli in prosa, mentre la componente musicale è il frutto di uno sforzo creativo di tutti i membri della band. In breve la trama narra le vicende di un protagonista, chiamato anonimamente “The Thing”, in una sorta di rivisitazione escatologica del mito del primo uomo, delle tentazioni del male e della conoscenza, rappresentate dal serpente antagonista. L’odissea del protagonista che di volta in volta incontra altre entità e personaggi, è scandita da sei lunghi brani in grado di dipingere paesaggi sonori sempre diversi e cangianti, un palcoscenico musicale che atto dopo atto presenta scenografie ed ambientazioni sempre varie e diverse. Un’opera ambiziosa che i Djiin affrontano e realizzano principalmente attraverso due soluzioni: spaziare di genere in genere anche all’interno dello steso componimento e mettere in primo piano l’interpretazione folle e poliedrica di Chloé Panhaleux, sospesa tra il canto e la declamazione teatrale.
E’ il caso del brano d’apertura, Black Circus, che narra la nascita del protagonista, un’entità evocata da un sabba di streghe in una notte d’inverno. La voce è l’indiscussa protagonista nell’incedere fangoso della batteria, dove pochi riff di scuola doom esplodono in brevi sfuriate per poi lasciare di nuovo spazio alla recitazione. Un incipit che spiazza non poco ma che al contempo incuriosisce spingendo l’ascoltatore a penetrare ulteriormente il velo del mistero. The Void si attesta su una struttura più regolare e melodica per buona parte della sua durata, un preambolo solare ed arioso che prelude all’incontro del protagonista col serpente nascosto tra le fronde dell’albero della saggezza. Il cambio di registro e di tempo è repentino e il brano da lento ed ipnotico in un battere di ciglia si rigira su se stesso, quasi ad evocare le spire del serpente in agguato. Il canto suadente di Chloé Panhaleux muta in un rabbioso grido di dolore e sorpresa, quando il protagonista viene brutalmente morso ed avvelenato. Red Desert cambia nuovamente il setting, “The thing” è precipitato dal piano etereo della conoscenza intangibile in un infuocato deserto di dolore e tormento. Il veleno scorre nelle sue vene e si fa strada in lui la consapevolezza che sta gradualmente mutando in qualcosa di diverso, forse malvagio. I Djiin attingono dai paesaggi assolati del desert rock grazie a riff ipnotici e lunghe pause solistiche, mentre gli innesti di arpa elettrica conferiscono al brano suggestive sfumature dal chiaro gusto mediorientale. The Warmth of Death è una composizione interlocutoria, una suite psichedelica ondivaga che tratteggia con maestria quei moment allucinatori sospesi tra vita e morte, Chloè Panhaleux si cela nel background dando spazio alle note della chitarra di Tom Penaguen. White Valley, unica canzone di breve durata, è una scossa elettrica di alternative rock, dove riff granitici e canto rabbioso giocano sul contrasto con il brano precedente, un deragliamento controllato che coglie piacevolmente impreparato chi ascolta. Meandering Soul si chiude con Wax Doll, brano sospeso tra le ritmiche trascinanti dello stoner e le divagazioni chitarristiche tanto care al rock psichedelico. Il protagonista perde le ultime vestigia di un’umanità incerta e superficiale, per trasformarsi nel serpente, simbolo di conoscenza e consapevolezza, in un epilogo circolare destinato a ripetersi nei cicli.

Se l’esordio dei Djiin, The Freak del 2019, aveva lasciato intravedere la caratura superiore di una pietra ancora grezza, Meandering Soul mette a fuoco ed incanala l’estro ed il talento dei quattro musicisti bretoni, pur mantenendo intatta quell’aura di scatenata follia avanguardistica, fiore all’occhiello di tutte le composizioni dell’album. Il nuovo full length riesce nell’intento di superare un già buon debutto, integrando le partiture di arpa elettrica negli arrangiamenti e dando la possibilità alla calda e sensuale voce camaleontica di Chloè Panhaleux di esprimersi in assoluta liberta. Le parti strumentali, sempre diversificate ed imprevedibili, inscenano un’esperienza sensoriale che stimola, a volte disorienta ed infine avvince l’ascoltatore. I Djiin, canzone dopo canzone, sgretolano le strutture consolidate di generi che all’apparenza non hanno più niente da dire, e si candidano come una delle realtà emergenti più interessanti della scena musicale francese e non solo. Chapeau.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
89 su 1 voti [ VOTA]
Black Me Out
Domenica 27 Febbraio 2022, 10.30.43
1
Non è la prima volta che leggo il nome dei Djinn, però le descrizioni e le recensioni relative al disco d'esordio non mi avevano mai colpito a differenza della bellissima recensione qui presente, che mi ha spinto quasi immediatamente a segnare il nome dell'album per ascoltarlo al più presto!
INFORMAZIONI
2021
Klonosphere
Psychedelic Rock
Tracklist
1. Black Circus
2. The Void
3. Red Desert
4. The Warmth of Death
5. White Valley
6. Wax Doll
Line Up
Chloé Panhaleux (Voce, arpa elettrica)
Tom Penaguen (Chitarra)
Charlélie Pailhes (Basso)
Allan Guyomard (Batteria)
 
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