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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Arena - The Seventh Degree of Separation
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29/10/2022
( 1156 letture )
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Privati di Rob Sowden e di Ian Salmon, gli Arena tornarono nel 2011 con un platter fondamentale, di vitale importanza se consideriamo la scomparsa dagli scaffali durata sei lunghi anni. The Seventh Degree of Separation, però, non riuscì -e non riesce tutt’ora- a nascondere le proprie problematiche strutturali sotto il tappeto. A partire, anzitutto, da Paul Manzi: un vocalist interessante per produzioni heavy o, generalmente, scanzonate, ma fuori luogo in contesti ben più “umbratili” come quelli degli Arena.
A risentirne sono composizioni generalmente funzionanti come l’opener The Great Escape oppure la quarta traccia The Ghost Walks, in cui il cantato risulta spiccatamente ossimorico rispetto allo sfondo strumentale su cui si poggia; indigesto, considerando il forte sentore di già sentito del timbro in questione. Ed è così che raffiche di parole vengono recitate senza sufficiente corpo, in pezzi privi di anima, per un disco che di personalità ne mostra poca. Qualche fill del buon Pointer riacchiappa l’attenzione di un ascoltatore facilmente distraibile a causa degli svariati groove midtempo soporiferi. E così gli sprazzi di creatività intravisti nelle tastiere neoclassiche di Thief of Souls, uno dei pezzi degni di menzione grazie alla struttura sfaccettata, alle linee di basso -del tutto assenti in buona parte delle composizioni- e alle trovate squisitamente prog nelle ritmiche, donano uno dei rari momenti piacevoli del lavoro. Discorso similare per Close Your Eyes, sorretta dal giro ipnotico di chitarra e dal giro di batteria, intrappolando, però, in strofe introspettive del tutto in contrasto con il ritornello zuccherino decisamente meno accattivante. Così anche What If? e Trebuchet, in cui i solismi o certi attacchi alla dreamtheateriana maniera si perdono in fraseggi privi di pathos e spalmati con dosi eccessive di prevedibilità lungo le strofe. A mancare in tutti questi casi sono le “variazioni-salvavita”, gli spunti visionari, un quid -seppur minimo- che porti a pensare “non ci siamo del tutto, ma almeno…”. Ed è quindi con leggera insoddisfazione e confusione che si arriva tra le braccia dei quasi otto minuti di Catching the Bullet, uno dei pochi pezzi capaci di cacciare una grinta tale da far glissare sugli errori compositivi più grossolani -a differenza della blanda traccia conclusiva The Tinder Box. Dall’incursione strumentale di metà brano in poi, si finisce in riff ricercati, atmosfere create da tastiere e chitarre mutate, groove in quartine e poliritmie che accompagnano solismi alle sei corde orgasmici sul concludersi del pezzo.
Nonostante il quadro tratteggiato, The Seventh Degree Of Separation risulterà senza dubbio un disco leggero se ascoltato grossolanamente, grazie anche alle indubbie capacità compositive del quintetto. Ascolti più attenti, però, riveleranno un platter privo di sfaccettature, incapace di imprimere la propria personalità tra le righe del pentagramma, di confrontarsi con il progressive del decennio scorso, e con le precedenti release degli Arena.
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2
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Concordo su quasi tutto scritto dal buon @Aceshigh. L'unica cosa sulla quale non soono daccordo è Sowden, che a me non ha mai entusiasmato. Sentirlo cantare e faticare parecchio, imho, su Solomon, Enemy without o Jericho non era il massimo. Sul live Welcome to the Stage per mehan raggiunto 'vocalmente' il top. |
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1
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Mah, io quest’album lo ascoltai ed apprezzai tantissimo quando uscì, oggi l’ho riascoltato e non ho trovato motivi per cambiare idea. È magari un album più lineare rispetto ai precedenti, ma assolutamente non inferiore. Il fatto che sia più semplice non è automaticamente sintomo di inferiorità, anzi, a parte Catching the Bullet, che non mi convince (forse perché un po’ forzatamente tirato per le lunghe), gli altri pezzi funzionano tutti, con alcuni picchi assolutamente notevoli, come One Last Au Revoir, Rapture e What If. Nel complesso è un album che non sfigura con i precedenti, e lo reputo anche un filo superiore ai successivi (ultimo con Damian Wilson compreso). Per quanto riguarda il discorso Paul Manzi vs Rob Sowden, io non vedo tutta questa gran differenza, bravi tutti e due. Manzi io lo sentii un filo più vicino a Wrightson (cantante di The Visitor, il mio preferito in assoluto degli Arena) e la cosa mi fece molto piacere. Voto 83 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Great Escape 2. Rapture 3. One Last Au Revoir 4. The Ghost Walks 5. Thief of Souls 6. Close Your Eyes 7. Echoes of the Fall 8. Bed of Nails 9. What If? 10. Trebuchet 11. Burning Down 12. Catching the Bullet 13. The Tinder Box
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Line Up
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Paul Manzi (Voce) John Mitchell (Chitarra, Cori) Clive Nolan (Tastiera, Cori) John Jowitt (Basso) Mick Pointer (Batteria)
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RECENSIONI |
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