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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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11/02/2023
( 705 letture )
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Per certi versi è tutt’ora assurdo pensare al ritorno datato 2012 degli Änglagård. Sia per un discorso puramente qualitativo, sia per il fatto che uscì a quasi un ventennio dal precedente e ottimo Epilog, tenendone persino intatta una buona parte della line-up. Viljans Öga è di sicuro un raro esempio di come si possa rispolverare un progetto con cognizione di causa, tornando insomma sui propri passi senza snaturarsi, ma senza per questo finire a ripetersi insistentemente. Ma qual è la formula vincente per prodotti del genere? Una chiara, limpida e cristallina idea di musica, talmente ponderata da poter sorpassare il peso degli anni e, perché no, della ripetitività. Parliamo difatti di un progetto strumentale che per sua natura -specialmente nel prog rock- può facilmente ricadere in stilemi stantii e influenze fin troppo note agli appassionati. Eppure, questo Viljans Öga sfuggì con agilità alle scelte facili, riuscendo a resuscitare i climi incantevolmente silvani del gruppo tramite quattro suite di pura classe musicale.
A partire da Ur Vilande, con il suo attacco di flauto e violoncello, i quali rievocano in pochi istanti tutto ciò che di buono la band ha saputo fare nel pieno degli anni ’90. Si respirano di nuovo i climi tetri, gli arpeggi malinconici, le atmosfere grigie ma al contempo ricche di sfumature di tonalità calde. Ritornano le lunghe digressioni polifoniche, fatte di tastiere nevrotiche e chitarre stonate, il tutto in variazioni che ben si frappongono tra strofe armonicamente equilibrate. La band non dimentica però di saper passare anche da frasi altamente funamboliche e complesse a trovate ben più poetiche e ponderate, senza per questo rinunciare alla melodia e all’emozionalità; così, sul finale, si viene gettati con la massima spontaneità in orchestrazioni primordiali, tastiere e chitarre che danzano su arpeggi poetici e melodie incisive. Sorgmantel è invece un pezzo decisamente più nevrotico, basato su frequenti passaggi crimsoniani dal gran gusto compositivo -noti già dagli album precedenti. Sarà facile perdersi nei giri ipnotici della suite, questi mai stucchevoli grazie alla capacità di utilizzare il contrappunto per smorzare le ripetizioni ossessive dei riff e al talento di Olsson alla sezione ritmica. Si arriva così a Snårdom senza fatica, aprendo il percorso con un variopinto carnevale di note in cui a spiccare sarà il basso di Johan Brand, pur rimanendo uno solo degli ingranaggi insostituibili di questa formazione. L’offerta, infatti, non finisce di certo qui e dà il meglio di sé nella stanza finale del pezzo dove l’introspezione, la riflessività e la ripetizione cooperano al fine di donare massima espressività al pezzo. Ci si lascia così agli ultimi minuti di puro sentimento, che ben si colloca tra l’oscurità più pessimistica e solitaria, e il vitalismo più spensierato. Un pathos unico, in cui la chitarra del buon Engdegård richiama linee gilmouriane per consolidare definitivamente la grandiosità del pezzo. Ultimo tassello del puzzle? Längtans Klocka, se vogliamo un pezzo più spento dei precedenti ma pur sempre di grande classe. Le dolci note di piano, la lentezza complessiva e i giri più depressivi donano un gusto di solitudine destinato a richiamare forse con eccessiva insistenza quanto sentito fino a questo momento. Imperfezioni di un disco che, pur richiamando un po’ troppo sé stesso in questo pezzo, ricorda allo spettatore di saperlo far sobbalzare con l’arrivo di lunghi fraseggi strumentali fatti di intricati labirinti virtuosistici. Basso, batteria, flauto, tastiere e chitarre sono solo una parte degli strumenti in gioco, elementi di una danza dall’incredibile verticalità delle partiture. Il finale goliardico invece, portandoci per mano in un luna park, stona leggermente con il sound complessivo e rovina in piccola parte quel gusto serioso a cui il disco aveva abituato.
Si parla però di imperfezioni. Imperfezioni in un disco strumentale avvalorato dal fatto di essere un non-più-sperato ritorno. E pensare che una formula del genere risultasse a distanza di un ventennio così impattante fa prendere coscienza di come questo platter fosse la manifestazione di una capacità compositiva a dir poco lodevole nonché tracotante in quasi ogni nota dell’album. Viljans Öga chiuse così la trilogia iniziata nel 1992 con l’immenso Hybris, una trilogia di musica dalla grande personalità e carisma, coronando al contempo anche una discografia di prog strumentale e sinfonico che in appena tre ore ha saputo (e saprà) far viaggiare gli ascoltatori tra gelide e solitarie foreste scandinave.
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1
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...voto giusto.....prog scandinavo di eccellente qualita\'..... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Ur Vilande 2. Sorgmantel 3. Snårdom 4. Längtans Klocka
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Line Up
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Jonas Engdegård (Chitarra) Thomas Johnson (Piano, Mellotron, Sintetizzatore) Anna Holmgren (Flauto, Sassofono) Johan Brand (Basso, Moog) Mattias Olsson (Batteria, Percussioni)
Musicisti ospiti Daniel Borgegård Älgå (Clarinetto, Basso, Sassofono) Ulf Åkerstedt (Tuba, Basso, Tromba) Tove Törnberg (Violoncello)
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RECENSIONI |
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