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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Darkest Hour - Perpetual | Terminal
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28/04/2024
( 1031 letture )
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Sette anni iniziavano a essere davvero troppi dopo il buonissimo Godless Prophets & The Migrant Flora (2017). Pandemie, smottamenti vari, Mondo sottosopra, tour zoppicanti e chi più ne ha più ne metta. Indovinate un po? I Darkest Hour, inguaribili e instancabili metalhead di Washington D.C. non si sono fatti demoralizzare e, con una line-up praticamente stabile, plasmano e ritornano sul campo di battaglia con uno sfolgorante e, diciamolo, inaspettato come-back. Si inserisce in formazione il bravissimo Nico Santora a condividere riff e soli con il leader Mike Schleibaum. Questa mossa si rivela vincente e corroborante per la forma-studio dei Darkest Hour che, ricaricati dopo una lunga “pausa” scevra di nuove produzioni, scrivono e compongono un vero asso nella manica che profuma di napalm e fiori bruciati.
Di colpo veniamo rapiti dall’intro melodico-drammatica di Perpetual | Terminal , che mette in primo piano le chitarre per poi sfociare in un doppio riff serrato e irruente. Ed è subito un balzo a metà anni ’90, con i Darkest Hour che rievocano a gran voce i fondatori At The Gates / In Flames con una cavalcata up-tempo da capogiro. Come dicevo, torniamo indietro di parecchi anni senza rimanere troppo indietro: produzione alcolica senza trucchi ma con un perfetto bilanciamento e mixaggio. Gli strumenti (e la voce del buon John Henry) respirano a dovere e si prendono gli opportuni spazi. Pregio assoluto di Perpetual | Terminal è quello di suonare compatto e diretto bilanciando canzoni lunghe (la title-track, One with the Void, Goddess of War, Give Me Something to Die For) ad altre brevi e dirette (Societal Bile, Love is Fear, My Only Regret), creando una tracklist a scorrimento perfetto. Tutte le influenze, passate e presenti, compaiono qua e la facendo capolino e creando il classico filo nostalgico. Si va dal death melodico degli albori al metal-core, con i consueti accenti classic, thrash e hardcore. Un bellissimo ritorno di forma con idee chiare: davvero niente male per una band storica che nel 2025 festeggerà il suo trentennale nella scena. Per gli aficionados nessuna paura: i Darkest Hour non amano esperimenti e rimangono ancorati sui consueti heavy-binari, ma ci presentano 11 tracce fresche e potenti, ricche di sfumature e personalità. La potenza assoluta dell’accoppiata Perpetual | Terminal / Societal Bile mette subito in evidenza due anime: la prima votata al metallo svedese riletto in chiave DH, la seconda spezia il tutto con velocità e sferzate thrash. Il nuovo arrivato Nico Santora si mette subito in mostra grazie a tecnica e tocchi progressivi, contrapponendosi e integrandosi alla perfezione con l’irruenza di Mike Schleibaum. Perpetual | Terminal supera in qualche modo Godless Prophets & The Migrant Flora grazie alla strabordante qualità compositiva e alla sua varietà intrinseca: la violenza di Societal Bile e Love is Fear viene contrapposta alla drammatica One with the Void (con un ottimo John Henry) e alla bella strumentale Amor Fati, dominata da melliflui assoli di Nico Santora. Menzione speciale anche per A Prayer for the Holy Death , mini manifesto metal-core dei tempi che furono, con un’ottima forma-canzone, un refrain canticchiabile e un piacevole contorno tastieristico. Potenziale singolo, A Prayer for the Holy Death viene bissata dalla furiosa The Nihilist Undone che amalgama alla perfezione hardcore e primi Dark Tranquillity, con un mostruoso Travis Orbin dietro le pelli. Prova sensazione da parte del corpulento batterista, che mette in mostra potenza e tecnica in ogni canzone. Santora ruba la scena ancora una volta su Amor Fati, con una strumentale romantica che anticipa la brevilinea Love is Fear, spigoloso e violento assalto che richiama i tempi ultra-veloci di Hidden Hands of A Sadist Nation. La godereccia New Utopian Dream si apre dissonante e sbilenca per poi evolversi in un mid-tempo da puro headbanging. Un ritornello sporcato richiama in parte l’epicità di One Thousand Words to Say but One, mentre il bridge strumentale basso/chitarra è ancora una volta vincente. Perpetual | Terminal è un album battagliero, tra spade, storie drammatiche e dramma interiore. Ma le novità non finiscono e, anzi, si auto-corroborano su Mausoleum, dove la band evoca addirittura i Blind Guardian con enfasi acustica e un inaspettato quanto interpretativo John Henry. Mausoleum bilancia sapientemente pacatezza e stacchi heavy, con un codino melodico-solista breve ma azzeccato.
E che dire del gran finale? Goddess of War, Give Me Something to Die For richiama le acustiche di Perpetual | Terminal e Mausoleum per poi sfociare in una scorribanda heavy metal che funge da iper-contenitore firmato Darkest Hour, dove ogni componente del loro sound risulta perfettamente a fuoco. Goddess of War, Give Me Something to Die For , al netto della sua potenza death/thrash suona grandiosa ed epica grazie alla costruzione in costante mutamento e alle sezioni strumentali incredibilmente efficaci. Già solamente l’introduzione meriterebbe un plauso, ma la tensione palpabile durante i suoi 6 minuti la trasformano nella miglior canzone del repertorio. Da brividi.
Un applauso agli instancabili Darkest Hour , parzialmente reinventati a suon di auto-citazionismo, zone di comfort piacevoli novità metalliche. Una band di “lavoratori” della heavy-materia, che dopo 29 anni hanno pennellato uno dei migliori album della loro carriera, nonché uno dei punti fermi in ambito estremo di questo buonissimo 2024. Grandi oltre ogni aspettativa.
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3
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Non li conoscevo e devo dire che questo disco è una gran bella sorpresa! D\'accordo con DaveHC riguardo l\'abilità del cantante e la qualità della proposta. La produzione poi è davvero una marcia in più! |
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2
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Devo dire che questo è veramente un bel disco, sempre nel loro classico sound ma con qualche piccolo elemento di novità che impreziosisce la loro già ottima proposta. Un vero esempio di gruppo che non ha praticamente mai sbagliato un colpo e anche se non ha mai sfornato un capolavoro assoluto ha pubblicato sempre musica di grande qualità e personalità. Jonh henry tra i migliori cantanti in ambito melodeath a mio avviso. |
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1
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...un buon disco...la band ci sa fare....🤟 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Perpetual | Terminal 2. Societal Bile 3. A Prayer for the Holy Death 4. The Nihilist Undone 5. One with the Void 6. Amor Fati (intermezzo) 7. Love is Fear 8. New Utopian Dream 9. Mausoleum 10. My Only Regret 11. Goddess of War, Give Me Something to Die For
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Line Up
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John Henry (Voce) Mike Schleibaum (Chitarra) Nico Santora (Chitarra) Aaron Deal (Basso) Travis Orbin (Batteria)
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