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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Fu Manchu - The Return of Tomorrow
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30/07/2024
( 1383 letture )
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L’ultimo lavoro dei Fu Manchu, Clone of the Universe, aveva lasciato la band in un ottimo stato di forma, con degli ottimi brani -(I’ve been) Hexed , Don’t Panic per citarne qualcuno- e una chiusura finale lasciata ad una suite clamorosa come Il mostro Atomico, dal titolo italiano, che vedeva la presenza Alex Lifeson dei Rush ad affiancarli alle chitarre.
Se si ragiona un attimo, la band di Orange County, con il suo stoner non ha mai sbagliato un colpo, donando esattamente al suo pubblico ciò che si aspettava, proponendo poche variazioni ma spaziando all’interno dei dischi con sonorità fuzzose e passaggi più pesanti.
Return of Tomorrow ultimo lavoro della band di Scott Hill conferma la condizione della band, aprendo il disco con un opener Dehumanize, che ci ricorda il tiro della iconica Evil Eye. A seguire abbiamo l’inneggiante Loch Ness Wrecking Machine, dall’accattivante refrain e dai ritmi di batteria ipnotici. Le chitarre fuzzose trovano spazio nell’incipit acido di Hands of the Zodiac, un hard blues scomposto e ricucito sulle sonorità dei californiani. Il basso di Brad Davis apre malignamente Haze the Hides pezzo più classico e in linea con la produzione della band, trascinato dalle chitarre e dalla voce di Scott Hill. Il brano a dire in vero è molto statico e anche lo scambio chitarristico finale non cambia la dinamica facendolo risultare un po’ sottotono. Non si discosta di molto anche Roads of the Lowly, brano anch’esso canonico che alterna sferzate chitarristiche a pesanti ritmi batteristici con l’interludio di chitarra che sul finale ci traina in terreni stoner. Leggermente diverso, per quanto in linea con la precedente produzione, appare invece (Time is) Pulling You Under dall’attitudine più punk, mentre Destroyin’ Light si fa strada nella tracklist in maniera più sinistra. Gli effetti space durante il ritornello si trasformano in un pesante fill su cui chitarre urlanti divengono le protagoniste del brano. A scorrere troviamo la estraniante Lifetime Waiting carica di umori sabbattiani, esplicitati soprattutto nel finale del brano e che proseguono poi in Solar Baptized, dall’incedere bestiale. Sembra che con questi due brani la band voglia marcare una linea di confine tra una prima e una seconda fase del disco, quest’ultima più psichedelica e fedele a sonorità settantiane, in cui prevale il blues e l’acidità, riconducendo le influenze non solo al Sabba Nero del Godfather Iommi, ma anche a formazioni apparentemente più distanti come i Grand Funk Railroad o gli Allman Brothers. Consci di questo affrontiamo il resto della tracklist con un altro spirito, passando per l’inusuale e più intimista What I Need, brano dalle enfatiche linee melodiche e con un forte richiamo al blues. Il mood settantiano prosegue con la title track e con Liquify, brano che presenta similitudini a livello di sound con i Blue Oyster Cult. Considerando le tematiche fantascientifiche trattate e le sonorità del quartetto, è molto probabile che i Fu Manchu possano vederli come una sorta di numi tutelari. Un’altra bella sorpresa è la strumentale conclusiva High Tide, un blues elegante che fa piacere ascoltare al termine di questo carico di fuzz e psichedelia, ma comunque condito dell’attitudine punk dell’iconica stoner band.
Come già menzionato, era difficile aspettarsi qualcosa di diverso, ma se la prima parte del disco risulta piuttosto canonica, qualche particolarità viene presentata nella seconda parte del full length. C’è da dire che brani come Dehumanize, Loch Ness Wrecking Machine, Hands of the Zodiac rimangono fissati nella mente come degli inni, così come l’acidità di Lifetime Waiting e Solar Baptized, segnate da una sinistra aura. Si è combattuti su come valutare il lavoro perché è fuori discussione che non si può criticare i Fu Manchu per non aver mai apportato dei cambiamenti stilistici, a questo però aggiungiamo l’abilità della band nel proporre virate verso generi che hanno contribuito a forgiare lo stoner come lo conosciamo, prendendo come base il blues e integrandolo nelle proprie sonorità. Da quando i quattro californiani sono tornati con Gigantoid, nel 2014, abbiamo visto una progressione prima con Clone of the Universe e ora con il qui presente Return of Tomorrow. Non parliamo di vere e proprie innovazioni, ma si era intuito che il loro sound stesse virando a piccoli passi verso qualcosa di...“nuovo”? Per meglio dire, si parla di una stessa formula ma con elementi differenti: brani come Hight Tide e What I Need ci fanno ben sperare, non tanto in un ammorbidimento del sound, ma in qualche sprazzo di diversità, disseminato magari in un disco colmo di fuzz e stoner.
Potrebbe essere una bella sfida sia per i Fu Manchu, come musicisti affermati che per noi ascoltatori, sperando nella clemenza da parte del grande pubblico che spesso pecca di tolleranza e accettazione quando si tratta di cambi di marcia, e considerando i ritmi velocistici del quartetto californiano tale locuzione non potrebbe che essere più appropriata.
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3
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Album veramente ispirato. Perfetto x l\'estate. |
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1
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È il disco che ci vuole in questa estate rovente. Bello godereccio, lo sto consumando |
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INFORMAZIONI |
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At the Dojo / Cargo Records
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Tracklist
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1. Dehumanize 2. Loch Ness Wrecking Machine 3. Hands of the Zodiac 4. Haze the Hides 5. Roads of the Lowly 6. (Time is) Pulling you Under 7. Destroyin’ Light 8. Lifetime Waiting 9. Solar Baptized 10. What I need 11. The Return of Tomorrow 12. Liquify 13. High Tide
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Line Up
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Scott Hill (Voce, Chitarra) Bob Balch (Chitarra, Voci) Brad Davis (Basso, Voci) Scott Reeder (Batteria, Voci)
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RECENSIONI |
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