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19/09/24
GIANCANE
ARCI BELLEZZA - MILANO
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01/09/2024
( 1170 letture )
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Nei sotterranei di un palazzo non ancora identificato si nasconde un laboratorio dove esperimenti genetici e mutazioni ibride proliferano con allarmante velocità: simili ai folli scienziati dell’Isola Cannella (responsabili della nascita del temibile MewTwo) oppure ai tecnici molecolari di Raccoon City, i Darko all’interno del loro Alveare continuano ad ampliare il raggio d’azione dell’hyper-deathcore tracciando rotte stilistiche impraticabili per le altre band, costrette a guardare senza aver la possibilità di reagire. Armati di testate nucleari e munizioni al plasma, Tom Barber e Josh “Baby J” Miller dal 2020 stanno radendo al suolo i lineamenti del vecchio deathcore, agli occhi del duo un genere obsoleto da riprogrammare in base a dettami cyber-elettronici che sappiano dar sfogo alla visionarietà di album ed Ep connotati da impetuose raffiche djent, rumoristica aliena, sample industrial alla Ministry e angeliche melodie ovattanti le barbare distopie di un sound estremo quanto futuristico.
Il punto zero Dethmask pt. 1 (2020), la bandiera omonima (2021), i missili HD sparati da Oni (2022) e l’altra metà dell’incubo Dethmask, pt. 2 (2022) sono i quattro bombardamenti che hanno messo il nome dei Darko sulla mappa dell’advanced metal e ora, con l’ingresso di Baby J anche nei Chelsea Grin, il legame di amicizia e lavoro è diventato ancora più stretto annullando ogni vincolo riduttivo tra la band madre di Tom e questo ipotetico side-project. La coppia, in sprezzo alle odierne regole d’ascolto, se ne frega completamente di brani usa e getta, playlist o algoritmi e non bisogna quindi stupirsi che il risultato assuma le gargantuesche proporzioni di Starfire, terzo full-length dalla scaletta abnorme (19 tracce) e dal minutaggio voluminoso (un’ora e dieci). Fuori scala e parametro, il nuovo disco è un torrente in piena destinato ad affogare gli incoscienti che vorranno cimentarsi nel tour de force integrale ma, una volta giunti al termine, sarà meno arduo comprenderne la portata e lo strabiliante livello qualitativo.
Del resto, il multiverso deathcore è un concetto di cui sappiamo (ancora) spaventosamente poco e i due vengono in nostro aiuto fornendo se non altro le linee guida, obbligatorie per riuscire ad attraversare indenni la giungla artificiale da loro stessi programmata. Rispetto ai lavori antecedenti gli sforzi vanno tuttavia raddoppiati poiché la mole di Starfire implica due album saldati in uno, come una maratona olimpica da ultimare tutta d’un fiato senza pause o interludi (gli appena sedici secondi della transitoria The Record Is Over Time for More non valgono)
Il deathcore virante su lampi techno alla The Prodigy in Starfire è lo shock necessario ad acclimatarsi e l’energia cinetica prodotta ricade a valanga sul gigantesco buco nero di Distant World (incrementato dalla spinta di Storm Strope, ex-The Last 10 Seconds of Life) e sulla mattanza orwelliana di Death Charge, una badilata piena di glitch e disturbi sonori extraterrestri dove l’ospite Marc Zelli (Paleface Swiss) entra a gamba tesa con una devastante rappata unclean mandando il cervello in totale blackout. Questo il lato ferino del Darko-sound, una perversa miscela di chitarre djent ribassate all’inverosimile, breakdown intergalattici, un senso del groove distorto e avveniristico, layer elettronici industrial, edm o alien-core, una mostruosa tenuta vocale harsh (Barber divora il suo corrispettivo nei Chelsea Grin) e un’ossatura -core letale come lo Xenomorfo di Alien. A sorprendere maggiormente è però l’altra faccia del gruppo, il rovescio della medaglia, lo Yang bilanciante lo Yin nelle impensabili dilatazioni atmosferico/melodiche di “oasi post-deathcore” quali la brutalità celestiale di 5D, l’acustica leggiadria di Cry Baby, la fluttuante Teardrop Sunshine e il romanticismo dell’eterea Finding Love in a World Full of Tragedy, ballad pulsante di un’emotività in tutto e per tutto umana.
Non di tale avviso i rimanenti brani, così violenti e iper-tecnologici da essere anni luce avanti rispetto alla concorrenza: il deathcore cyberpunk è dunque una minaccia reale e il presente risulta già infettato dalla longa manus vendicativa di Rampage, dalla catastrofica bellezza “electro/synth-core” di Atomic Origin (partecipa anche Garrett Russell dei Silent Planet), dai salti acrobatici di Bunny Suit (mirabile lo stacco di voce pulita in mezzo al caos) e dal nitore di una luna rossa sangue in Chrome Moon, trapano dissonante e ipnotico spedito in orbita da un Tom Barber al top nel dispiego di cattiveria, slancio e profondità gutturale. Al centro risalta il landscape melodico di Sora, diamante hi-tech cesellato dal timbro di Marcus Bridge (Northlane) su un fondale in equilibrio tra drum’n’bass e synthwave. Filamenti analoghi, uniti all’inventiva selezione digitale curata da Miller, levigano le asperità di Mech Control mentre il battito sintetico in Pleasures ha il duro compito di elevarsi oltre le distorsioni dell’imponente reticolo djent-core. In apnea si verrà poi travolti dal bulldozer a piccole tinte melodiche di Green Machine (a cementare l’ossimoro appaiono Michael Barr dei Volumes e David Simonich dei Signs of the Swarm), dallo sperimentalismo imbizzarrito di Shanghai e dall’oltraggioso “trap deathcore” di Virtual Function, incendio propagato dalle harsh inumane di Barber e dal rapido ma incisivo contributo screamo rap di Scarlxrd. L’inatteso outro con gli archi rimane in testa fino all’epilogo The Mother, coda strumentale rotta da un deturpante breakdown inserito a mo’ di ultimo (e crudele) easter egg.
Più che un album, una vera esperienza di deathcore ultramoderno: la masterclass qui impartita dai Dioscuri è infatti di quelle memorabili e Starfire ritocca ulteriormente verso l’alto la quota di originalità, estro e follia appartenenti ad un progetto che vuole continuare ad estendere i suoi anomali e dilatati confini. Nessuno, al momento, riesce a star dietro a questi Terror Twins e alla loro multiforme avanguardia sonora, in ambito -core una valente eccezione DIY da ammirare per una discografia a regola d’arte compresa la mega supernova appena recensita, eleggibile senza dubbi particolari ad Album of the Year nella categoria di riferimento.
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Pur preferendo tendenzialmente sonorità più tradizionali, anche x questioni anagrafiche purtroppo, devo ammettere che questo è un disco veramente buono... Forse un po\' troppo lungo x il genere in effetti, ma decisamente valido.. in alcuni punti mi sono sembrati i vecchi fear factory estremizzati e sotto anfetamine... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Starfire 2. Distant World 3. Death Charge 4. 5D 5. Rampage 6. Atomic Origin 7. Cry Baby 8. Chrome Moon 9. Bunny Suit 10. Sora 11. Pleasures 12. Mech Control 13. Green Machine 14. Teardrop Sunshine 15. Virtual Function 16. Shanghai 17. The Record Is Over Time for More 18. Finding Love in a World Full of Tragedy 19. The Mother
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Line Up
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Tom Barber (Voce) Josh “Baby J” Miller (Chitarra, Batteria, Tastiere, Sintetizzatori, Programming)
Musicisti ospiti: Storm Strope (Voce su traccia 2) Marc Zelli (Voce su traccia 3) Garrett Russell (Voce su traccia 6) Marcus Bridge (Voce su traccia 10) David Simonich (Voce su traccia 13) Michael Barr (Voce su traccia 13) Scarlxrd (Voce su traccia 15)
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RECENSIONI |
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