|
26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
|
|
All That Remains - This Darkened Heart
|
05/04/2025
( 333 letture )
|
Guardando quello che sono diventati gli All That Remains è naturale lasciarsi prendere dalla nostalgia e da un forte senso di rammarico; d’altronde, l’uscita in sordina di Antifragile dopo sette anni di inattività discografica rileva quanto la band sia “decaduta” o comunque stazioni ai margini della fama acquisita durante la NWOAHM.
Troppe scelte discutibili sul piano artistico, numerosi cambi in line-up, la strana morte del chitarrista Oli Herbert (annegato in uno stagno nel 2018) e l’ingombrante figura del padre/padrone Labonte sono i nodi riassuntivi di una carriera entrata in una spirale di intermittenza nel post-The Fall of Ideals (2006), il loro full-length più iconico seguìto da una graduale curvatura mainstream/radio rock avente nell’osceno Madness il proverbiale fondo del barile.
Date le circostanze, trovare rifugio nel passato rimane quindi l’idea migliore e, in tema di “vintage” metalcore, il fascino degli anni 2000 ancora oggi non ha eguali per importanza storica e il livello qualitativo di album considerabili autentici pilastri del genere. A proposito di “rilevanza delle origini”, gli ATR nascono a Springfield (Massachusetts) come side-project di Phil Labonte, all’epoca voce degli Shadows Fall con i quali incise il debutto Somber Eyes to the Sky (1997). Mandato via per attriti musicali, il singer decide di occuparsi a tempo pieno dell’altro gruppo e nel 2002 arriva sul mercato Behind Silence and Solitude, un esempio derivativo di melodic death penalizzato da suoni estremamente ruvidi e da un timbro monocorde inabile a diversificarsi tra i vari brani della scaletta. Nel frattempo, l’armata della New Wave of American Heavy Metal dà il via ad un’implacabile avanzata sotto il comando dei Killswitch Engage (Alive or Just Breathing) e degli Shadows Fall (The Art of Balance), i riferimenti principali di un nuovo sottogenere legato al metallic hardcore della madrepatria e agli stilemi nordeuropei di Göteborg. Determinato a porsi in scia, Labonte arruola il secondo chitarrista Mike Martin e il bassista Matt Deis lavorando alacremente alla realizzazione di This Darkened Heart, da annoverare nel catalogo delle release metalcore più emblematiche del 2004 insieme a The End of Heartache, The War Within, The Oncoming Storm degli Unearth e The Curse degli Atreyu.
Un passo oltre i canoni svedesi di Behind Silence and Solitude ma non ancora giunto al vero e proprio melodic metalcore, TDH fotografa quello step evolutivo di transizione che sarà ultimato nei bagliori dello scintillante The Falls of Ideals. Al guado fra i due generi, il cuore annerito degli All That Remains utilizza l’arteria scandinava per l’eleganza del motore ritmico, i levigati assoli e le suggestioni unplugged, mentre la controparte di hardcore metallizzato irrompe nella volumetria dei breakdown e negli switch canori del frontman, qui adoperante il registro pulito solo in alcuni episodi circoscritti.
Fedele allo spirito della nuova ondata americana, lo swedish-core targato ’04 pone subito in evidenza i netti miglioramenti di una band che fa sfracelli già nell’opener And Death in My Arms, dove gli In Flames e il genoma HC del Massachusetts plasmano un ordigno atto ad esplodere in un breakdown al tritolo davvero formidabile, innescato dalla marmorea densità delle chitarre e dalla mano pesante di Michael Bartlett sui piatti della batteria. Pur rimanendo entro ferrei binari stilistici la tracklist viaggia ad un ritmo sostenuto lontano da eventuali accuse di monotonia, non giustificabili quando ci si trova davanti all’abilità solista di Oli Herbert in The Deepest Gray (da applausi il lead con tanto di wah-wah), alle elaborate parentesi strumentali di I Die in Degrees o alle scorribande melodiche di Vicious Betrayal. Il sensibile upgrade nella produzione, curata dal Re Mida Adam Dutkiewicz, ha poi il merito di amplificare il nitore delle asce e degli ingranaggi ritmici, liberi di esprimersi con delicate note acustiche e prodi scosse metalcore nell’evocativa strumentale Regret Not o nella lunga Focus Shall Not Fail, sei ambiziosi minuti trasportati da dirompenti cambi di tempo, armoniose pennellate svedesi, una dolce e carezzevole lead guitar e gli immancabili breakdown.
Ad essersi perfezionata è anche la condotta al microfono di Labonte, arcigna nel timbro harsh quanto armoniosa nelle clean vocals, udibili in brevi segmenti di Focus Shall Not Fail, nell’arrembante For Salvation e nella brutale emozionalità melodica di Tattered on My Sleeve, paradigma di questo metalcore d’annata nel quale convergono finezze nordiche, spigoli thrash e antinomie vocali rabbiosamente sincere. Posta in chiusura, la title-track sigilla con orgoglio l’album accentuando il carico di attitudine nella valenza testuale (I will not be held down again) e nella prova risoluta del main leader, scortata da un nerboruto breakdown utile ad esaltarne il feeling anthemico.
Avranno pure smarrito la bussola durante il tragitto ma non si scherza con la loro versione di metà anni Duemila: in quel periodo, gli All That Remains si erano affiancati ai grandi nomi del settore e This Darkened Heart, prima del “completo” The Fall of Ideals, lo aveva dimostrato esibendo una cifra tecnica notevole (gli intrecci solisti del virtuoso e compianto Oli Herbert) e una personalità swedish-metalcore ben definita. Davvero un peccato che l’incantesimo si sia rotto; ad ogni modo, i cinque hanno saputo contribuire all’espansione/rafforzamento del genere tramite due lavori dal memorabile peso storico, capaci (in parte) di mitigare i tanti errori commessi nel prosieguo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
2
|
@Hacksaw, io invece in ambito metalcore sono partito con i BFMV ma ho iniziato ad appassionarmene davvero con le band dell\'era Sumerian/Rise Records. Poi, tornando indietro, ho scoperto la versione dei primi anni Duemila e in effetti per importanza storica e qualità degli album è insuperabile. Oltre ai gruppi che hai citato, aggiungerei gli obbligatori Killswitch Engage e gli As I Lay Dying, i miei preferiti se parliamo di swedish-core.
|
|
|
|
|
|
|
1
|
Gran bel dischetto, questo era proprio il tipo di metalcore che piaceva a me, fortemente influenzato dallo swedish di Goteborg e dal metal classico, non a caso questi erano fra i miei gruppi preferiti del genere con Shadows fall, Unearth e August burns red. The deepest gray troppo ganza!! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. And Death in My Arms 2. The Deepest Gray 3. Vicious Betrayal 4. I Die in Degrees 5. Focus Shall Not Fail 6. Regret Not 7. Passion 8. For Salvation 9. Tattered on My Sleeve 10. This Darkened Heart
|
|
Line Up
|
Philip Labonte (Voce) Oli Herbert (Chitarra) Mike Martin (Chitarra) Matt Deis (Basso) Michael Bartlett (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|