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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Cruachan - Blood on the Black Robe
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( 4928 letture )
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Un ritorno alle origini… ma sarà la scelta giusta?
Con questo quinto full length, gli irlandesi Cruachan si riaffidano alle sonorità che caratterizzarono Tuatha Na Gael (1995), loro debut album. Tale ritorno a un sound più grezzo è sicuramente legato all’uscita dalla band della cantante Karen Gilligan, che portava il gruppo a comporre atmosfere più melodiche, lasciando leggermente da parte gli sprazzi di puro metal estremo.
Il monicker Cruachan corrisponde al nome di un vecchio regno irlandese chiamato Connacht. Tutta la loro musica è legata alla tradizione celtica, sia per quanto riguarda gli arrangiamenti, sia per le tematiche trattate all’interno dei testi, dove sono presenti anche elementi riguardanti la storia e la mitologia irlandese. Scorrendo la line-up si scorge l’utilizzo di diversi strumenti insoliti come il bodhran (un particolare tamburo), il banjo, il mandolino e molti altri che, a dir la verità, si notano poco nell’amalgama, fatta eccezione per il tin whistle che invece compare con una certa insistenza.
Passando al contenuto dell’album, le canzoni non risulterebbero così malvagie se prese singolarmente, il problema si presenta quando dobbiamo valutare il disco nel suo complesso a causa dell’eccessiva prolissità. Ci troviamo dunque di fronte ad un lavoro che per poco non raggiunge l’ora di durata, dove nemmeno i classici cliché del folk metal riescono a vivacizzare l’opera. Le composizioni tendono ad essere ripetitive e poco incisive, le chitarre sembrano quasi un leggero sottofondo per il solito motivetto in stile celtico generato da flauto, banjo, e altri strumenti tipici che nel frastuono generale risaltano veramente poco. Le prime due canzoni, escludendo To War, che non è altro che un insulso intro, risultano monotone e decisamente allungate più del dovuto: sia I Am Warrior che The Column seguono uno schema composto da riff accompagnato dal cantato acido di Keith (non oserei chiamarlo scream) alternato ad un ritornell(in)o folkeggiante. Oltretutto, all’interno di The Column, il ritmo subisce un rallentamento che caratterizza tutti e sette i minuti della canzone, che si rivela un reale supplizio. La seguente Thy Kingdom Gone si staglia su schemi estremi ma melodici, up-tempo feroce con riff piuttosto orecchiabili, in cui ovviamente non manca il classico motivetto in stile celtico. Tra gli elementi migliori dell’album c’è sicuramente l’intro di An Bean Sidhe, una composizione neo-folk accompagnata da una piacevole e soffusa voce femminile; anche quando nella canzone torneranno a farsi sentire i potenti riff di chitarra e le urla del cantante, rimarrà comunque un discreto sottofondo di flauto, questa volta azzeccato e per nulla pacchiano. Accordi di chitarra acustica introducono Blood On The Black Robe, un brano composto da riff più duri e meno melodici: nella parte centrale troviamo inserti folkloristici con un buon cantato in pulito. Ovviamente anche in questo caso il tutto è allungato inutilmente: sette minuti risultano essere decisamente troppi. La successiva Primeval Odium si dimostra molto simile alla title-track sia per struttura sia per tedio, con l’aggravante di una durata ancora maggiore. Grazie a The Voyage of Bran ci si sveglia dal torpore grazie ad un’allegra ritmica folkggiante, che tutto sommato riesce a generare un discreto pezzo, complice anche il duetto vocale formato da Karen (cantante già citata in precedenza perché non più nella band, ma che compare come ospite in una paio di brani) e Keith. Anche Brian Boru’s March, completamente strumentale, risulta allegra e poco noiosa, non a caso in queste ultime due tracce il minutaggio è decisamente inferiore rispetto lo standard del disco e l’ascoltatore è meno portato a premere il famigerato tasto “skip”. Con le conclusive Pagan Hate e The Nine Year War, ci troviamo di fronte alla solita composizione dove parti piuttosto estreme si alternano al consueto, ormai monotono, motivetto di flauto.
Devo ammettere che sono rimasto leggermente spiazzato da questa uscita dato che pur non essendo un grande fan di questa band ne ho sempre riconosciuto le qualità. Detto questo Blood On The Black Robe è un netto passo falso: la poca fantasia in fase di songwriting e la banalità delle ritmiche sono piuttosto evidenti, senza parlare della già citata “logorrea” relativa al minutaggio esagerato. La scelta di tornare a fare musica più “spinta” si dimostra quindi poco azzeccata.
È dunque lecito domandarsi: i Cruachan torneranno sui propri passi o continueranno per questa strada?
Solo il tempo ce lo dirà. Per ora si deve bocciare.
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4
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Lo riascoltavo stasera in macchina....No n male...non me li ricordavo tanto bene...ma a sto punto lo ripassero per bene..Un buon album di folk pagan celtic metal....quanti ricordi pensando alla prima volta che ascoltai Thuata na gael....   |
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3
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cd molto noioso a parte poche canzoni, comunque domani li vedrò live e spero che non facciano le canzoni chilometriche così almeno si farà un bel casino |
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2
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Spero che ci siano state anche recensioni con cui ti ci ritrovavi . Fatti sentire ancora che di commenti ai dischi paricolari c'è sempre bisogno! Intanto grazie per l'opinione! |
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1
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Ciao, questo è il mio primo commento sul sito che però seguo già da un po'. Non sono daccordo col giudizio sul disco, benché io adori le voci femminili, questo disco mi è sembrato molto più che buono. Ritmiche interessanti, aggressività al punto giusto e parti folk ben coniugate coi riff metallici. "The Column" poi mi fa morire, sarà per il testo ma mi piace troppo. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. To War 2. I Am Warrior 3. The Column 4. Thy Kingdom Gone 5. An Bean Sidhe 6. Blood On The Black Robe 7. Primeval Odium 8. The Voyage Of Bran 9. Brian Borus’ March 10. Pagan Hate 11. The Nine Year War
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Line Up
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Keith Fay (Voce, Chitarra, Banjo, Bodhran, Bouzouki, Mandolino, Percussioni) John O'Fathaigh (Flauto, Cornamusa, Whistles) John Ryan Will (Violino, Bouzouki, Tastiera, Tin whistle) John Clohessy (Basso) Colin Purcell (Batteria, Percussioni)
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RECENSIONI |
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