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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Arstidir Lifsins - Vápna lækjar eldr
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( 3671 letture )
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Dopo solamente due anni dal debut Jötunheima dolgferð ritornano sulle scene gli Árstíðir Lífsins, complessa formazione composta da membri provenienti dall’Islanda, dalla Germania e dalla Norvegia. In questo nuovo lavoro, intitolato Vápna lækjar eldr, i nostri non si discostano minimamente dalle sonorità del precedente album, proponendo anche questa volta un alto numero di particolarismi musicali quali l’utilizzo del contrabbasso, dell’organo, del violino e una bellissima riproposizione di un antico canto medievale francese scritto all’epoca da Adam de la Halle e posto nell’ultima traccia del disco.
In generale il sound della band è costituito da una base black metal di chiara matrice nordica affiancata da forti influenze folk –le quali danno quel qualcosa in più alle composizioni– e da qualche tocco di ambient, necessario per creare una determinata atmosfera assieme all’uso degli strumenti citati in precedenza. Tengo a precisare che il termine “folk” non indica connotati musicali danzerecci e spensierati, anzi, gli Árstíðir Lífsins denotano un’assoluta complessità e un attento studio nelle parti non strettamente metal, portando l’ascoltatore in uno scenario di pensieri e riflessioni completamente distanti dall’ideale gioioso che si respira nelle canzoni di molti altri gruppi. Rimanendo sempre in tema folkloristico ci spostiamo sui testi, i quali sono ancora una volta scritti completamente in islandese antico. Il tema principale di Vápna lækjar eldr corrisponde ad un tentativo di illustrare com’era la vita contadina nell’Islanda del decimo secolo, includendo elementi letterari derivanti dalla Skáldskaparmál di Snorri Sturluson, dalla saga di Njáls (estremamente famosa tra gli islandesi) e da quella di Egil Skallagrímsson (un contadino diventato vichingo e poi scaldo).
La composizione dell’album è opera di Stefán (chitarre, basso e voce) ed è stato registrato tra Islanda e Germania durante l’intero 2011. La fase di mixing è stata completata presso i 358-Studio di Reykjavík da Árni (batteria, violino, contrabbasso e voce) e la masterizzazione finale è avvenuta grazie a Tom Kvålsvoll negli Strype Audio Studio. Il risultato finale è di livello molto alto, la produzione è eccellente e ogni elemento ha il proprio spazio all’interno delle composizioni, dimostrando appieno l’ottimo lavoro di tutti i musicisti. Come nel precedente disco notiamo delle parti corali veramente ben fatte; allo stesso modo i tre tipi di cantato (voce pulita e due tipi di scream, uno estremamente acido e tagliente rispetto all’altro) che caratterizzano gli Árstíðir Lífsins coinvolgono discretamente l’ascoltatore accompagnandolo per l’intera durata del viaggio. Il drumming non eccelle particolarmente, ma svolge comunque il suo dovere. Al contrario, le trame e i riff di chitarra sono assolutamente ottimi e mi sono trovato ad apprezzarli molto in più di un’occasione.
Una delicata trama di violino introduce Friggjar faðmbyggvir er mér falinn, opener di questo nuovo disco, e viene in poco tempo sostituita da un arpeggiare di chitarra acustica, la quale accompagna la parte parlata eseguita da Teresa, voce femminile del gruppo. Per i minuti finali si ritorna su scenari più “metallici” dove Stefán confeziona un’ottima melodia di chitarra. La seconda traccia (Frá þögn Rauma grund hefr þessi ætt komið) viene introdotta acusticamente per un minuto abbondante aprendo le porte ad una cavalcata musicale in stile viking, dove una voce in clean dai toni solenni duetta con un acido screaming. Un fattore interessante è dato dal continuo scambio di ruolo tra la componente elettrica e quella che rappresenta l’anima folk, quest’ultima in grado di proporre soluzioni molto piacevoli all’orecchio. Con mio grande piacere nel finale il ritmo si alza ulteriormente grazie ai blast beats e all’incalzante alternarsi delle voci; utili alla causa si dimostrano anche gli effetti di tastiere e qualche nota di piano. Introduzione acustica anche per Ék sé framtíð í ísa broti, canzone che dopo un minuto di totale calma esplode completamente grazie ad una serie di riff di indubbia qualità e con i vari cantati a supportare il tutto. A metà brano il ritmo si rallenta e salgono in cattedra le voci corali ed un susseguirsi di strumenti quali il pianoforte e il violino, utili a preparare il terreno per la carica finale. Di gran lunga più travolgente delle precedenti risulta l’inizio di Blóð-Þorsteinn eystri, ma l’ironia vuole che questa alla fine si riveli una canzone non proprio riuscita in pieno, forse a causa dei suoi quattordici minuti di durata, veramente troppi se contiamo le eccessive pause all’interno del brano che potevano benissimo essere accorciate. Già verso i primi cinque-sei minuti il tutto diventa “pesante” e ci vuole all’incirca un secondo per distrarsi dalla musica e cominciare a pensare a tutt’altro; eppure io non disprezzo affatto le composizioni lente, ma il modo in cui sono poste qua risulta poco coinvolgente e tutt’altro che interessante. La successiva Gylðis kind hefr aldrei dvalist á einum stað è probabilmente la mia preferita di questo Vápna lækjar eldr, forse perché spazza via la noia del pezzo precedente e riporta gli Árstíðir Lífsins verso sonorità maggiormente legate al black, un campo che i nostri interpretano alla perfezione. Anche in questo caso abbiamo un momento di pausa acustico che fortunatamente non si dimostra né noioso né lentamente ripetuto all’infinito, il suo scopo è quello di introdurre la seconda parte della canzone composta da riff meno veloci ma più “corposi”, oltretutto accompagnati ottimamente da cori, tastiere e dal solito acidissimo cantato di Stefán. Su una base acustica si adagia il massiccio riffing della successiva Samkoma um sumar var sett á Þingeyri, un brano sicuramente più pregno di atmosfera rispetto agli altri, con i passaggi in clean vocals che mi ricordano addirittura Burzum da Belus in poi. La parte centrale si rivela molto particolareggiata e riesce nell’impresa di spezzare in due il brano senza snaturarlo e senza renderlo noioso. Quattro minuti di puro folklore costituiti da Mjök erum tregt tungu ci preparano per i due lunghi brani finali. Il primo è Svo lengi sem Sutrs ætt ok ásmegir aðhafast, mun þessi jörð í ringulreið elta (che vi sfido a leggere), canzone che svaria con una certa semplicità dagli up-tempo più feroci a ritmiche lente scandite dalle sole percussioni. Tutto sommato questa canzone non eccelle per chissà quali bellezze stilistiche, ma riesce nella sua semplicità a farsi piacere e a trascinare l’ascoltatore grazie al susseguirsi di alcuni piccoli particolari che accompagnano di volta in volta le esecuzioni chitarra elettrica. La seconda e ultima Fjörbann var mér alltaf við hlið er ófriðr kom upp parte con l’accoppiata vocale costituita dalla voce femminile e dal solito cantato in clean, lasciando per un attimo in disparte il lancinante screaming che per più di un’ora ci ha accompagnati, e quando questo ricompare viene inusualmente seguito dai violini e da una ritmica più lenta. Il tempo di una breve pausa parlata e la musica ritorna verso lidi più estremi dove la band si destreggia con enorme classe, proponendo alcune soluzioni veramente sopra la media nella cerchia della musica “black folkloristica” degli ultimi tempi.
Comincio la conclusione con una breve premessa, ovvero che Vápna lækjar eldr va ascoltato, riascoltato e riascoltato più volte per potere essere assimilato come si deve, il lungo minutaggio (poco meno di un’ottantina di minuti) non ne permettono un ascolto superficiale e in un certo senso obbligano l’ascoltatore a capirlo per poter ogni volta notare nuove sfumature all’interno del platter. Ovviamente questo potrebbe essere un pregio, come potrebbe anche essere un difetto. Ritengo che un minutaggio leggermente più controllato avrebbe favorito la fluidità delle composizioni e avrebbe portato la band a sfornare il proprio capolavoro, perché le potenzialità di questi ragazzi sono assolutamente sopra la media e in un certo senso hanno “perso” un’occasione. Ma diciamocelo, magari ce ne fossero di band che sfornano prodotti del genere e che siano allo stesso tempo in possesso di un margine di miglioramento esponenziale. L’unica cosa che posso dire è quella di aspettare una terza uscita, magari con le giuste accortezze potranno finalmente produrre qualcosa di memorabile. Per ora accontentiamoci di qualcosa di “semplicemente” ottimo.
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4
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@fabriziomagno, mi spiace per chi ti conosce |
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3
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io sono sempre per gli album da 8 canzoni per 40 minuti totali... non ci posso far nulla!  |
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2
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"Una bomba". Questo è stato il mio primo commento quando è terminata la seconda traccia. Più procedevo con gli ascolti e più mi rendevo conto della classe che possiedono questi ragazzi. Un black con qualche reminscenza di folk, ma suonato come si deve e senza cadere nel banalotto. Promossi, 85/100. |
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1
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Interessante, davvero interessante. Vi farò sapere a breve. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Friggjar faðmbyggvir er mér falinn 2. Frá þögn Rauma grund hefr þessi ætt komið 3. Ék sé framtíð í ísa broti 4. Blóð-Þorsteinn eystri 5. Gylðis kind hefr aldrei dvalist á einum stað 6. Samkoma um sumar var sett á Þingeyri 7. Mjök erum tregt tungu 8. Svo lengi sem Sutrs ætt ok ásmegir aðhafast, mun þessi jörð í ringulreið elta 9. Fjörbann var mér alltaf við hlið er ófriðr kom upp
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Line Up
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Stefán (chitarra, basso, voce, cori) Árni (batteria, violino, contrabbasso, voce, cori) Georg (voce e cori) Marsél (voce e cori) Sveinn (tastiera, pianoforte) Kristófr (percussioni e cori) Tómas (cori) Teresa (voce) Kristín (organo)
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RECENSIONI |
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