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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Eyehategod - In the Name of Suffering
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( 6116 letture )
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Era il lontano 1988, quando i giovanissimi Melvins di Washington avevano pubblicato da qualche anno l’ormai storico disco Gluey Porch Treatment che contribuii a dare vita ad un sottogenere chiamato “sludge”. In quello stesso anno cinque ragazzi provenienti da New Orleans in Louisiana avrebbero infettato questo nuova corrente musicale con il loro sound marcio e corrosivo, contribuendo così al suo sviluppo. Adottando l’intrigante nome Eyehategod, la cui traduzione letterale può trarre in inganno presentando un certo “nonsense” ma pronunciato correttamente si può svelare appunto il doppio (vero) senso nascosto: “I Hate God”.
Nell’oscurità del loro oblio il primo tassello dell’album viene annunciato da stridii e vibrati di chitarre del duo Jimmy Bower - Mark Schultz, che si prestano ad ergere un’introduzione perfetta attorno al semplice riff del basso di Steve Dale. I componenti del gruppo non si lasciano di certo attendere nel fare la loro entrata in scena, così dopo pochi secondi di ascolto la batteria di Joe LaCaze viene susseguita dalla voce sporca e maledettamente malsana di Mike Williams; caratteristica questa che divenne subito un segno distintivo del quintetto americano! Depress è il primo tassello di questo debut che si schiude liberando un riff veloce in stile Black Flag tanto bello quanto breve, lasciando gli ultimi minuti rimanenti in mano ad una parte più lenta e decadente. L’odio allo stato puro di cui è carico il gruppo ci regala la seconda traccia intitolata nientemeno che Man Is Too Ignorant To Exist: due minuti e trentotto di doom delirante in rapido crescendo culminato a tutta velocità! Shinobi presenta un introduzione analoga alla prima traccia nel quale poi si snodano dei riff lenti, cupi e pesanti come macigni ispirati ai connazionali Saint Vitus, creando nell’ascoltatore uno stato di prigionia asfissiante, il tutto accompagnato dalle grida del forsennato Mike. Tematiche malate riguardanti misantropia, sofferenza, violenza e droghe sono l’ingrediente principale di brani quali Pigs, claustrofobica agonia di appena tre minuti con protagoniste chitarre lente ed ovattate e sfuriate canore a squarciagola:
Body scarred Head fucked up Don't get involved Sado-necro-homo-bestiality
In Run Into The Ground le chitarre distorte in palm-mute sembrano trascinarsi di forza attraverso le lande paludose dalle quali loro stessi sono emersi. Godsong è senz’altro uno dei pezzi più interessanti dell’intero album: un brano in perfetto stile stoner che riporta alla memoria vari gruppi quali Electric Wizard, Bongzilla, Weedeater e, perché no, anche i Queens Of The Stone Age del disco A Song For The Deaf, per via della parte vocale che viene parlata con un effetto quasi “radiofonico” sia nella fase introduttiva che nella strofa vera e propria. Segue Children Of God che mostra di non essere da meno, emulando la precedente. Annunciata da una frase (della quale non sono riuscito ad afferrare a pieno il significato) mandata in loop ossessivo che trasuda Sweat Leaf dei mitici Black Sabbath da tutti i pori. Avanti ancora giungiamo dunque a Left To Starve, punta di diamante dell’intero album. Veloce, ricca di frenate e accelerazioni che si scambiano il testimone durante l’esecuzione, una canzone dove il pogo è assicurato:
I scar my body Like a good boy It takes practice at self abuse
Sulla stessa riga si pone la penultima Hostility Dose: selvaggia e primitiva quanto la prestazione vocale dell’ugola di Williams che senza perdere un colpo si mantiene estremamente “bestiale” su tutte le dieci tracce, così come sulla conclusiva Hit A Girl, ultimo baluardo da superare prima di potersi lasciare alle spalle i cancelli di questo In The Name Of Suffering.
Un disco quindi tra i primi del suo genere, che attinge a piene mani dalla fonte di pietre miliari quali Melvins e i già citati Black Flag con il loro controverso My War. Il punto di forza è indubbiamente l’insieme in quanto le canzoni presentano strutture molto simili e sono poche quelle che spiccano rispetto alle altre. Questo disco è solo la prima impronta che i ragazzi di New Orleans lasciano su un sentiero musicale ben più lungo, sul quale hanno disseminato molte altre opere di incredibile fattura. Personalmente parlando lo ritengo un debutto di discreto livello, considerando anche che fosse una proposta un po’ particolare per gli standard musicali di quei tempi. Un buon antipasto prima di arrivare alle portate principali che compongono la loro discografia.
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11
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Il mio preferito assieme al successivo, band pesantissima e cattivissima. 85/100 |
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10
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un disco buono, ma troppo seminale e a tratti noioso da ascoltare, insomma questo è solo l'involucro degli Eyehategod, i 2 dischi che verranno dopo (sopratutto Dopesick) sono di nettamente superiori |
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9
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@Swan Lee: Parole sante.. |
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8
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Disco buono. Ma il meglio dovrà ancora arrivare. Il loro capolavoro resta Dopesick...uno dei dischi più putridi e malati che lo Sludge ricordi.. |
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7
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lo stare male fatto musica.disco e in generale band incredibile, semplicemente immensi |
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6
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Disco basilare per la nascita e l'evoluzione di un genere all'ora nuovo, lo Sludge!Band cattiva,con una montagna di attitudine e carattere,ancora oggi dopo più di 20 anni sono in cima al genere,80 abbondante! |
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5
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roba grezza e molto piu pesante di tanta roba che girava in quel periodo, e poi che figata i sabbath piu pesanti e grezzi che se la fanno con l'hardcore bo meglio di cosi!!!!!! |
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4
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Mai impazzito per lo Sludge, ma in effetti questo e soprattutto Take as needed for pain sono disconi e su questo concordo con Galilee. |
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3
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Concordo con Undercover. Questo è l'inizio di un genere tra l'altro, mica pizza e fichi... Per me voto un po basso per un disco storico del genere.. Che rimane secondo me, il loro lavoro migliore assieme al suo successore. |
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2
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musica marcia fino al midollo!All'epoca devo essere sincero non mi fecero impressione più di tanto..ma col tempo rivalutai molto questo album che rimane il mio preferito.. |
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1
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Sostanzialmente quasi concorde, però proprio per il fatto che si distaccasse in parte da ciò che veniva proposto al tempo e che avesse quel quid in più in personalità e particolarità che mancava a tanti, per me fa lievitare il voto fino a un doveroso 80 di stima. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Depress 2. Man Is Too Ignorant to Exist 3. Shinobi 4. Pigs 5. Run It Into the Ground 6. Godsong 7. Children of God 8. Left To Starve 9. Hostility Dose 10. Hit A Girl
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Line Up
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Mike Williams (Voce) Jimmy Bower (Chitarra) Steve Dale (Basso) Joe LaCaze (Batteria)
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