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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Wolfsbane - Live Fast, Die Fast
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( 2452 letture )
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Il buon vecchio hard’n’heavy inglese. Riuscite a immaginare niente di meglio? A dire il vero sì. Ma è innegabile che esso costituisca una inesauribile fonte di approvvigionamento e piacere per chi ha bisogno di dissetarsi a una delle fonti primarie del genere, se non la principale in senso assoluto. In un panorama tanto vasto di ottime bands, tra le quali scorgiamo dei veri e propri giganti mondiali, è inevitabile che ci siano anche infinite band di seconda, terza o quarta, quinta fila che vanno a costituire un underground immenso e comunque più che degno e meritorio di attenzione. In un contesto nel quale emergere è reso difficile proprio dalla concorrenza di tantissime bands di pari valore, per i Wolfsbane occorreva davvero qualcosa in più. Formato nel 1984 e autore di ben tre demo (Wolfsbane del 1985, Dancin’ Dirty del 1987 e Wasted but Dangerous del 1988) il gruppo inglese ottenne finalmente un minimo di riconoscimento con la firma di un contratto apparentemente prestigioso con la Def American del guru Rick Rubin. In effetti, finalmente i ragazzi riuscirono a giungere all’agognato disco di debutto già nel 1989, proprio sotto la guida di Rubin, con il presente Live Fast, Die Fast, album che valse loro un primo timido riscontro e la possibilità di aprire per i leggendari Iron Maiden nel loro No Prayer On the Road Tour del 1990. Una vetrina prestigiosa, che smosse le acque, ma probabilmente non quanto la band sperava.
In effetti, questo primo album si presenta come un buonissimo concentrato di heavy primigenio, sparato in faccia, grezzo, sporco, cattivo, con evidenti derivazioni NWOBHM e ispirazioni multiple che comprendono anche un po’ di sana ignoranza di casa Motorhead/Tank. Un lavoro che nel 1989 forse suonava anche un po’ retrò, rispetto ad un genere che aveva da tempo abbandonato la gloriosa epopea dei primi anni del decennio, per fare strada ai nuovi eroi del thrash, piuttosto che, a livello mainstream, al glam/street/AOR americano che imperversava ovunque. Eppure, il sound dei Wolfsbane, pur se totalmente privo di una qualsiasi traccia di originalità, non passava del tutto inosservato e non mancava di personalità. Le lancinanti e tiratissime parti chitarristiche di Jason Edwards pur in tutto e per tutto rientranti nei canoni del genere, rivelavano però un gusto e una tecnica tutt’altro che mediocri, arrivando in realtà a lambire addirittura velleità a là Van Halen che si mostravano fieramente in particolare in prossimità degli assoli. La sezione ritmica della band macinava galoppate metalliche quasi senza sosta, con piglio arrogante e combattivo e il sound generale appariva decisamente di strada, cattivo, sguaiato, incazzoso come un ubriaco buttato fuori troppo presto dal pub. Perennemente in bilico tra heavy e hard rock proprio di scuola Van Halen, Live Fast, Die Fast appariva corroborante e piacevole, dalla facile presa e dalle poche pretese negli arrangiamenti, chiaramente votati all’esibizione live. La carta finale giocata dalla band era tutta nell’interpretazione di Blaze Bayley, buon vocalist capace di calarsi perfettamente nel ruolo spaccone e aggressivo richiesto dai brani, con una timbrica scura e virile, che sapeva però avvicinarsi alle tonalità di David Lee Roth in un pezzo smaccatamente hard rock come I Like It Hot. Il cantante inglese costituiva indubbiamente il finalizzatore di tutto il lavoro tirato su dai compagni e pur senza possedere una estensione particolare o chissà quale stile originale, godeva di una personalità evidente e piacevole, che contribuiva a rendere credibile una proposta che in mano ad interpreti appena meno convincenti, sarebbe risultata inevitabilmente datata e tutto sommato superflua. I Wolfsbane di Live Fast, Die Fast, invece, pur senza arrivare a chissà quali vette, si mostrano concreti, in possesso di canzoni dirette e semplici ma funzionali, sorrette da una professionalità chiara e da un’attitudine sincera, che non ammette repliche. Non ci sono momenti di stanca e l’album va via tutto in maniera più che degna, grazie agli ispirati e torrenziali solismi di Edwards (date un ascolto a Greasy), alla buonissima interpretazione di Bayley e al solido e terremotante lavoro di Jeff Hateley e Steve Ellett, il quale non disdegna il ripetuto uso del doppio pedale conferendo spesso velocità omicide ai brani. Citare una traccia piuttosto che un altra risulta abbastanza pleonastico, tanta è la compattezza e l’omogeneità delle composizioni e il trittico iniziale, con la sparatissima e violenta Man Hunt, la più bluesy e cadenzata Shakin’ e Killing Machine a giocare in pieno territorio heavy, basta per farsi un’idea più che chiara del valore del gruppo; canzoni come Money to Burn, la citata I Like It Hot, Greasy e Pretty Baby, mostrano invece il lato più hard rock della proposta, con risultati degnissimi, pur senza mai toccare brividi particolarmente memorabili. C’è anche spazio per una ballata in progressione come Tears from a Fool, costruita in maniera diligente e credibile e assolutamente piacevole.
Il debutto dei Wolfsbane è insomma un lavoro che pur non spiccando in maniera particolare da un punto di vista dell’originalità, mostra un gruppo meritevole di una certa attenzione, non fosse altro che per l’attitudine spudorata e arrogante, per delle individualità particolari come Edwards e Bayley e per una generale capacità di risultare credibile e piacevole pur giocando su composizioni non particolarmente ricercate. Semplicemente un buono e onesto hard’n’heavy inglese ben fatto e solidamente eseguito. Non sarà il meglio che il metal può offrire, ma possiede una dignità e una classicità non intaccabile dal tempo e dalle mode e resta fresco e piacevole oggi come allora. La storia della band poi è conosciuta: un secondo e un terzo album di altrettanto buona fattura, ma il gruppo non riesce a decollare come meriterebbe. Forse l’aver avuto un contratto con una label statunitense non ha poi molto favorito i Wolfsbane, che si ritrovarono contro il nazionalista pubblico di casa, mentre negli States la loro musica arrivava decisamente fuori tempo massimo e ottenne pochissimi riscontri. La perdita del contratto con la Def American e il conseguente passaggio a etichette più piccole, pur garantendo la possibilità di incidere altri album stroncò definitivamente ogni velleità di reale crescita e quando Blaze Bayley decise di tentare la sorte con il provino per la leggenda Iron Maiden ottenendo il posto, al gruppo non resterà che sciogliersi. Come primo passo, Live Fast, Die Fast è un disco ben più che dignitoso e potrebbe fare la felicità dei molti che al metal non chiedono particolari complessità o profondità intellettualistiche, ma sudore, attitudine, divertimento, rabbia e voglia di riscatto. Questi elementi, come chiaro sin dalla copertina di questo primo lavoro, nella musica dei Wolfsbane non sono mai mancati e anche se parliamo di un gruppo che non ha mai raggiunto la prima fila, la loro sincerità anche a distanza di venticinque anni resta vincente.
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3
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All'epoca erano un po' snobbati, l'ho riascoltato ultimamente, per me gran bel disco, con una voce unica.. |
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Invece conobbi il disco appena uscito, il secondo e' anche meglio, ad ha tenuto alta la bandiera del metal in Inghilterra nel momento in cui Seattle dominava e Kerrang! dava voce a gruppi dandy che e' meglio non ricordare, spariti come la brodaglia brit pop. Blaze cantante sbagliato per gli Iron, forse cercarono di riproporre un sound piu' fisico, ma DiAnno non e' replicabile |
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lo comprai quando blaze entro nei maiden...volevo sentire come cantava,mi ritrovai ad ascoltare un buon disco di metal inglese come piace a me,ci vedo anche un bel po di motorhead nel loro sound e blaze mi piaceva tantissimo con loro nei maiden invece l ho quasi odiato....(per me bruce e insostituibile). |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Man Hunt 2. Shakin’ 3. Killing Machine 4. Fell Out of Heaven 5. Money to Burn 6. Greasy 7. I Like It Hot 8. All or Nothing 9. Tears from a Fool 10. Pretty Baby
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Line Up
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Blaze Bayley (Voce) Jason Edwards (Chitarra) Jeff Hateley (Basso) Steve “Danger” Ellett (Batteria)
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RECENSIONI |
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