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27/04/24
CRASHDÏET
VHS - RETRÒ CLUB, VIA IV NOVEMBRE 13 - SCANDICCI (FI)
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De Profundis - A Bleak Reflection
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( 4448 letture )
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Londinesi e praticamente sconosciuti, i De Profundis irrompono in redazione con A Bleak Reflection, un disco notevole in grado di far parlare della stessa band più di quanto avrebbe da dire una cospicua discografia. In attivo con un precedente album autoprodotto nel 2007, la band ne sforna un altro distribuito dalla nostrana Kolony Records (nientemeno che dalla Sony BMG invece in India).
Prendete i Katatonia di Dance of December Souls (e qualcosa da Brave Murder Day), mischiatelo con gli Opeth di Orchid ma con le strutture di Morningrise, infine inserite il disco in un contesto "naturalista" e avrete più o meno una vaga idea di quello che starete per ascoltare. Dopo un meraviglioso intro di violoncelli, la band inaugura questo secondo full-lenght con brani in pieno stile death metal melodico ma profondamente legati alle matrici appena annunciate: perfette chitarre soliste che cantano chiari e limpidi soliloqui, un interessante fretless-bass nel sottofondo e una sezione ritmica da paura, il tutto in una produzione eccellente, precisa, mirata e non eccessiva. Le canzoni sono intervallate da momenti d'atmosfera scanditi da chitarre acustiche ed accenni di tastiere; la voce di Craig sa molto di Åkerfeldt, ma questo non è un difetto. Ci sono accenni di furiosi blast-beat (Nocturnal Splendour) inseriti in ben realizzati crescendo ritmici; la batteria forma spesso un muro di suono tribale dove le chitarre acustiche offrono un ottimo sottofondo alle parole sussurrate del cantante, fino a riesplodere nuovamente in ulteriori furie violente. A parte qualche banale gioco di progressive extreme metal (Cease to Be, la fine di Crimson Black Bleeding), nel quale chitarre ritmiche e batteria giocano a fare i tempi dispari (proprio come negli ultimi lavori degli Opeth), il disco prosegue su questi toni. Anche le tinte più doom (Cold is the Grave) sono ben riuscite, e la band sa perfettamente inserire progressivamente nuove soluzioni nel corso delle lunghe canzoni in modo che la noia non prenda mai il sopravvento. Carina anche la strumentale Longing (anche questa con chiare influenze dalla band di Åkerfeldt): una parentesi semiacustica e blueseggiante in un contesto estremo quale è l'intero album, che piano piano torna però a calcare le coordinate generali del disco. Niente male anche la chiusura (The Mourner), un'ulteriore prova di dodici minuti in pieno stile Morningrise nella quale le chitarre soliste dividono la canzone in parti estreme e zone acustiche, in riff serrati e accordi dilatati. Devo ammettere che metabolizzare l'album è un'impresa: non si può pretendere di digerire un album di più di un'ora in un attimo, soprattutto se le canzoni che lo compongono hanno una media di 10 minuti ciascuna.
Giunto così alla fine, dopo una marea di spunti che stanno ognuno correttamente al proprio posto senza trabordare e senza prevalere l'uno sull'altro, mi domando quale sia il ruolo di questo album (e forse di questa band) nella scena estrema odierna... Il tentativo di prendere gli Opeth come un personale "Virgilio" è stata una scelta azzardata che però si è rivelata tutto sommato vincente; il tentativo invece di provare a riproporre un album in stile Orchid / Morningrise, con le sue primitive bellezze e la sua primordiale aggressività, invece mi lascia un po' sorpreso. Dopo aver sentito anche le nuove ondate di questo genere di musica, cioè la sua fase "post” -che potrebbe coincidere con i dischi degli Agalloch per esempio-, ho nutrito un certo interesse per questo album, il quale nonostante qualche piccola pecca (i blast-beat spesso forzati e non necessari, l'eccessiva lunghezza delle canzoni che si ritorce inevitabilmente sull'eccessiva lunghezza dell'album), si rivela una valida alternativa ai primi Opeth. E chi col tempo è rimasto deluso dalla band svedese (come il sottoscritto, in linea di massima), con questo dischetto potrà tornare a sognare indietro negli anni.
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4
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Condivido in toto Moro. A me sono piaciuti molto e confermo il suo voto cun un punticino in più per la sorpresa. 76. ) |
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3
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Molto interessanti, bella recensione Moro. |
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2
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si, anche secondo me il nome è un po' banalizzante... |
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1
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nn sono niente male anzi..ma gli opeth son di un'altro pianeta..sono un po'di parte..potevano scegliere un'altro nome pero' |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01. The Ephemeral Burden 02. Ablaze in Autumn’s Fire 03. Nocturnal Splendour 04. Cease to Be 05. Crimson Black Bleeding 06. Cold is the Grave 07. Longing (Instrumental) 08. The Mourner
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Line Up
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Craig Land - Vocals Roman Subbotin - Guitars Soikot Sengupta - Guitars Arran McSporran - Bass Nick Tingle - Drums
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