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SESSIONMEN - # 4 - Guthrie Govan
14/04/2014 (3971 letture)
Molte volte, nel mondo della musica, le line-up di band storiche non sono mai state definitive o stabili. In molti casi ci si avvale dei turnisti, musicisti estremamente preparati e tecnici a cui viene richiesto un lavoro di adattamento non indifferente ma che spesso, non rientrando nella line-up ufficiale o non avendo un nome altisonante, non ricevono mai il giusto apprezzamento se non dal pubblico più appassionato e di nicchia. Questa serie prosegue con l’intento di ripercorrere il percorso e l’apporto stilistico dei più grandi turnisti della storia della musica. Quelli che rientrano nella categoria d’eccellenza dei SessionMen.

LA MUSICA NEL SANGUE
Quello di cui parliamo oggi è un artista poliedrico, un chitarrista stupefacente nella sua innata versatilità stilistica e tecnica, un maestro della sei corde che ha fatto dell’improvvisazione e della capacità di sintesi di più generi musicali, il suo marchio di fabbrica. Per quanto possa apparire restrittivo dipingerlo "solamente" come un SessionMan, malgrado i punti più alti della sua carriera lo dipingano proprio come tale, uno spazio in questa rubrica è d’obbligo. Guthrie Govan nasce il 27 dicembre 1971 a Chelmsford, paesino nella contea di Essex; primo di due fratelli, viene introdotto al mondo della musica sin da piccolissimo, tanto da iniziare a suonare la chitarra a tre anni, supportato e aiutato dal padre.

“Questo è ciò che mi hanno detto. Io non mi ricordo (ride). So solo che sono sempre stato in grado di suonare un accordo di RE; sono praticamente cresciuto con esso.”

In una delle sue numerosissime interviste ha esordito così, richiamando alcuni dei dettagli della sua vita passata e della motivazione principale per la quale la chitarra e la musica in generale, siano tutta la sua vita.

“Nelle varie clinic che faccio in giro per il mondo, esordisco sempre dicendo alla gente di porsi alcune domande: perché suono? Cosa mi aspetto dal mio modo di suonare la chitarra? Voglio entrare in una band? Voglio scrivere musica? Voglio essere uno degli Dei di YouTube che semplicemente spaventano gli altri shredder? Queste sono tutte cose che devono essere considerate per capire quale percorso formativo ognuno di noi debba intraprendere.”

Giusto per comprendere almeno una parte della sconfinata passione di Guthrie verso il suo strumento e la musica, gli sono state poste tempestivamente le stesse domande, alle quali ha replicato dopo qualche secondo d’esitazione.

“Suono perché non posso farne a meno. Se togliete la musica dalla mia vita, si spalancherebbe un buco enorme che non riuscirei a colmare con nessuna altra cosa al mondo. Sono così abituato a sentire la musica, a suonarla, a scriverla che è diventata una delle guide più importanti nella mia altresì irrilevante esistenza. Non riesco a immaginarmi senza musica.”

Su queste stesse parole del Govan quarantenne, si può costruire l’esistenza del leggendario chitarrista che, sin dall’età di tre anni, ha sviluppato un rapporto unico con le note musicali e lo strumento a sei corde, proiettandolo di diritto tra i chitarristi contemporanei migliori al mondo. Malgrado sia praticamente oggettiva e innegabile la sua superiorità alla stragrande maggioranza degli axe-men oggi in circolazione in qualsiasi ambito musicale, sia a livello tecnico-esecutivo, sia a livello di ricercatezza sonora del risultato complessivo, lo stesso Guthrie -forte della sua sempre presente umiltà- ha sciolto ogni dubbio riguardo ai complimenti ricevuti dopo ogni concerto, intervista o apparizione pubblica.

“È davvero emozionante sentire le persone dire delle cose così gentili sul mio modo di suonare. Oltretutto, alcuni dei complimenti sono giunti addirittura dai chitarristi che mi hanno ispirato e questo significa davvero moltissimo per me. Tuttavia, non credo che il mondo della musica funzioni così. Non penso ci sia un “miglior” chitarrista nel mondo. La gente mi chiede alle clinic: secondo te chi è il miglior chitarrista? Chi è il tuo chitarrista preferito? E io rispondo sempre: io so chi è il mio Hendrix preferito (ride) oppure io so chi è il mio Django Reinhardt preferito.”

E, ancora.

“Veramente, io penso che la meta di ogni chitarrista debba essere quella di trovare un suono, un modo di suonare unico e quindi spendere il resto della propria vita in competizione con sé stessi, migliorando ogni volta che giunge qualche ispirazione speciale o particolare. Io non appoggio la parola “migliore” o la parola “peggiore”. Suonare la chitarra non è uno sport.”

Parole sagge, pronunciate da uno dei chitarristi che è riuscito maggiormente ad innovare il solismo e l’approccio alla chitarra elettrica che fosse in ambito blues, jazz, fusion, rock o progressive. Questi elementi ci segnalano il pieno raggiungimento degli standard che lo stesso Govan apprezza maggiormente in un chitarrista; per cui, tralasciando ogni pensiero sulla soggettiva classifica dei migliori chitarristi, possiamo semplicemente affermare che Guthrie Govan è uno dei guitar-hero che più stanno rivoluzionando il modo di vedere e di suonare una sei corde. Niente male, per un ragazzo che, terminati gli studi, si è trovato a lavorare per anni dietro il bancone di un McDonalds, coltivando la sua passione musicale ogniqualvolta i turni gli permettevano di avere cinque minuti liberi.

L’ADOLESCENZA, GLI ASIA & Il DISCO SOLISTA
Sicuramente, il periodo di crescita strumentale più efficace e proficuo di ogni musicista è l’adolescenza. La scuola, se presa con la dovuta calma giovanile, lascia parecchie ore libere in quello che è il momento d’apprendimento più valido e rapido. Sin da giovanissimo, Guthrie è stato introdotto alla musica in ordine cronologico, cominciando con il rock ‘n’ roll degli anni cinquanta di Jerry Lee Lewis, Little Richard, salvo poi passare ai Cream di Eric Clapton, Jimi Hendrix, gli AC/DC e il genio di Frank Zappa, estrapolando i vari accordi e assoli durante l’ascolto delle registrazioni. Lo stesso Govan si dichiarerà anche decisamente influenzato da Zal Cleminson dell’Alex Harvey Band tanto da considerarlo il “suo Jimmy Page”. Ovviamente, per uno come Guthrie, imparare a suonare la chitarra era un po’ come apprendere la lingua inglese, una sempre presente compagna di vita con la quale il rapporto viene perfezionato giorno dopo giorno con una naturalezza spontanea. A nove anni suona con il fratello Seth su un programma della Thames Television chiamato Ace Reports, mettendo in mostra la sua già incredibile capacità alla sei corde. Nel periodo delle scuole superiori giunge agli shredder dell’epoca, Yngwie Malmsteen su tutti, che influenzeranno il suo modo di suonare la chitarra, senza però adombrare gli stili musicali che lo hanno condotto fin lì. Lui stesso si è sempre considerato come il piccolo ragazzino un po’ strano che suonava nei concerti della scuola con i ragazzi più grandi, malgrado non abbia mai preso parte a una band vera e propria durante la sua vita da teenager. In quel periodo della sua vita c’era solamente spazio per continuare a suonare in qualsiasi momento della giornata e per intensificare il rapporto con la sua prima sei corde decente (una Gibson SG) che, nel frattempo, gli era stata regalata. Quella stessa chitarra è ancor’oggi preziosamente custodita a casa sua, mai portata in tour o alle clinic per paura che venga rubata o rovinata.

“Non ho mai contato le ore di pratica chitarristica durante le scuole superiori. Ero un ragazzo talmente cocciuto che, se mi fosse stato detto che quello che facevo era studio o pratica dello strumento, avrei inteso il tutto come un lavoro e mi avrebbe fatto passare la voglia di farlo. Io non ho mai fatto pratica; mi sono sempre divertito con la chitarra. Non ho mai avuto una routine d’apprendimento o un periodo specifico nel quale suonare la chitarra: mettevo semplicemente su i dischi e ci suonavo sopra, oppure improvvisavo qualsiasi cosa mi passasse per la testa. Per me (suonare la chitarra) è come parlare inglese. Non so ancora le regole del football e non sono molto bravo ad andare in bicicletta, ma ho sempre trovato naturale prendere la chitarra in mano e parlare con lei. Quando hai un tipo di relazione del genere con uno strumento, è talmente bello che ci spendi tutto il tempo del mondo senza curartene. Alle superiori mi sono addormentato e svegliato più volte con la chitarra ancora tra le mani e mi sono sempre detto -Woah, sto ancora suonando!-”

Dopo aver finito gli studi superiori, Govan si è iscritto all’Università di Oxford al corso di letteratura inglese, tuttavia lo abbandonò dopo un anno per perseguire la sua carriera nella musica. Scherzando, lo stesso Guthrie ha dichiarato di essersi trovato di fronte a un bivio posto tra il diventare una persona intelligente e sveglia o un’immonda persona dedita al rock n roll; alla fine ha deciso di concentrarsi sulla musica. Nel 1991, a soli vent’anni, mandò alcune registrazioni demo del suo lavoro a Mike Varney della Shrapnel Records, che ha collaborato con artisti del movimento shred del calibro di Malmsteen, Frank Gambale, Tony MacAlpine, Vinnie Moore, Jason Becker e molti altri. Mike, impressionato da quanto messo in mostra dal giovane talento inglese, gli offrì un contratto discografico ma Govan lo rifiutò. La sua giustificazione fu che, secondo lui, l’unica cosa che gli importava in quel momento era avere un’autorevole conferma sul fatto che fosse “abbastanza bravo”; malgrado quell’allettante proposta discografica, si tirò indietro anche perché era sempre stato un po’ diffidente nei confronti del “puro” movimento shred. Due anni dopo, Guthrie Govan vinse il concorso “Chitarrista dell’anno” indetto dall’autorevole rivista Guitarist con la versione demo del suo futuro cavallo di battaglia dell’album solista, Wonderful Slippery Thing. Il premio in denaro di questo concorso gli è servito per l’acquisto del primo amplificatore di buon livello. Col passare dei mesi, Govan divenne consapevole del fatto che, grazie alla sua lunga pratica nella trascrizione della musica da disco per il proprio apprendimento, avrebbe potuto trovare un lavoro in un settore professionale che la maggior parte dei chitarristi trovava eccessivamente complesso. Con grande coraggio, ha presentato il pezzo tecnicamente più difficile che potesse trovare da trascrivere (un brano di Shawn Lane) e lo presentò alla rivista Guitar Techniques. Questa presentazione gli valse un lavoro come collaboratore della rivista, chiudendo la sua parentesi al McDonalds. La collaborazione con Guitar Techniques divenne dei lavori più fruttuosi per Guthrie Govan negli anni novanta, tanto che in quel decennio egli non prese parte ad alcuna band ma si dedicò all’insegnamento didattico, principalmente al Guitar Institute in Acton, Thames Valley University e all’Academy of Contemporary Music. La materia d’insegnamento, primo mattone del suo percorso artistico, non lo abbandonerà mai; ancor’oggi, Govan insegna ancora al Brighton Institute of Modern Music e partecipa spesso a seminari in tutto il mondo, oltre ad aver pubblicato due libri sulla tecnica chitarristica avanzata nella serie Creative Guitar Volume.

Considerati i suoi gravosi impegni da redattore tecnico, fu solo a ventinove anni che Guthrie Govan fece il suo ingresso nel music business come SessionMan, quando venne contattato da John Payne e Geoffrey Downes per entrare a far parte della line-up degli Asia, in sostituzione di Aziz Ibrahim. L’ingresso in formazione degli Asia è un’occasione non indifferente per ottenere visibilità anche come chitarrista on-stage, oltre che come insegnante teorico e Govan, malgrado le limitazioni dovute alla sua estraneità al songwriting e all’arrivo nella band quando ormai il materiale era praticamente pronto, riesce a sfruttare l’occasione con tutta la sua classe. Su Aura del 2000, Guthrie suona su sette undicesimi dell’album, mettendo in mostra già alcune delle sue peculiarità tecniche e stilistiche, come nel perfezionamento armonico e nel solo di Wherever You Are. Certo, sia su questo disco, sia sul successivo Silent Nation sarebbe difficile -per un ascoltatore appassionato ai suoi ultimi lavori- riuscire a identificare perfettamente Guthrie Govan: in una band di alta caratura storica come gli Asia, ovviamente, non vi poteva essere la libertà compositiva che viene fornita da un supergruppo folle come i The Aristocrats. Tuttavia, malgrado questa ovvia limitazione, Govan riesce a far notare tutta la sua preparazione e la sua tecnica, arrivando anche a suonare dal vivo un’acerba versione di Bad Asteroid, scritta di suo pugno nel lontano 1992. La permanenza negli Asia di Guthrie dura sino al 2006, ovvero al momento nel quale Downes decise di riformare la vecchia line-up con cui il gruppo è nato nel 1981 (Steve Howe alla chitarra e John Wetton alla voce e al basso). In quel periodo, Govan venne invitato dagli altri due ex-membri degli Asia, John Payne e Jay Schellen a proseguire il progetto chiamato Asia featuring John Payne, nel quale Guthrie rimase sino a metà del 2009. Nello stesso periodo, il trio formò i GPS (un monicker proveniente dalle iniziali dei loro cognomi), supergruppo promulgatore di un progressive rock di chiaro stampo anni settanta. In questo progetto, lo stile “attuale” di Guthrie Govan è già molto più riconoscibile, in quanto appare come protagonista anche dal punto di vista del songwriting di alcuni brani (Since You’ve Been Gone) con le linee soliste ben marcate in quello stile unico. Negli anni seguenti, il chitarrista di Chelmsford ha offerto i servigi della sua incredibile chitarra anche ad artisti di ben altro genere musicale, duettando dal vivo con l’artista grime MC Dizzee Rascal e partecipando alle registrazioni del debut album della band electro dance The Young Punx. I succitati sono lavori che accentuano ulteriormente l’incredibile versatilità del guitar-hero inglese, facendolo scivolare dal progressive alla musica elettronica e all’hip-hop con incredibile semplicità, pur senza limitare le sue capacità creative o il suo divertimento nel suonare. D’altro canto, durante queste inusuali collaborazioni, Guthrie Govan si anche è dedicato anche al suo primo album solista, intitolato Erotic Cakes in onore del locale in cui viene teletrasportato Homer Simpson in La Paura fa Novanta VI dello show televisivo I Simpson. L’album è stato rilasciato da Cornford Records, etichetta discografica della compagnia d’amplificazione inglese che, in quel periodo, aveva lo stesso Guthrie tra le proprie fila di endorser. Il disco è spiazzante, di chiara ispirazione alle leggende della sei corde -uno su tutti Allan Holdsworth, da sempre il vero mattatore dei percorsi chitarristici inesplorati- pur mettendo in mostra un’impostazione e alcune soluzioni davvero inspiegabili ancor’oggi per la maggior parte dei chitarristi. Nell’album si passa dalle sonorità zappiane di Waves, alla funkeggiante -con tanto di meraviglioso passaggio introduttivo in slap- Wonderful Slippery Thing, alla fusion di Ner Ner, sottolineando ancora una volta l’incredibile versatilità del guitar-hero di Chelmsford. Nella set-list, Guthrie lavora sull’interscambio di scale atipiche, passaggi jazzati in clean, ritmiche funkeggianti con una passata di wah-wah, sino a giungere al brano più divertente del lotto, Rhode Island Shred. Tale brano prende ispirazione dal Rhode Island, stato nel quale l’animale pennuto più presente è il pollo (e non falchi, aquile ed avvoltoi, nobili volatili nell’accezione comune); in questo pezzo che unisce lo shred al chicken pickin’, il titolo geniale è stato scelto in onore del Rhode Island e dei suoi polli. La pennata alternata, la velocità supersonica e i passaggi elaborati fanno di questo brano un vero e proprio manifesto della tecnica e della poliedricità di Guthrie, in grado di divertire e sbalordire l’ascoltatore al contempo. Alla line-up del disco, composta dal fratello Seth al basso e dal drummer Pete Riley, si aggiungono Richie Kotzen (nel cui studio sono state registrate le parti di chitarra) per un solo su Ner Ner e Bumblefoot su Rhode Island Shred. Una volta uscito il disco, alla line-up originale (Guthrie, Seth e Pete) s’aggiunse il sassofonista Zak Barrett e venne formato il gruppo The Fellowship, band ulteriormente incline al jazz e alla fusion; tale band si esibì per parecchi anni ogni giovedì sera nel bassment club di Chelmsford. Tra una collaborazione, un concerto intimo e una lezione di teoria musicale, la strada di Guthrie Govan si stava avvicinando a collaborazioni e band di elevatissima caratura tecnica e dal pubblico decisamente più allargato in tutto il mondo. Era il momento di diventare un aristocratico.

L’INGRESSO NEGLI ARISTOCRATICI E LA COLLABORAZIONE CON STEVEN WILSON
Dopo le numerosissime collaborazioni con le riviste specializzate di tecnica chitarristica, le clinic in giro per il mondo e la partecipazione a tantissime sessioni didattiche nei vari continenti, nel 2011 avviene l’incontro probabilmente più importante e peculiare per la carriera di uno shredder eclettico e grandioso come Govan. La sua partecipazione al famosissimo National Association of Music Merchants a dimostrazione della fretless guitar della Vigier, gli permise d’incontrare il bassista dei Dethklok, Bryan Beller -artista che ha collaborato con tantissimi musicisti di altissimo livello tra i quali Steve Vai- e lo strabiliante drummer Marco Minnemann, dallo sconfinato curriculum musicistae e (fortunatamente) fresco di rifiuto dai Dream Theater in favore del chirurgico Mike Mangini. L’incontro, avvenuto praticamente per caso, è accompagnato da una jam-session tra i tre eclettici musicisti che, a tatto, marchiarono quella loro collaborazione come un esperimento da proseguire con particolare attenzione in studio. Il colpo di fulmine ha avuto effetto immediato e ha portato al matrimonio di uno dei trii più grandiosi e strabilianti che la musica contemporanea abbia mai avuto il piacere di apprezzare. Il metodo d’approccio della band è stato molto semplice: ognuno avrebbe portato tre pezzi composti personalmente e poi li avrebbe condivisi in sala prove con il resto della band, dove tutti avrebbero lavorato per perfezionare la propria parte strumentale nei nove brani complessivi. A rientrare tra le proposte di Guthrie Govan vi è Bad Asteroid, brano dalle marcate influenze jazzate che unisce una sezione centrale da shred puro e che, dal vivo, diventa una cavalcata bruciante in sessantaquattresimi; tale pezzo, composto da Govan nel lontano 1992 e perfezionato nel corso degli anni, è stato -come detto in precedenza- presentato al pubblico nel 2002 durante un concerto degli Asia. La versione definitiva è rientrata nel self-titled dei The Aristocrats, con un apporto fondamentale nel drumming di Marco Minnemann e nelle linee bassistiche di Bryan Beller. Il sapiente uso del tapping, la furibonda pennata alternata e l’inconfondibile legato tratto dalla maestria di Allan Holdsworth, firmano il marchio di fabbrica di Guthrie Govan. Altro pezzo da novanta del disco d’esordio che porta la firma dello stesso chitarrista è Furtive Jack, un brano in 5/4 -a denotare la spiccata inclinazione del chitarrista per il jazz- che è anche una colonna sonora. Così è solito presentarlo nei live, Guthrie:

“Il prossimo pezzo riguarda un personaggio che ho inventato. Una persona che ruba delle cose. Questo ladro, che io ho chiamato Jack, dopo aver effettuato il suo colpo, scappa via con quel suo fare furtivo. Questo brano è la colonna sonora della sua fuga ed è in 5/4, un tempo che dovrebbe essere associato a qualsiasi cosa nel mondo.”

Dopo questo siparietto nei concerti, solitamente Guthrie cede la parola a Marco Minnemann per una breve spiegazione del 5/4 e una semplificazione del ritmo per far battere le mani a tempo al pubblico, così da far partecipare ulteriormente le persone al concerto senza far seguire il classico battito di mani ogni due quarti che, ovviamente, porterebbe completamente fuori tempo il pezzo. L’ultimo pezzo composto da Guthrie Govan è I Want a Parrot, molto complessa nella sua struttura melodica, quanto semplice nella scelta del titolo.

“Semplicemente mentre suonavo parti musicali che sarebbero poi state incluse in questo brano, mi è venuto in mente che sarebbe davvero bello poter avere un pappagallo. Ora mi sono comprato questo piccolo pupazzetto che mi porto sempre dietro (solitamente posizionato vicino all’amplificatore ndr) e mi va bene così. Il titolo si riferisce semplicemente a questo.”

Quello stesso brano è stato scritto anche con un occhio di riguardo per essere predisposto alle sezioni di basso solista, pensando ovviamente al divertimento compositivo di Bryan Beller durante il briefing in sala prove. Allo stesso modo, un pezzo come Sweaty Knockers (composto dallo stesso Beller) è stato composto in modo da offrire a Govan una possibilità di spaziare con la sua sei corde in modo pressoché libero e illimitato. Una collaborazione che tiene conto sia delle predisposizioni dei compagni di band, sia di eventuali modifiche dal vivo: sta infatti qui il grande valore dei The Aristocrats e di Guthrie stesso, sempre capace di modificare le proprie linee chitarristiche per inventarne di nuove, mettendo in mostra la sua naturale inclinazzione all’improvvisazione bruciante. Durante il tour aristocratico che ha tenuto occupato Guthrie e la sua Suhr per buona parte dell’autunno e dell’inverno del 2011, il chitarrista di Chelmsford è stato contattato da Misha Mansoor, mastermind della band Periphery, per concordare un guest solo sul loro secondo album. Il brano in questione è Have a Blast e riesce ad unire la classe innata di Guthrie alla sei corde, con tutto il suo enorme bagaglio musicale, alle sonorità prettamente djent del quintetto del Maryland. Certo è che passare dalla partecipazione sul 6 String Theory del rinomato chitarrista jazz Lee Ritenour (con il quale ha duettato insieme alla grandiosa bassista Tal Wilkenfeld su una rivisitazione del suo brano Fives) alle nuove frontiere della musica metal è sinonimo di una visione tecnico-artistica a trecentosessanta gradi che lo innalza ancora di più tra i mostri sacri della sei corde. Nello stesso anno ha partecipato con qualche assolo -che richiamano distintamente lo stile dei The Aristocrats- sull’album solista dell’altro aristocratico Marco Minnemann, Symbolic Fox. Malgrado tutto ciò, l’anno della consacrazione di Guthrie Govan presso il popolo della musica prog, jazz-fusion e rock è il 2013: in questi dodici mesi si conferma mattatore solista dei The Aristocrats e, insieme al collega Marco Minnemann, raggiunge la corte di Steven Wilson per il suo ultimo album The Raven that Refused to Sing. In Culture Clash la suddivisione del songwriting è la stessa dell’esordio self-titled: Guthrie si occupa di scrivere tre brani dai titoli altrettanto curiosi e divertenti. Il primo (in ordine di tracklist) è la title-track Culture Clash, grandiosa portatrice di ritmiche jazz/fusion in 6/8 che sfiora i 180 bpm e presenta impressionati scale in trentaduesimi. La costruzione ritmica, i passaggi arrangiati nei minimi dettagli e una finezza compositiva di altissimo livello lo rende sicuramente uno dei brani più appetibili e incredibili dell’intero platter. Così, Guthrie è solito presentarlo in sede live:

“L’idea di questo brano è nata durante il primo tour con i The Aristocrats. Fortunatamente -o sfortunatamente per l’enorme fatica che questo comporta (ride)- siamo stati tantissimo in giro per i più disparati luoghi del mondo, dove i gesti abitudinari hanno significative differenze di valenza. Se in inghilterra io sventolo la mano per salutare qualcuno va bene, se lo faccio in Grecia probabilmente finirò in ospedale (ride). Noi siamo tre persone provenienti da paesi completamente diversi e, quando abbiamo deciso di metter su la band, ci siamo accorti che tra di noi vi era un vero e proprio scontro di culture.”

Oltre alla conclusiva And Finally, l’altro brano più interessante di Culture Clash composto da Guthrie è Gaping Head Wound, dal titolo simpatico che viene così spiegato:

“Questo pezzo è dedicato a un momento in cui mi sono fatto male. Lo so che, di solito, una persona normale non dedica un brano a qualcosa che lo ha fatto star male ma in questo caso non potevo farne a meno. Stavo concludendo alcune linee ritmiche per questo stesso pezzo nel mio studio a casa, quando mi sono accorto di non essere in grado di offrire una conclusione degna al pezzo e così ho deciso di fare una passeggiata nel giardino per schiarirmi un po’ le idee. Il problema è sorto quando sono inciampato in un oggetto di casa mia che, ovviamente, è sempre stato in quella posizione sin da quando è stato acquistato. Mi sono inciampato, ho sbattuto la testa e, qualche minuto dopo, ho ripreso conoscenza con la fronte che sanguinava copiosamente. Ora, la scelta più ovvia sarebbe stata quella di chiamare il pronto intervento, ma io avevo un pezzo da finire. Pensando che si sarebbe sistemato tutto da solo, ho preso un po’ di garze, mi sono disinfettato e le ho premute sulla ferita in testa. Solo che, quando sono tornato nello studio di registrazione, mi sono accorto che la mano con cui premevo le garze mi serviva per suonare, allora ho preso un berretto, me lo sono schiacciato in testa e ci ho messo sopra le cuffie. Ho finito il pezzo e poi sono andato in pronto soccorso; da qui il titolo. Ve lo racconto così che possiate avere una spiegazione sulla scarsa qualità del brano in questione.”

Il pezzo è un misto tra i classici 4/4 e i 5/4 e unisce i consueti passaggi jazzati (con il basso di Beller in grande spolvero) a sezioni più progressive, nel quale non può che trasudare il divertimento e l’intensità di quanto composto e arrangiato dal trio. Tale affiatamento con il drummer Marco Minnemann è valso a Guthrie il contatto con Steven Wilson nel 2013 per partecipare alla registrazione delle linee soliste del suo nuovo album, The Raven that Refused to Sing, probabilmente il punto più alto (sino ad ora) della carriera da puro SessionMan del chitarrista di Chelmsford. L’arrivo di Guthrie negli studi di registrazione di Steven Wilson avvenne quando il disco era già praticamente concluso e le demo registrate, salvo per le rifiniture chitarristiche e alcuni assoli. Secondo alcune indiscrezioni pare che, parlando del solo più famoso del platter (quello della meravigliosa Drive Home), Steven Wilson abbia detto a Govan di immaginarsi un “soaring solo” (parola dai molti significati, tra cui ascendente e sublime), ovvero un assolo etereo e soffuso, senza tralasciare una certa energia esecutiva nella sua seconda parte. Dopo aver fatto partire la demo del brano, pare che Guthrie Govan abbia preso la chitarra di Steven Wilson e abbia improvvisato un assolo evocativo, carico di sustain e dallo stile fortemente influenzato da mostri sacri come Allan Holdsworth e David Gilmour. Quell’assolo improvvisato sarebbe poi diventato quello che noi tutti possiamo ascoltare nella registrazione ufficiale.

“La demo dell’album era talmente buona che chiunque al mondo l’avrebbe pubblicata così e probabilmente avrebbe vinto parecchi premi. Steven non può creare una demo orrenda; non è nella sua natura di musicista. Lui è uno di quei grandi artisti che si concentra su ogni singolo dettaglio. Ha rilasciato le demo a noi artisti, seguendo il piano del ‘impara ogni piccola cosa della registrazione, internalizza ogni passaggio’. Una volta che hai fatto ciò, puoi esplorare la musica e prenderti alcune libertà compositive.

Ovviamente, il canovaccio era saldamente ancorato nelle mani di Steven Wilson e i musicisti della line-up ebbero il difficile compito d’interpretare ogni sua scelta visionaria, adattandola a quanto ascoltato nella demo. Il tutto, registrando in condizioni simili all’old school degli anni settanta, in presa diretta e in versione “live”.

“Nello studio, Steven ha voluto registrare l’album tutto dal vivo, così che potesse catturare le soffuse vibrazioni old-school tipiche dei dischi anni settanta, sui quali gli artisti suonavano tutti insieme nello stesso momento e nello stesso luogo. Questa è l’unica cosa che lui non avrebbe potuto catturare, visto che non c’erano abbastanza Stevens (ride). Comunque ci sono state delle precise direttive che lui mi ha fornito. Per Holy Drinker mi ha detto di volere qualcosa di intenso e frastagliato, mentre per Drive Home un assolo ascendente. Io ho dovuto fare i conti con la parola “ascendente” interpretando tutto il resto da solo, passando poi al vaglio della sua persona. La situazione più o meno era quella, ma credo che abbiamo comunicato molto bene tra noi.

In seguito al grandioso lavoro svolto su uno degli album progressive migliori del 2013, Govan è stato in tour mondiale in compagnia del collega Marco Minnemann e del resto della line-up di Steven Wilson. Dal vivo, oltre ad utilizzare differenti modelli di chitarre Charvel (una scelta dettata dal particolare sound richiesto, che lo hanno portato a preferirle alle Suhr), ha cominciato la sua collaborazione con la Victory Amp (modello d’amplificazione che si porterà dietro anche nel tour dei The Aristocrats e che entrerà in commercio solo alcuni mesi dopo) e si è fatto preparare una pedalboard immensa con numerosissimi effetti in grado di offrire un sound inconfondibile ed evocativo, perfettamente in accordo con la proposta di Steven Wilson. Un bel passo in avanti rispetto alla pedalboard improvvisata su un vassoio da mensa che si portava dietro durante le sue clinic in giro per il mondo.

Il discorso su Guthrie Govan come docente musicale, compositore eclettico e SessionMan d’eccezione si chiude qui, anche se solo temporaneamente vista la giovane età dell’artista e le sue peculiarità strabilianti. La parabola ascendente del chitarrista di Chelmsford è cominciata relativamente tardi ma, anche se così sembrerebbe, non è ancora arrivata al suo culmine. Sarà davvero curioso seguire l’ulteriore evoluzione di uno dei chitarristi che sta maggiormente evolvendo il modo d’intendere la chitarra e lo shred con il suo stile eclettico e le sue costruzioni elaboratissime. Come farà a migliorarsi ulteriormente? Solo il tempo ci darà una risposta. Quello che è certo, è che il suo percorso da SessionMan d’eccezione non si fermerà qui. In fondo, indipendentemente dal genere musicale suonato, chi non vorrebbe avere tra le proprie fila un solista del calibro di Guthrie Govan?

DISCOGRAFIA ESSENZIALE
1) AsiaAura (Recognition, 2000)
2) AsiaSilent Nation (InsideOut Records, 2004)
3) GPSWindow to the Soul (InsideOut Records, 2006)
4) Guthrie GovanErotic Cakes (Cornford Records, 2006)
5) The AristocratsThe Aristocrats (Boing!, 2011)
6) The AristocratsBoing, We’ll Do It Live! (Boing!, 2012)
7) The AristocratsCulture Clash (Boing!, 2013)
8) Steven WilsonThe Raven That Refused to Sing (Kscope, 2013)



un lettore
Mercoledì 16 Aprile 2014, 9.19.18
9
Bello e interessante complimenti , ora sono un pò più colto
Remedy
Martedì 15 Aprile 2014, 20.54.09
8
Drive Home è la Comfortably Numb del nuovo millennio
hulk
Martedì 15 Aprile 2014, 18.13.11
7
Bellissimo articolo,Govan è uno dei migliori chitarristi contemporanei,fortemente sottovalutato,non è uno dei tanti artisti sbrodoloni,con i suoi magigi assoli ed effetti,escono dalle sue chitarre dei suoni che ti mandano in estasi.Purtroppo per quanto ha seminato ha raccolto molto meno di quanto realmente meriterebbe.Quest'uomo ha l'improvvisazione e il fusion nel sangue.Geniale.
Monky
Martedì 15 Aprile 2014, 16.27.24
6
Grazie a tutti!
therox68
Martedì 15 Aprile 2014, 11.15.32
5
Un articolo veramente completo e dettagliato per un musicista che se lo merita anche in virtù del fatto che, come giustamente ricordato nell'articolo, la sua parabola ascendente è cominciata tardi. Youtube gli ha dato una bella mano: alcuni suoi video, siano assoli o interventi didattici o brani dal vivo, divennero subito dei must per gli appassionati di chitarra.
Third Eye
Martedì 15 Aprile 2014, 11.13.49
4
Un musicista come pochi: eclettico, intelligente, umile e con un grande passione per la musica. Purtroppo, come succede spesso ai grandi musicisti, non ha il seguito che meriterebbe...
Jimi The Ghost
Martedì 15 Aprile 2014, 11.06.19
3
Bravo Monky. Bravo per aver trattato con equilibrata attenzione la figura eclettica di questo folletto. Ha pienamente ragione Arrraya, in particolare sui libri di testo e sulle sue lezioni complesse e difficili da replicare. Iniziai a seguirlo sviscerando il "Creative Guitar 1 e 2", un book molto avanzato, ben sviluppato, per certi versi anche divertente soprattutto sulle varie combinazioni tra penta e scale minore naturale, oppure nei modi delle derivazioni di V grado il superfrigio!. Insomma un Innovatore quanto basta. Anche se sono vecchio e stanco, riessco ancora a trovare del buon tempo per leggere questi piacevoli articoli! Jimi TG
Arrraya
Martedì 15 Aprile 2014, 10.21.43
2
Uno dei pochi chitarristi moderni con personalità. In un mondo di pugnettari egomaniaci ,Govan si differenzia non solo tecnicamente, ma come fine didatta. i suoi libri citati sono spettacolari.
Il Ninja di Dio
Martedì 15 Aprile 2014, 3.17.52
1
Bellissimo articolo su di un musicista davvero incredibile e fuori dal comune.
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