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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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SESSIONMEN - # 3 - Steve DiGiorgio
16/12/2013 (4032 letture)
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Molte volte, nel mondo della musica, le line-up di una band storica non sono mai state definitive o stabili. In molti casi ci si avvale dei turnisti, musicisti estremamente preparati e tecnici a cui viene richiesto un lavoro di adattamento non indifferente, ma che spesso, non rientrando nella line-up storica o non avendo un nome altisonante, non ricevono mai il giusto apprezzamento se non dal pubblico più appassionato e di nicchia. Questa serie è nata con l'intento di ripercorrere il percorso e l'apporto stilistico dei più grandi turnisti della storia della musica. Quelli che rientrano nella categoria d'eccellenza dei SessionMen.
UNA VITA PER IL BASSO La storia di uno dei più eclettici e straordinari bassisti della storia della musica metal comincia a Waukegan, Illinois, il 7 novembre del 1967. Sin da bambino Steve DiGiorgio mostra grande apprezzamento per la musica rock, l'allora giovane heavy metal e le sue derivazioni più progressive, soprattutto verso band quali Iron Maiden, Black Sabbath, Rush, Yes e Jethro Tull. Proprio quest'ultimo gruppo, capitanato da Ian Anderson, è la principale fonte d'ispirazione per l'impostazione dello stile di DiGiorgio e il vero responsabile del preponderante utilizzo del basso fretless da parte dell'eclettico musicista durante la sua lunga carriera. Steve s'avvicina agli strumenti a corde durante le lezioni di musica delle scuole superiori, dove sceglie il contrabbasso. L'approccio e le tecniche dello strumento -notoriamente privo di tasti- sarà fondamentale nell'offrire un iniziale input all'adolescente DiGiorgio per impostare conseguentemente il suo stile e le riconoscibilissime sonorità che lo hanno reso celebre. Vista la sua passione per tale strumento, a Steve viene regalata una replica del Fender P bass, da lui chiamato simpaticamente "Fender Wannabe", sino a quando non si poté comprare un Rickembacker 4001, lo stesso strumento utilizzato da Lemmy Kilmister dei Motorhead e Chris Squire degli Yes. Al di là delle consuete lezioni di musica nelle scuole superiori, Steve DiGiorgio si è sempre considerato un autodidatta, vista la sua naturale propensione nel sedersi accanto allo stereo con le sue canzoni rock preferite della fine degli anni Settanta e dare vita a moltissime ore di pratica: è proprio in questi momenti che Steve ricorda di aver "imparato realmente a suonare il basso".
"Sono una sorta di ibrido tra un autodidatta e uno studente. Per la maggior parte della mia adolescenza mi sono dedicato alla musica rock e metal, suonando e imparando tutto da solo; l'unico aiuto che ho avuto da studente è stato quando ho scelto di suonare un basso fretless e ho rispolverato le mie lezioni d'impostazione jazz sul contrabbasso frequentate alle superiori. Non è stato molto, ma mi ha aiutato con il posizionamento delle dita e sui fondamentali dello strumento."
Il motivo per cui Steve scelse di virare le proprie scelte sul fretless, abbandonando di nuovo temporaneamente il proprio meraviglioso Rickembacker è da ricercarsi in una delle pubblicazioni dei Jethro Tull dei primi anni Ottanta, A. In piena fase adolescenziale, il giovane bassista rimase stupito e rapito dal sound che caratterizzava il sound ricercato da Dave Pegg in A e, malgrado quello fosse uno dei pochissimi dischi sul quale il bassista ottantiano di Ian Anderson avesse utilizzato il fretless, riuscì a catturare l'attenzione di questo giovane appassionato, innestandogli nella mente l'idea di voler utilizzare anche lui quel suono, un giorno. Quando ormai stava avvicinandosi ai vent'anni ed era pervaso dalla normale pulsione di fondare la sua prima band, Steve DiGiorgio mise mano su quella replica del Fender Jazzbass e ne rimosse personalmente i tasti, cominciando ad esercitarsi grazie alle sue nozioni jazzistiche di base.
"La timbrica del fretless è stato il dettaglio sonoro che mi ha convinto a compiere questa scelta drastica sul mio primo strumento. Dave Pegg è stato il primo a stupirmi, poi ho scoperto Mick Karn, Gary Willis e -come il bastiancontrario che son sempre stato- solo qualche mese dopo arrivai a Jaco Pastorius. La transizione dal basso normale al basso fretless non fu drammatica come lo può essere per la maggior parte dei bassisti, dato che le mie dita non avevano bisogno d'imparare una nuova tecnica, già appresa sul contrabbasso."
Come già accaduto al possente Gene Hoglan, i cui destini saranno intrecciati in una perla di tecnica di stampo Death, la prima esperienza di Steve DiGiorgio avvenne in una band dove egli era anche il principale compositore. La storia musicale del bassista è curiosa quanto quella del gigantesco batterista, visto che lo stesso Steve DiGiorgio diventerà uno dei turnisti d'eccezione più richiesti nel panorama metal di lì a qualche anno, grazie al mai troppo compianto Chuck Schuldiner.
I SADUS E L'AMICIZIA CON CHUCK SCHULDINER Fu grazie ai Sadus che Steve DiGiorgio si fece conoscere nel mondo del thrash metal più tecnico e che, dopo qualche anno, cominciò la sua vita da turnista. Dopo aver fondato la band in compagnia degli storici Darren Travis e Jon Allen, Steve si dedicò al suo progetto con l'esaltazione e la forte dedizione che solamente gli adolescenti carichi d'energie riuscivano a dimostrare. Grazie alla passione musicale e all'inclinazione di suonare un thrash metal molto tecnico e affine con le nascenti sonorità death, i Sadus conobbero un giovanissimo Chuck Schuldiner durante la sua prima temporanea permanenza a San Francisco, in attesa di pubblicare il primo, storico Scream Bloody Gore. Lo stesso Steve ricorda ancor'oggi con piacere le giornate passate con Chuck a discorrere di musica e a confrontarsi sulle rispettive ispirazioni e sui propri stili compositivi. Durante queste giornate, egli rimase più volte stupito dalla giovane età dei musicisti scelti dallo stesso Chuck e dalla grandiosa inclinazione che la loro musica stava prendendo. Questo incontro permise loro di stringere un'onesta amicizia, un piccolo baluardo nella tumultuosa adolescenza di Chuck, e permise all'altissimo bassista di essere tenuto in conto quando fosse stato ritenuto necessario dal leggendario songwriter dei Death. La storia dei Sadus cominciò bene con la pubblicazione nel 1988 del primo disco, dal titolo Illusions, che sarà poi conosciuto come Chemical Exposure quando verrà dato alle stampe su CD e musicassetta dalla Roadrunner Records. Dopo questo prorompente esordio che col passare degli anni diventerà un classico della loro discografia, Steve prese parte al primo disco degli Autopsy, Severed Survival, contattato dal fondatore Chris Reifert che aveva conosciuto qualche anno prima come il giovanissimo batterista di Chuck Schuldiner. Quella fu la primissima esperienza di Steve DiGiorgio con il death metal, quello puro e privo di fronzoli od orpelli stilistici come il fertile periodo imponeva: basta ascoltare l'opener Charred Remains per venire spazzati via da cento tonnellate di metal di chiarissima ispirazione Scream Bloody Gore, album sul quale lo stesso DiGiorgio avrebbe dato la sua disponibilità a suonare se solo Schuldiner e Reifert si fossero osati a chiederglielo. Su Severed Survival il basso si manifesta violento ed efferato all'inverosimile, fautore di stacchi sismici coordinatamente col preciso drumming del frontman; nel sound si riesce a percepire quell'aura oleosa e liquida che caratterizzerà perennemente il mortale fretless dell'allampanato bassista dell'Illinois, rendendo lecita e sognante l'immaginazione di come sarebbe stata la sua prestazione sul debut dei Death. Altro potente esempio dell'intromissione stilistica di Steve DiGiorgio nel songwriting degli Autopsy è la crudele title-track: tra la cruenta voce di Reifert e le taglienti linee chitarristiche, il bassista si ricava il suo spazio in multiple spazzate che affiancano la grancassa e i cambi di ritmo imposti dal frontman. Pur essendo solamente un SessionMan, Steve DiGiorgio rese immediatamente pubblico il suo grande talento e l'enorme gusto stilistico che lo portavano spesso a improvvisare linee bassistiche innovative e difficilmente riproducibili per il periodo. Dopo questa brevissima parentesi con l'ex collega di Chuck Schuldiner, Steve tornò a lavorare per i suoi Sadus e produsse quello che è ancor'oggi comunemente inteso come il loro vero masterpiece: Swallowed in Black. La produzione tutt'altro che ottimale era incline a focalizzarsi sul corposo basso, penalizzando in modo infinitesimale la resa conclusiva, ma mettendo al contempo in mostra l'evoluzione stilistica del bassista, che sembrava migliorare le proprie capacità e affinare il proprio estro creativo ogni giorno di più. Malgrado il corposo contratto con la Roadrunner Records, Steve mise in pausa i Sadus nel 1991 quando arrivò finalmente la chiamata di Chuck Schuldiner, che necessitava di una nuova band per recuperare dai tradimenti e dalle infondate calunnie che gli erano state barbinamente rivolte dai precedenti musicisti nel farlocco tour europeo a supporto di Spiritual Healing. Da quel momento, la figura di Steve DiGiorgio cambierà radicalmente e sarà consacrata a poco a poco come leggendario turnista dalle incredibili capacità tecniche e dall'impareggiabile estro creativo. Non a caso, tolta la breve parentesi degli Autopsy, il primo disco su cui Steve suonò al di fuori della propria creazione sperimentando nuove sonorità, fu Human, una delle pietre miliari della musica metal, un disco che accolse i cambiamenti imposti dagli anni Novanta plasmandoli a proprio vantaggio e, soprattutto, senza tradire minimamente gli ideali dei Death. Senza ombra di dubbio, poter lavorare e partecipare a uno dei più grandi lavori dell'incommensurabile estro di Chuck Schuldiner, servì moltissimo a Steve sia per crescere a livello personale, sia per ottenere una visibilità che i suoi Sadus non gli avrebbero mai permesso di avere. Il disco del 1991, il cui unico termine calzante per riassumerlo è granitico, spazzò via ogni ignominia sul conto del frontman floridiano e mise in luce una formazione giovanissima e stellare. Il serratissimo drumming, strabordante e preciso al centesimo di secondo venne affidato al ventenne Sean Reinert, il quale si era già messo in luce insieme allo strabiliante coetaneo Paul Masvidal, anch'egli presente su Human, nelle prime demo dei Cynic band. A questi due ventenni, amici sin da quand'erano bambini e tutt'ora inscindibili, s'affiancò l'oleoso fretless di Steve DiGiorgio, in grado di rendere ancora più compatta la resa sonora e di trasporre a livello musicale le teorie e le illuminanti idee del mastermind dei Death. L'incredibile potenza sonora sprigionata dalle corde del basso si alternano con passaggi di evidente matrice jazzistica, orgoglioso sfoggio dei preparatissimi Reinert e Masvidal, e di pura sensazione onirica: la strumentale Cosmic Sea ne è l'esempio più lampante, dove i delicati tocchi sulle corde accompagnano dapprima le chitarre, salvo poi prodigarsi in un assolo pregno d'effetti allucinanti e accompagnato da qualche calzante rullata di Sean Reinert. Tale fugace sezione solista mette in mostra tutto ciò che Steve ha imparato sul contrabbasso, funzionando come un'epica introduzione per i successivi assoli chitarristici. Forte di una prestazione assolutamente sopra le righe, Steve torna ai suoi Sadus in occasione della ripubblicazione del disco d'esordio e del nuovo A Vision of Misery, altro masterpiece comunemente inteso del combo americano. La terza fatica dei Sadus non è che una fugace apparizione che, per quanto esaltante e portatrice di tutta l'esperienza maturata dal bassista alla corte dei Death, è destinata a spegnersi dopo pochi mesi. Infatti, fu lo stesso Chuck a richiamare il bassista per il nuovo album: era il 1993, il suo nuovo collega per la sezione ritmica era un certo Gene Hoglan e Steve si stava apprestando a concedere il suo fretless al disco più tecnico a cui lui avrebbe mai partecipato. Individual Thought Patterns è un album folle, tecnico all'inverosimile, tanto da elevare seduta stante l'intera line-up a veri e propri maestri del genere. Sotto la carismatica guida di Chuck Schuldiner, per il quale non verranno mai spese abbastanza parole d'elogio, Steve DiGiorgio affianca Gene Hoglan nelle sue partiture intricatissime, lasciando fluire il proprio estro creativo e mettendosi in mostra tanto quanto il corposo batterista. Il risultato è, probabilmente, il migliore che un disco con su il nome di Steve DiGiorgio possa vantare: la prestazione del bassista dell'Illinois comprende una tecnica sopraffina, una resa sonora incredibilmente precisa e distinguibile e una versatilità spiazzante.
"Il mio stile è principalmente il fingerstyle classico. Malgrado questo, cerco sempre di sfruttare il pollice, la tecnica dello slap ed eventualmente il plettro più che posso. Provo a usare tutte le forme di attacco al basso che sono state inventate dall'umanità; non sono mai diventato un maestro nello slap o nel tapping, ma ci provo sempre. Il suono che deriva da queste differenti tecniche è unico e determina in modo sostanziale la qualità del risultato."
In Individual Thought Patterns si passa dall'intricatissima Overactive Imagination alla pura dimostrazione di come debba essere il sound di un fretless in Nothing Is Everything; si passa dalle violente mazzate di Out of Touch alle lunghissime note d'apertura a sostegno del tapping introduttivo di The Philosopher. Proprio in quest'ultimo capolavoro è identificato dallo stesso Steve uno dei passaggi preferiti che abbia mai suonato su disco: non appena concluso lo straordinario assolo di Schuldiner, il suo basso taglia trasversalmente la ritmica al di sotto delle linee vocali, con una trasposizione pulita e quasi da contrabbasso. Complice anche una produzione originaria decisamente particolare, nella quale il basso spiccava prepotentemente a riempire i pochi buchi lasciati dal tentacolare Gene Hoglan, il lavoro strabiliante di Steve venne messo in primissimo piano; grazie a questo dettaglio, le intricatissime partiture riescono a strabiliare ancora a distanza di numerosissimi ascolti, offrendo sempre un particolare non notato all'ascoltatore. La seconda prestazione stellare, la seconda perla bassistica insita dentro l'ennesimo masterpiece targato Death, concederanno a Steve DiGiorgio una fama e un rispetto ulteriormente marcato e diffuso in tutto il panorama metal, moltiplicando le chiamate per prendere parte ai dischi di realtà di ogni genere musicale. Con la partecipazione a due pietre miliari alle spalle, il cammino di Steve come SessionMan era ormai tutto in discesa e costellato da grandi soddisfazioni.
DOPO I DEATH: IN GIRO PER IL MONDO Dopo aver preso parte ai lunghissimi tour in giro per il mondo con i Death, Steve DiGiorgio divenne uno dei poliedrici bassisti più richiesti da artisti provenienti da ogni continente. Sostituito da Kelly Conlon sul nuovo disco dei Death, soprattutto a causa degli impegni che non lo vedevano più in grado di reggere il passo di Chuck Schuldiner, Steve si dedicò a numerosi altri progetti, primo tra tutti i suoi cari e vecchi Sadus, ormai regrediti ad un trio dall'abbandono di Rob Moore. Dopo aver pubblicato Elements of Anger nel 1997, arrivarono due chiamate importanti per partecipare ad altrettanti progetti: James Murphy, reso famoso dalla sua partecipazione su Spiritual Healing e i Testament richiesero la sua presenza per i loro nuovi album. Con il chitarrista di Portsmouth, Steve fece sfoggio della sua tecnica e impastò le sonorità heavy con la frusciante caratteristica del suo fretless. Il risultato fu una valida interazione tra le cinque corde del suo Carvin BB75 con le tastiere dell'eclettico Vitalij Kuprij e con l'Ibanez di Murphy. Nonostante Feeding the Machine non venne considerato dalla critica alla stregua del brillantissimo esordio Convergence, il risultato fu comunque oggettivamente soddisfacente e confermò ancora una volta la grandiosa versatilità del bassista di Waukegan, malgrado la produzione non lo mettesse particolarmente in luce nel suo fondamentale apporto ritmico. Discorso completamente diverso per The Gathering, unico disco dei Testament a non vedere la presenza di Greg Christian. Affiancato allo stesso James Murphy e a Dave Lombardo, anche lui temporaneamente uscito dagli Slayer, Steve offrì una prestazione massiccia, granitica ed efferata come mai si era sentita sotto il monicker Testament. Basta concentrarsi sull'introduttiva e devastante D.N.R o sulla cupa Eyes of Wrath per sentire il violento dialogo tra le cinque corde del bassista e il drumming incalzante di Lombardo, a sostenere le taglientissime linee di Murphy e Peterson. Il disco fece recuperare grandi consensi alla band dopo il mezzo passo falso di Demonic, soprattutto grazie alla prestazione incredibile di quelli che sono stati sostanzialmente tre SessionMen. Lo stile di DiGiorgio ripropose sonorità compatte come quelle già udito in Human, anche se lievemente alleggerite dai virtuosismi presenti sul disco del 1991 e maggiormente mirato alla mera coesione violenta del risultato finale. Dopo questo ottimo album, la storia dei Testament venne messa momentaneamente in pausa nel 2001, quando al frontman Chuck Billy venne diagnosticato un seminoma, rendendo ovviamente impossibile il proseguio costante dei lavori sul progetto musicale, malgrado la combattività del singer. Quel periodo di pausa lasciò Steve in una condizione d'inattività musicale che venne prontamente sfruttata dallo stesso Chuck Schuldiner, anch'egli suo malgrado in procinto di ricevere l'infausta notizia della malattia che lo porterà alla prematura scomparsa in un paio di logoranti anni. La chiamata arrivò praticamente in extremis, dopo l'esclusione del bassista presente su The Sound of Perseverance Scott Clendenin per motivazioni prettamente stilistiche. Non appena sentì la proposta del suo caro amico Schuldiner, DiGiorgio raggiunse i Morrisound Studios e preparò la sua prestazione sull'esordio The Fragile Art of Existence. Il risultato fu, ancora una volta, decisamente sopra la media e accentuò ulteriormente l'aura mistica che permeava l'alto bassista sin dalle sue prime collaborazioni con i Death. Fondamentale l'apporto del suo fretless in brani come la title-track o Consumed, nei quali le linee oleose delle cinque corde sembrano impregnare il sound caratteristico e al contempo sostenere il drumming tellurico di Richard Christy in una prestazione tecnicamente ineccepibile. Sicuramente meritevole di qualche minuto d'attenzione è l'intro jazzato di What If..., chiaro riferimento alla linea introduttiva del primo pezzo della demo dei Dark Hall, side project in salsa jazz/fusion di DiGiorgio nella metà degli anni novanta. Tale giro introduttivo, proposto originariamente nella grandiosa Changing Weather, venne adattato al brano e riproposto in una tonalità differente: il risultato rimase incredibile, fornendo un grandioso apporto e una piacevole sfumatura jazzata al resto della composizione. Dopo l'ennesimo, fondamentale apporto per l'ultimo lavoro di Chuck, ormai in procinto di vagare sulla sinusoidale onda della speranza contro la maledetta malattia che stava facendo percepire i suoi sintomi, Steve DiGiorgio venne contattato da Eric Peterson dei Testament per il disco d'esordio del suo side-project, i Dragonlord. A tale progetto, oltre al già citato songwriter dei Testament e all'estroso bassista amante delle tastiere prive di scanalature, vi fu la presenza di Steve Smyth alla chitarra, noto per diventare, nel giro di qualche anno, la seconda chitarra su This Godless Endeavor dei Nevermore e su Omega Wave dei Forbidden. Rapture è un disco che mescola le ultime influenzetestamentiane con un symphonic black metal che ha da sempre attirato particolarmente l'attenzione di Eric Peterson, qui addirittura in veste di cantante. Il basso non è posto in pieno risalto, ma offre comunque un'innegabile prestazione compatta e determinante per la riuscita del sound impetuoso e dedito a rallentamenti melodici e dal forte sapore sinfonico. Non il miglior disco su cui il bassista dell'Illinois abbia offerto le sue dita fatate, tuttavia s'identifica come l'ennesimo tassello in un curriculum d'altissimo livello che lo porterà verso altri successi. Infatti, dopo aver riregistrato alcuni pezzi old school dei Testament per la raccolta First Strike Still Deadly, Steve DiGiorgio entra da SessionMan nell'ennesima, grande band della sua carriera: gli Iced Earth. Il gruppo, capitanato da Jon Schaffer e Matt Barlow, recluta proprio in quel periodo l'estroso bassista e il tellurico Richard Christy per la registrazione di Horror Show, sesto album incentrato come suggerisce il titolo sulle più famose tematiche orrorifiche della letteratura e del cinema. Come già accaduto nel precedente lavoro dei Dragonlord, la presenza di Steve DiGiorgio non è determinante o particolarmente rivoluzionaria, ma si limita a fornire una prestazione bassistica perfetta per le sonorità e le tematiche del disco. Dopo la sua comparsata nell'heavy/power, Steve DiGiorgio si dirige, almeno spiritualmente, nella fredda Svezia di Andreas Hedlund. Il nuovo disco della curiosa black/viking metal band Vintersorg, Visions from the Spiral Generator, viene infatti registrato in ben tre studi differenti: le chitarre, le tastiere e la voce del mastermind Hedlund in Svezia, la batteria del drummer Asgeir Mickelson dei Borknagar in Norvegia e le parti di basso in America. Sull'edizione limitata del disco spicca il vanto di aver l'onorevole presenza di DiGiorgio, in grado d'interpretare lucidamente e con grande personalità un lavoro di difficile inquadramento stilistico: infatti si passa dall'accezione black dei paesi nordici, sino a passaggi più tendenti al folk e al viking con una forte influenza progressiva che non abbandonerà mai completamente il sound dei Vintersorg. Il risultato è di altissimo livello, malgrado viri su lidi più melodici e progressive rispetto alle pubblicazioni precedenti. Grazie a tale qualità messa in mostra, Vintersorg richiederà la sua presenza anche al successivo album, The Focusing Blur che risulterà essere il più sperimentale e vicino alle accezioni avant-garde dell'intera discografia. Se su Visions from the Spiral Generator il sound di DiGiorgio non viene messo completamente in primo piano, su The Focusing Blur il suo apporto è determinante e spicca vistosamente. Basta infatti ascoltare A Sphere in a Sphere? (To Infinity) o A Microscopical Macrocosm, nella quale il sound di Steve DiGiorgio è favolosamente ispirato a quello storico di Sean Malone, per cogliere i movimenti e l'ovattato suono del fretless, strumento fortemente responsabile dell'altissimo livello del risultato finale. Parallelamente a quest'esperienza, sempre nel 2004, Steve continuò a seguire le moltissime richieste che vogliono la sua presenza bassistica: l'eclettico tastierista Vitalij Kuprij, conosciuto durante le registrazioni del secondo album solista di James Murphy, lo chiama per il settimo disco dei suoi Artension, mentre il virtuoso chitarrista Takayoshi Ohmura chiede il suo apporto per il suo debutto solista, Nowhere to Go. Dopo queste rapide collaborazioni in generi sostanzialmente differenti, vengono rispolverati i Sadus con il loro quinto full-lenght: Out for Blood. Questo disco vede, oltre alla immanente e solida presenza delle linee oleose del suo fretless, anche alcune sperimentazioni vocali da parte di DiGiorgio stesso. In seguito a questa ultima prova della sua band originaria, l'alto bassista riparte nuovamente come SessionMan per l'ennesimo, grande nome della scena heavy metal: Sebastian Bach. L'ex-singer degli Skid Row è ormai giunto alla sua terza realizzazione solista, Angel Down e, oltre alla presenza in qualità di ospite di un Axl Rose fuori forma e ancora legato al suo eterno Chinese Democracy, si è voluto premunire di una sezione ritmica mostruosa: il fretless di Steve si trova a duettare con l'incredibile estro creativo di Bobby Jarzombek, reso tecnicamente famoso dai suoi lavori con gli Spastik Ink del fratello Ron. Il lavoro conclusivo è di alto livello, come ci si potrebbe aspettare da musicisti di tale calibro: il basso di Steve è sismico all'inverosimile, in grado di rendere trascinanti e heavy brani caratterizzati da un songwriting ancorato ovviamente agli stilemi del Bach solista. Chi ritenesse sprecato un artista del calibro di Steve in un album prettamente heavy metal, è pregato di ascoltare Angel Down e di rendersi conto dell'apporto determinante e fondamentale che il bassista ha fornito alla riuscita del disco. Un paio d'anni dopo questa parentesi più classicista, il nostro Steve torna sul genere che lo ha reso famoso: il technical death metal. Infatti, è Aleister, fondatore e mastermind della grandiosa band italiana Faust, a richiedere la sua presenza sul disco d'esordio. From Glory to Infinity si presenta come una delle prove più valide in ambito metal estremo italico; l'oleoso basso di Steve intesse ritmiche d'alto livello ad affiancare il lavoro certosino e ispirato ai Necrophagist delle chitarre. Non mancano rapidi assoli, sezioni ritmiche allucinanti nella loro complessità e quel forte estro creativo che ha da sempre caratterizzato l'alto bassista dell'Illinois. Nello stesso anno insieme a Jon Allen entra a far parte dei Futures End, progressive power metal band californiana sotto l'etichetta Nightmare Records, dando vita a una piccola gemma del progressive più aggressivo e macchiato da elementi power che dev'essere assolutamente riscoperta e che chiude alla grande il primo decennio del ventunesimo secolo. Col sopraggiungere della nuova decade, dopo venticinque anni di esperienza dal vivo e più di vent'anni di carriera discografica, Steve DiGiorgio troverà altre band e nuovi progetti, ulteriori sfide che si pareranno sul suo percorso ormai reso leggendario dai suoi trascorsi. Tuttavia, tra un nuovo progetto e l'altro, tornerà anche a spiccare il nome dei Death, quella band che lo ha consacrato come uno dei migliori bassisti in circolazione e lo ha accompagnato sostanzialmente in tutta la sua carriera.
LE RECENTI COLLABORAZIONI E IL TRIBUTO AI DEATH Nell'ultimo triennio le collaborazioni di Steve DiGiorgio non si sono ridotte, ma hanno subito un'ulteriore varianza stilistica. Tra il 2010 e il 2011, è ancora lo spettro dei Death ad aleggiare sulla figura del barbuto bassista americano: Richard Christy, con il quale Steve ha suonato nei Control Denied, lo recluta per il suo nuovo progetto, i Charred Walls of the Damned. Questo progetto, per quanto i nomi posti sul retro della copertina siano eccellenti, è la dimostrazione di come non basti la maestosa tecnica individuale in assenza di un songwriter eccellente. Entrambi i dischi della band presentano un heavy metal condito da varie sfumature power e thrash, senza però offrire brani degni di nota o che -comunque- lascino il segno nell'ascoltatore. Non si può dire che la prova strumentale di DiGiorgio non sia all'altezza ma il risultato non è sicuramente uno di quelli consacranti o strabilianti. L'alto bassista e il sismico batterista vantano nel loro curriculum ben altri pezzi da novanta, che relegano questo progetto all'etichetta d'interessante per gli appassionati, ma quasi nullo se si vuole approfondire gli aspetti più tecnici e validi degli artisti. Dopo questa mediocre collaborazione, Steve DiGiorgio viene chiamato come SessionMan dal virtuoso Christian Muenzner, famoso per essere stato chitarrista nei Necrophagist di Epitaph e axe-man di Obscura, Spawn of Possession e Paradox. Il risultato è Timewarp, un disco che complessivamente riassume tutte le influenze del chitarrista e pare quasi un compendio dello shred. Da segnalare la prestazione su Dawn of the Shred, furibonda trasposizione del classico stilema "più note ci metti, meglio è" e su Endless Caravan, brano dal sapore settantiano sul quale Steve aggiunge oltre alla solita, incredibile prova bassistica, alcune curiose parti con il sitar, a rendere tipicamente orientaleggiante il sound complessivo del pezzo. Nel 2012, sotto Spinefarm Records, prende vita un altro supergruppo fondato da Martin Lopez in cui spicca anche il nome di DiGiorgio, fortunatamente portatore di ben altri risultati complessivi rispetto ai Charred Walls of the Damned. Si tratta dei Soen che, con il loro Cognitive, hanno riempito per buona parte il vuoto stilistico lasciato dai leggendari Tool. Infatti è proprio al quartetto di Los Angeles che i Soen si ispirano, tanto che al primo ascolto si può quasi pensare che, più che una band ex-novo, sia un vero e proprio tributo a Maynard James Keenan e soci. Tralasciando la similitudine stilistica che, in ogni caso, verrà affievolita da un'intensa personalizzazione sonora percepibile dopo alcuni attenti ascolti privi di pregiudizi, quello dei Soen è un disco coi fiocchi: la prova di Steve DiGiorgio e del suo inseparabile fretless è indimenticabile. La qualità e la purezza esecutiva dei brani, aiutata da una struttura di fondo che è perfettamente incentrata sul possente basso è a livelli stratosferici e irraggiungibili ai più. Ogni brano è un elogio a parte: partendo da Fraccions sino ad arrivare alla meravigliosa Savia si ha un perfetto compendio di come andrebbe usato un basso nella musica "prog", tanto da consacrare questo lavoro come uno dei migliori che abbiano la firma in calce di Steve DiGiorgio. In seguito a questo piacevolissimo disco, il bassista di Waukegan torna in Italia per collaborare con Davide Tiso sul nuovo EP degli eclettici Ephel Duath. Affiancando un altro grandioso SessionMan come Marco Minnemann dietro le pelli, il bassista concede il suo fondamentale apporto alla riuscita sonora complessiva di On Death and Cosmos, come sempre portatore di sonorità che mischiano jazz e death metal in un risultato stupefacente e spiazzante. Essendo in Europa, non poteva mancare anche una capatina in Grecia alla corte di Christos Nikolaou e i suoi Mythodea per il self-titled d'esordio. Il risultato è un disco di progressive metal sinfonico d'alto livello, nel quale il maestoso bassista offre la propria tecnica e il proprio curriculum sconfinato prima di tornare in America per prendere parte a uno dei tour più attesi e criticati degli ultimi anni: il Death to All. Inizialmente nato come semplice tributo alla mente musicale di Chuck Schuldiner e come raccolta fondi con sei date negli U.S.A., negli ultimissimi tempi questo tour, rinominato DTA per motivi di copyright, ha toccato gran parte delle città europee con una risposta tipica delle grandissime occasioni da parte del pubblico. Tralasciando tutte le polemiche o le apologie sull'utilizzo di loghi e nomi vari e concentrandoci sulla musica, è necessario spendere due parole sulla presenza di Steve DiGiorgio in questo progetto: l'amicizia del bassista con il leggendario frontman dei Death è stata una delle poche davvero valide e senza soluzione di continuità nella tumultuosa vita di Chuck Schuldiner, principale motivazione per cui già la sola presenza di DiGiorgio stesso nella line-up dovrebbe essere un elemento sufficiente a confermare la buona fede di questo tributo. Inoltre, la possibilità di poter risentire brani storici, di poter rivedere le dita funamboliche del bassista percorrere il manico del suo Thor mentre suona In Human Form o la storica Zombie Ritual, dando una rapida idea di come sarebbe stato il debut dei Death se fosse stata richiesta la sua presenza, è uno dei modi migliori per godersi la prestazione di Steve DiGiorgio dal vivo. In attesa di altre collaborazioni di altissimo livello e nuovi album delle band cui appartiene, sembra appropriato chiudere questo lungo discorso su Steve DiGiorgio con queste poche righe sulla sua partecipazione al tributo per colui che lo ha guidato, lo ha ispirato e lo ha consacrato come uno dei più grandi bassisti del mondo, iniziandolo alla lunghissima ed estremamente proficua carriera da poliedrico SessionMan.
DISCOGRAFIA ESSENZIALE
1) Sadus – Illusions (Autoprodotto, 1988) 2) Autopsy – Severed Survival (Peaceville Records, 1989) 3) Sadus – Swallowed in Black (Roadrunner Records, 1990) 4) Death – Human (Relativity Records, 1991) 5) Sadus – A Vision of Misery (Roadrunner Records, 1992) 6) Death – Individual Thought Patterns (Relativity Records, 1993) 7) Sadus – Elements of Anger (Mascot Records, 1997) 8) Testament – The Gathering (Spitfire Records, 1999) 9) James Murphy – Feeding the Machine (Shrapnel Records, 1999) 10) Control Denied – The Fragile Art of Existence (Nuclear Blast, 1999) 11) Dragonlord – Rapture (Spitfire Records, 2001) 12) Iced Earth – Horror Show (Century Media Records, 2001) 13) Vintersorg – Visions from the Spiral Generator (Napalm Records, 2002) 14) Takayoshi Ohmura – Nowhere to Go (Pony Canion Inc., 2004) 15) Vintersorg – The Focusing Blur (Napalm Records, 2004) 16) Sadus – Out for Blood (Mascot Records, 2006) 17) Sebastian Bach – Angel Down (MRV Records, 2007) 18) Faust – From Glory to Infinity (Paragon Records, 2009) 19) Futures End – Memoirs of a Broken Man (Nightmare Records, 2009) 20) Charred Walls of the Damned – Charred Walls of the Damned (Metal Blade Records, 2010) 21) Charred Walls of the Damned – Cold Winds on Timeless Days (Metal Blade Records, 2011) 22) Christian Muenzner – Timewarp (Autoprodotto, 2011) 23) Soen – Cognitive (Spinefarm Records, 2012) 24) Ephel Duath – On Death and Cosmos (Agonia Records, 2012) 25) Mythodea – Mythodea (Autoprodotto, 2012)
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Comeau è attivo con i Duskmachine, 3/4 ex Annihilator. |
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Fantastico articolo insieme a quelli di Murphy e Hoglan, sto scoprendo cose che manco sapevo e mi voglio immaginare una band con DiGiorgio al basso, Gene Hoglan al batteria, Murphy Alla chitarra e Joe Comeau (che considero anche lui un grande dato i lavori con Overkill e Annihilator) alla Chitarra e alla voce Chissà cosa potrebberò creare queste 4 bestie in un unico album  |
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Grazie AL  |
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grande articolone per un grande bassista!! compimenz! |
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Grazie mille a tutti e due  |
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Gran bell'articolo, molto completo ed esauriente (ricordiamo anche il fantastico lavoro su Defiant Imagination dei canadesi Quo Vadis, classe 2004) su un bassista estremamente influente. Il caro Steve non è mai stato tra i miei preferiti, però il suo grande contributo alla musica metal non può non essere riconosciuto. Ancora complimenti! |
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Grande Monky, hai fatto un bell'articolo dando il giusto tributo a quello che reputo molto semplicemente il miglior bassista heavy metal in circolazione. Altre parole sarebbero superflue, la sua musica, la sua storia e la sua discografia parlano da sole... |
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