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FATAL PORTRAIT - # 50 - Whitesnake
07/10/2023 (1521 letture)
Whitesnake: il miglior gruppo hard blues della storia? I nuovi Deep Purple? Il gruppo che ad un certo punto ha cercato di sfidare le grandi band hard rock americane sul loro terreno? Chi sono veramente i Whitesnake? Una parte di verità c’è in ciascuna di queste affermazioni, ma c’è molto altro, perché nei 45 anni di storia questo gruppo ha avuto molte incarnazioni e molti cambiamenti. Una cosa sola è certa, e incontrovertibile: i Whitesnake sono stati e saranno sempre la "creatura" di David Coverdale, uno dei più grandi cantanti che la storia del rock ci abbia consegnato. Ripercorriamo allora, con la nostra rubrica, alcune fra le tappe più significative della loro storia, attraverso i pezzi simbolo del momento; già scusandoci, perché sappiamo che sono poche, e che alcuni tagli, seppur doverosi, faranno molto male; ma con più di quaranta anni di storia, purtroppo è inevitabile

1. Come On
Quando, nel 1976, i Deep Purple si sciolgono, David Coverdale non rimane a lungo con le mani in mano: fra il 1977 e i primi mesi del 1978 rilascia due album, White Snake e Northwinds, che sono a tutti gli effetti album solisti. Inizia già qui però a far conoscenza con alcuni dei musicisti che diventeranno poi parte della band, quando, sempre nel 1978, decide di strutturare il suo gruppo di spalla come una band vera e propria, dando loro il nome Whitesnake. Già la prima release, l’EP Snakebite, presenta a pieno quelle che saranno le caratteristiche tipiche del gruppo, ossia potenza rock e feeling blues a piene mani. Travolgente è subito la traccia di apertura Come On, che per anni i Whitesnake terranno come opener dei concerti: tre minuti e mezzo di potenza, velocità, coesione, con i famosi incroci fra le chitarre di Micky Moody e Bernie Mardsen e l’organo Hammond di Jon Lord, mentre la voce di Coverdale si mostra subito perfetta per il genere

2. Ain’t No Love In the Heart of the City
Dal rock al blues più sentito e denso di emozioni: la cover di un pezzo R&B del 1974 diventa, nella versione di Coverdale e soci, un lento blues dalle atmosfere dalle atmosfere sognanti e malinconiche, perfette come appoggio per la meravigliosa voce del cantante che si lancia in un’interpretazione da brividi. Da applausi la linea di basso di Neil Murray, uno dei più grandi bassisti della storia del rock per gusto e tecnica al servizio dei brani. Altro pezzo che diventerà punto fermo dei live della band.

3. Trouble
Primo autentico album full-lenght dei nostri è Trouble del 1978, e non vi mancano altre perle da segnalare, a partire dalla tellurica opener Take Me With You o lo scatenato rock n’ roll di Lie Down. Ma la gemma più splendente è la title-track, altro brano lento e malinconico, ripieno di feeling come pochi altri. Assolutamente da antologia la linea vocale di Coverdale, in quegli anni una spanna sopra, per intensità e pathos, rispetto alla quasi totalità dei suoi colleghi, compresi quelli più famosi e blasonati.

4. Walking In the Shadow of the Blues
Ai Whitesnake dei primi anni non manca certo l’ispirazione e la prolificità, ed ecco che nel 1979, a pochi mesi dal primo album, i nostri sono già pronti a sfornare il secondo, Lovehunter, che non raggiunge, forse, lo status di capolavoro assoluto solo perché i nostri sapranno fare ancora meglio nell’immediato futuro: dieci brani e dieci gemme assolute, fra cui risalta in modo particolare la seconda traccia, Walking In The Shadow Of The Blues, che è un’autentica dichiarazione d’intenti sin dal titolo. Mid-tempo cadenzato e di rara intensità, con un’anima blues strabordante, è uno di quei brani che colpiscono al primo ascolto e restano nella mente e nel cuore per decenni. Eccezionale l’”impasto” fra le due chitarre, ricche di feeling e passione più che di tecnica – come deve essere nel genere – e il monumentale organo Hammond del maestro Jon Lord, il cui riff vale da solo l’intero brano. Da tramandare ai posteri la versione live presente in Live… In The Heart Of The City del 1980.

5. Fool For Your Loving
Passano ancora pochi mesi, siamo nella primavera del 1980, e la band è pronta per rilasciare il suo album “definitivo”, il suo capolavoro assoluto che non sarà più eguagliato in futuro. In realtà, nel frattempo, il gruppo ha fatto un ulteriore passo in avanti, reclutando alla batteria un altro ex-Deep Purple, Ian Paice, e garantendosi così l’apporto di uno dei migliori batteristi del pianeta, oltretutto adattissimo al genere proposto. E se da una parte la critica lo accusa di voler creare una sorta di “Deep Purple 2.0”, come si direbbe oggi, Coverdale se ne frega e risponde con i fatti regalando un album per il quale la parola “perfezione” non è sprecata. Considerato da molti il miglior album rock-blues mai prodotto, Ready An’ Willing si apre con un pezzo immortale, talmente ben riuscito che David Coverdale, che originariamente la scrive destinata ad essere registrata nientemeno che da B.B. King, decide di tenerla per sé e di proporla con i Whitesnake. Difficile trovare anche un solo difetto nel brano: la linea vocale in crescendo nobilitata dal ritornello, il riff (un mid-tempo piuttosto veloce) incalzante e capace di cogliere nel segno sin dalle prime note, gli assoli ispiratissimi, la sezione ritmica che non fa prigionieri. Quasi quattro minuti e mezzo da impararsi a memoria, per gli appassionati del genere. Quando, come vedremo, Coverdale, nella seconda parte della carriera, cercherà di puntare al mercato americano, non esiterà a “coverizzare sé stesso” proponendo nuove versioni di alcuni brani simbolo: è il caso anche di Fool For Your Loving, riproposta nel 1989 con Steve Vai alla chitarra, velocizzata e alzata di mezzo tono: il brano resterà da antologia, anche se il feeling dell’originale è ineguagliabile.

6. Sweet Talker
Con l’arrivo di Ian Paice i Whitesnake sembrano essere a tutti gli effetti gli eredi più naturali e diretti dei Deep Purple, avendo in formazione ben tre ex-membri. Ma la similitudine è data anche da alcuni brani che sembrano proprio provenire dai momenti compositivamente migliori di tutta la discografia di Blackmore e soci. Ad esempio, Sweet Talker, pezzo rock veloce e potente dove tutta la band si può scatenare alla grande, a partire dal suo leader che può usare a pieno la sua ugola calda e inconfondibile. Da “brivido caldo” l’assolo di Hammond di Jon Lord, autentico capo d’opera. Spesso nei live è stata usata come apertura, attaccandola a Come On, il cui riff, in effetti è piuttosto simile…

7. Ain’t Gonna Cry No More
Oltre che ai Deep Purple, l’altro gruppo cui spesso sono stati accostati i Whitesnake, nei loro primi anni di vita, sono i Led Zeppelin. Questo sia per il modo di cantare di Coverdale, che, anche se non lo ammetterà mai, molto ha preso dallo stile di Robert Plant, sia per l’ammirazione che il leader ha sempre mostrato verso Jimmy Page, con cui, finalmente, nel 1993 riuscirà a realizzare un album, intitolato semplicemente Coverdale/Page. Brani come Ain’t Gonna Cry No More sembrano davvero una “fusione fredda” fra Purple e Zeppelin, dove troviamo gli arpeggi e le parti di chitarra acustica iniziali, nonché una linea vocale decisamente “plantiana”, presi dai secondi, e i ricami di tastiera e l’esplosione di potenza – in occasione della seconda strofa e del ritornello finale – tipici dei primi. Ma quando l’ispirazione è a questi livelli, anche le fusion più impensabili riescono al meglio.

8. Child Of Babylon
Il problema degli album perfetti è che la perfezione non è replicabile; e, quando i Whitesnake tornano in studio nel 1981, a pochi mesi dall’uscita di Ready An’ Willing, nella mente dei musicisti, e di Coverdale in particolare, comincia a serpeggiare il dubbio che sia necessario cambiare qualcosa per mantenere il livello di attenzione sul gruppo, che sembra aver raggiunto il proprio apogeo. Nell’attesa, si “batte il ferro finché è caldo”, proponendo un disco comunque decisamente ispirato, che non cambia, se non in minima parte, lo stile del predecessore. Il pubblico e la critica continuano ad apprezzare molto (si tratta in effetti dell’album più venduto del gruppo, sino a quel momento), anche se un minimo di stanchezza compositiva inizia lentamente ad affiorare. Forse non a caso, il brano migliore è la ritmata e cadenzata Child Of Babylon, dove il “muro” formato da chitarre e tastiere fa da adeguato sfondo per la performance vocale del leader, sempre in grande spolvero nelle parti più blues e ricche di pathos. Da applausi a scena aperta la sezione ritmica Paice-Murray, che si conferma una delle migliori mai apparse nel firmamento hard rock. Si tratta purtroppo dell’ultimo colpo di coda della formazione “storica” del gruppo, perché da lì a breve inizieranno i continui cambi di line-up che diventeranno una costante nella storia dei Whitesnake.

9. Here I Go Again
Le tensioni nella band, già striscianti al momento della creazione del precedente album, deflagrano in maniera evidente al momento della stesura di Saints And Sinners, nel 1982. Quando il disco esce, la band che lo ha composto e inciso praticamente non esiste più: Coverdale, assoluto padrone della situazione, mantiene soltanto Lord e il chitarrista Micky Moody, mentre sostituisce Bernie Marsden con Mel Galley, Paice con Cozy Powell e Murray con Colin Hodgkinson. Le ragioni, oltre agli screzi interpersonali, sono principalmente dettate dalla volontà del cantante di abbandonare il rock-blues che sino ad ora è stato il punto di forza della band, per andare verso l’hard rock cromato di stampo americano. L’album in uscita però risente solo in parte della nuova strada tracciata dal cantante, e, complice la presenza ancora della vecchia line-up, dà il suo meglio proprio negli episodi maggiormente impregnati di passione blues. Primo fra tutti, l’immortale ballata Here I Go Again, magnificata da un lavoro vocale sopraffino e dall’ottimo supporto di tutti gli strumentisti. Coverdale la riproporrà, reincisa e riarrangiata, cinque anni dopo nell’album 1987.

10. Standing In the Shadow
Se Saints And Sinners aveva avuto una lavorazione travagliata, nulla è in confronto a quanto avviene per il successivo Slide It In, del 1984. Siamo ormai entrati nel periodo in cui Coverdale smonta e rimonta a suo piacimento la formazione, cercando di volta in volta gli strumentisti più idonei per i risultati sonori voluti. A tal punto che di questo album esistono addirittura due versioni incise, una per il mercato europeo e una per il mercato USA, e da formazioni differenti! La versione europea è incisa dal quintetto formatosi immediatamente dopo l’uscita del precedente album, mentre in quella americana compaiono il ritorno di Neil Murray al basso, e soprattutto la prima presenza del nuovo “giovane fenomeno” della chitarra, John Sykes. L’album, malgrado tutto, musicalmente rivela un ottimo equilibrio fra il primo periodo dei Whitesnake e i nuovi stili tendenti all’hard rock americano; ottimo esempio è la veloce Standing In The Shadow, dove un accompagnamento strumentistico di chiara matrice blues, veloce e ficcante, si lega con linee vocali già più “americaneggianti” e di facile presa, ottenendo un mix decisamente godibile. Ma nuove tempeste stanno per arrivare sulla band…

11. Crying In the Rain
Nel 1985, i Whitesnake sono di fatto sciolti, e Coverdale si ferma per quasi un anno per un intervento alle corde vocali, che iniziano ad essere stremate da un utilizzo così intenso e senza sosta. Quando riprende, nel 1986, ritrova al suo fianco Sykes e Murray, ma non più Jon Lord, nel frattempo tornato nei riformati Deep Purple, né PowellMoody. Al loro posto, puntando decisamente al mercato americano, i Whitesnake caricano a bordo due ex membri della band di Ozzy Osbourne, Aynsley Dunbar alla batteria e Don Airey alle tastiere (che anni dopo sostituirà Lord anche nei Deep Purple). Il sound del gruppo è ora completamente modellato sull’hard americano, più moderno e vicino alla pulizia delle produzioni rock degli anni 80, così da allontanare la band dall'immaginario blues rock che aveva contraddistinto i lavori iniziali. Il frutto è 1987, l’album che otterrà un successo di pubblico assolutamente clamoroso, sia in Europa sia negli USA. Ne è un perfetto esempio Crying In the Rain: già registrata e incisa cinque anni prima in Saints And Sinners, diviene ora un potentissimo hard rock marchiato a fuoco dalla chitarra funambolica di John Sykes, tanto vorticoso e funambolico tecnicamente quanto privo di quel feeling unico che emergeva ad ogni nota nella primigenia versione. Il confronto diretto fra la prima versione e quella riregistrata mette perfettamente in luce le differenze stilistiche fra le due fasi della band, e non c’è dubbio che chi preferisce la prima versione sia più legato allo stile della prima versione del gruppo, mentre chi ama questa sia più in sintonia con i Whitesnake “americani”. A ciascuno il suo giudizio su quale versione sia più meritevole.

12. Is This Love
Altra ballata di fama mondiale, ma se finora tutte le precedenti erano state all’insegna della più classica e incontaminata ispirazione blues, qui troviamo uno degli esempi perfetti di “power ballad” all’americana, come la avrebbe potuta incidere un Bon Jovi, per intenderci. Coverdale mostra al mondo che anche in questo stile sa essere un numero uno a livello mondiale, e la sua voce, con quel timbro inconfondibile e inimitabile, riesce a fare meraviglie anche (o, forse, soprattutto) quando rimane su toni medi, caldi e suadenti come pochi altri. Anche chi non ha mai apprezzato fino in fondo la “svolta americana” dei nostri non può rimanerne indifferente.

13. Still of the Night
Il brano più conosciuto del disco forse più conosciuto dei Whitesnake è, paradossalmente, uno dei più controversi. Non per il valore in sé del pezzo, autentico capolavoro dell’hard rock anni ’80 con il suo ritmo marziale, le prestazioni eccezionali di tutta la band e il trascinante finale in crescendo, quanto per le indubbie “similitudini” riscontrate, fin dal momento della sua uscita, con i Led Zeppelin. Spieghiamo meglio: una certa analogia nel modo di cantare fra Coverdale e Plant c’è sempre stata, e lo stesso Coverdale non ha mai negato di aver avuto i Led Zeppelin fra i suoi modelli ispiratori. Ciò che stupisce, in questo caso, è che l’”ispirazione” è stata particolarmente sentita: difficile non notare un parallelo fra le linee vocali del pezzo e certe parti incise da Robert Plant, Kashmir su tutte, ma anche le parti strumentali, in particolare il celeberrimo riff in mid-tempo che caratterizza il brano ha molte assonanze con la stessa Kashmir. Plagio ben riuscito o semplice coincidenza? Quale che sia il giudizio di ciascuno, resta uno dei pezzi simbolo dell’album, e della seconda parte di carriera dei Whitesnake.

14. Sailing Ships
Malgrado il successo planetario di 1987, la pace e la tranquillità restano ben distanti da “casa Whitesnake”. John Sykes si conferma anche in questo caso (e lo resterà per tutta la carriera) musicista tanto valido tecnicamente quanto difficilissimo da gestire dal punto di vista delle relazioni e il rapporto con Coverdale si sfalda già immediatamente dopo l’uscita dell’album. Il sostituto è il talentuoso chitarrista olandese Adrian Vanderberg, che scrive insieme al cantante tutti i pezzi per il nuovo album, ma non può partecipare alle registrazioni perché bloccato da un serio infortunio al polso. Coverdale non aspetta, e, convinto che al suo fianco serva un chitarrista virtuoso ed esuberante, si rivolge semplicemente al migliore su piazza: nientemeno che Steve Vai. Anche la sezione ritmica è completamente rivoluzionata, ma ormai i Whitesnake non sono altro che la band spalla di Coverdale, unico e solo padrone della situazione. Lo stile virtuoso e funambolico di Vai è perfetto per la nuova veste sonora del gruppo, e il chitarrista si candida a perfetto alter ego del singer, ormai preso dalla sua nuova dimensione di rockstar planetaria. Casomai, è il lato compositivo che inizia a scricchiolare: non tutti i pezzi del nuovo disco Slip Of The Tongue del 1989 colpiscono perfettamente nel segno, ma le meraviglie vocali e strumentali del duo Coverdale-Vai superano qualunque ostacolo. Quando poi anche l’ispirazione c’è, si vola: la ballad che chiude il disco rientra, per chi scrive, fra i dieci pezzi più belli mai scritti nella storia. Un inizio soffuso e quasi sussurrato, con un arpeggio acustico quasi arabeggiante e una linea vocale dolce e sognante nella strofa, che poi si apre in un ritornello arioso e malinconico. Già così sarebbe un pezzo da incorniciare, ma siamo solo all’inizio: a metà brano parte imperioso un crescendo inarrestabile dove Coverdale si lancia nell’interpretazione vocale che da sola varrebbe un’intera carriera, portando il brano a vette di pathos e di emozione difficilmente raggiungibili. Il testimone passa poi a Vai che lo raccoglie degnamente con un assolo incredibile per tecnica, feeling ed emozione pura, per terminare con un nuovo ritornello magnificato da Coverdale e una chiusura drammatica e sensazionale. Arte pura forgiata da due assoluti fuoriclasse al meglio delle loro potenzialità.

15. Restless Heart
Dopo la tournée di Slip Of The Tongue, David Coverdale sente la necessità di fermarsi. Gli ultimi sette-otto anni sono stati come una continua centrifuga, e, se il risultato (il successo sul mercato americano e mondiale) è stato ottenuto, le forze si sono completamente esaurite. Così improvvisamente, alla fine del 1990, i Whitesnake si sciolgono, e stavolta si fermano per davvero. Al punto che, nel 1993, il cantante riappare sul mercato, ma insieme a Jimmy Page nell’omonimo progetto che li vede affiancati. Anche questo ensemble ha vita breve, e per un paio di anni non si sente più parlare di Whitesnake. Quando improvvisamente, nel 1997, il gruppo riappare sul mercato, con il nome David Coverdale & Whitesnake, a sottolineare la completa sovrapposizione fra il leader e la band, con sorpresa unanime si scopre che il nostro ha lasciato in soffitta le sonorità potenti e cromate “made in USA” delle ultime produzioni, ed è ritornato prepotentemente al suo primigenio amore, il blues. Restless Heart è un disco che si può definire “intimista”: fortemente caratterizzato da ballate blues incentrate sulle eccezionali, e uniche, doti interpretative di un Coverdale ispirato e intenso come non mai, perfettamente assistito da arrangiamenti discreti e da un guitar work sobrio ed essenziale ad opera di un chitarrista, Adrian Vandenberg, che, per infortuni e malesseri vari, pur collaborando da quasi un decennio, non era mai riuscito ad incidere le proprie parti su un disco dei Whitesnake ma solo ad accompagnarli in tour. Il mid-tempo hard blues della title track, forse la perla assoluta del disco, è idealmente vicina alle sonorità di lavori come Come And Get It o Ready And Willing, ed è, per l’ennesima volta, portata alle stelle da un Coverdale sensazionale per emozionalità e duttilità vocale.

16. Can You Hear the Wind Blow
Se David Coverdale avesse continuato seguendo la strada di Restless Heart, probabilmente avrebbe avuto una “vecchiaia” musicale più tranquilla e congruente con l’intensità estrema dei suoi primi 30 anni di carriera; invece, quando i Whitesnake si ripresentano al mondo nel 2006, il cantante decide di rincorrere i “tempi che furono”, prima con due album (Good To Be Bad del 2008, e il successivo Forevermore del 2011) che palesemente si rifanno al periodo 1987-Slip Of The Tongue, ma che, pur validi in sé, poco hanno da aggiungere alla carriera dei nostri, poi con una serie di pubblicazioni che addirittura rimandano al suo periodo nei Deep Purple, infine continuando a girare il mondo proponendo la sua musica, ma accusando pesantissimi cali nella sua resa vocale, malgrado gli innesti di giovani e validissimi musicisti come il nostro Michele Luppi alle tastiere e ai cori. Intendiamoci, non mancano gli episodi validi, enfatizzati dai fuoriclasse presenti in formazione, il chitarrista Doug Aldrich su tutti, e dal talento compositivo del leader, che riesce sempre a trovare qualche guizzo di classe pura; il potente mid-tempo qui presentato ne è un valido esempio, e costituisce uno dei più riusciti “mix” operati da Coverdale fra i suoi primordiali istinti da bluesman e la veste sonora da metaller americano. Sebbene ormai sia divenuto una sorta di “monumento vivente a sé stesso”, David Coverdale rimane anche oggi uno dei più grandi cantanti, compositori e personaggi della storia del rock, e solo per questo non possiamo che inchinarci di fronte ad una carriera che ha pochi eguali.



Thomas
Martedì 24 Ottobre 2023, 13.44.13
24
Bei tempi... i whitesnake
Barfly
Domenica 22 Ottobre 2023, 11.51.33
23
King David è uno dei pochi che quando lo ascolto mi mette ancora i brividi (mentre scrivo sto ascoltando Ain\'t no love in the heart of the city dal live dell\'80, meravigliosa). Bellissimo articolo ,complimenti! Non ho i miei Whitesnake preferiti , li adoro sempre , anche se avendo vissuto il periodo 1987 ,all\' epoca li preferivo metallizzati . Li ho visti live 2 volte negli ultimi anni e la band è fantastica ,peccato per la voce in evidente e fisiologico calo , ma basta il suo carisma per emozionarmi. Nella loro discografia ultimamente ,tra remix e raccolte non si capisce più molto ma giusto così, i Whitesnake ci devono essere , sempre! p.s.: concordo con chi mi ha preceduto sul giudizio su Paul Sabu ,ascolto ancora il cd Only Child ,caposaldo dell\'aor fine anni 80.
Painkiller
Mercoledì 11 Ottobre 2023, 14.53.39
22
Calore, non calore.
Painkiller
Mercoledì 11 Ottobre 2023, 14.42.55
21
La voce di Coverdale ha sempre avuto quel valore, quella ruvidezza su certe note, da essere un “tutto fatto voce”. La lista delle canzoni scelte non mi vede d’accordo ma è soggettiva. In generale preferisco il primo perciò blues, ma 1987 e slip of the tongue sono fantastici, ed epico é il live del 1990 a Donington con Vai alla chitarra.
progster78
Martedì 10 Ottobre 2023, 8.28.01
20
Quando giorni fa ho letto la notizia in rete ci sono rimasto male...quante recensioni con la sua firma ho letto su metal hammer...condoglianze alla famiglia,grazie CARMELO GIORDANO r.i.p.
fasanez
Lunedì 9 Ottobre 2023, 22.18.38
19
Lo ricordo anch\'io... rip
Rik HM
Lunedì 9 Ottobre 2023, 20.51.36
18
Rif @Elluis, caspita che brutta notizia 😱. Ricordo che lessi numerose volte il suo nome su varie riviste metal italiane degli eighties .... rip 🔥
Fabio
Lunedì 9 Ottobre 2023, 20.50.48
17
No! Notizia bruttissima quella di Elluis
Rik HM
Lunedì 9 Ottobre 2023, 20.48.35
16
Figurati @Fabio! Grazie anche a te che hai risposto al post 🤟🎸
Elluis
Lunedì 9 Ottobre 2023, 20.40.22
15
@REDAZIONE DI METALLIZED chiedo scusa se faccio un breve OT, ma qualche giorno fa è mancata una persona molto importante per il mondo metal italiano, sto parlando di Carmelo Giordano, fotografo molto quotato e molto stimato da tutti, conosciuto a tal punto che i Manowar (con cui hanno collaborato in passato) gli hanno dedicato un post sul loro Instagram. La maggior parte delle foto che abbiamo visto sulle varie riviste nei decenni passati, erano state scattate da lui. Un tributo gli era dovuto. R.I.P. Carmelo!
Fabio
Lunedì 9 Ottobre 2023, 19.57.06
14
Grazie Rik, anch\'io compravo Classix Metal quando usciva in edicola, mi ricordo che avevano fatto qualcosa su Sabu ma non ricordo bene l\'articolo, dovrei riprenderlo
Rik HM
Lunedì 9 Ottobre 2023, 19.36.05
13
Figurati @Rob 🤟🎸grazie a te invece che rispondi ai post, alla prox 🎸
Rob Fleming
Lunedì 9 Ottobre 2023, 17.18.18
12
Grazie @Rik. E\' vero. Tu ed io più volte abbiamo constatato di essere, anche in quest\'epoca digitale, ancora lettori della carta. Adesso me lo vado a rispolverare e leggere quelle pagine.
Rik HM
Lunedì 9 Ottobre 2023, 14.56.45
11
@Rob, @Fabio, scusate se mi intrometto, è solo per dirvi, che nel caso foste interessati, nel numero 22 di classix metal, ci sono 12 (dodici) pagine dedicate alla retrospettiva a sabu, ma magari già lo sapete...
Fabio
Lunedì 9 Ottobre 2023, 12.24.15
10
Buongiorno Rob, ecco tornando i Whitesnake a me piace molto anche Good To Be Bad, soprattutto se confrontato con Restless Heart, trovo che sia il migliore dell\'ultimo periodo
Rob Fleming
Lunedì 9 Ottobre 2023, 8.58.37
9
Buongiorno Fabio, grazie per la risposta. Non appena pubblicano qualche recensione di lui solista, Only Child, Kidd Glove sarà un piacere continuare la discussione. Intanto ieri mi sono rispolverato mezza discografia dei Whisnake ed è stata una bella mattinata
Fabio
Domenica 8 Ottobre 2023, 20.18.36
8
Ciao Rob, Paul Sabu fece un primo album autointitolato, classico, tanto che Metal Shock se ne occupò in Shock Relics, poi Heartbreak altro classico, poi Only Child super classico dell\'aor, tanto che Kerrang diede un voto più alto del 5/5. Poi arrivarono agli anni 90, nel \'90 doveva essere pubblicato Second Birth, Ninth Life, ma i quegli anni bui per il class metal e aor non trovò sbocco, io ho il demo ed è il degno successore del primo Only Child. Venne stampato a metà anni 90 con la track list parzialmente cambiata e con una produzione appunto quasi da demo. Il disco giapponese a cui ti riferisci è sempre intitolato \'Paul Sabu\' e qualche mese dopo uscì anche in Europa a nome In Dreams, buono anche quello tanto che fu uno dei dischi più ricercati del settore insieme a L.A. Greene ( il cantante dei Fortune ) provenienti dal mercato nipponico. Poi anch\'io mi fermo qui per la sua produzione, ed aveva ragione D.Bowie che aveva visto in lui uno dei più grandi talenti degli States. Rodgers ovviamente il primo ispiratore
Rob Fleming
Domenica 8 Ottobre 2023, 15.45.01
7
@Fabio, te e il tuo Sabu! Un capitale mi hai fatto spendere! Almeno Heartbreaker lo trovai a 3000 lire (l\'ho rimesso su proprio ora) Ma i successivi?!? Presi dal Giappone! Ciò detto, tutti \"figli\" di Rodgers.
Fabio
Domenica 8 Ottobre 2023, 13.08.26
6
Anch\'io preferisco quelli inglesi, Walking In The Shodow Of The Blues uno dei miei brani preferiti, da non mettere però in contesa, casomai a completamento, con quelli di 1987, almeno a mio avviso. David uno dei più grandi in assoluto non ci sono dubbi, per me l\'unico che si avvicinava era Paul Sabu di \'Heartbreak\'
Galilee
Domenica 8 Ottobre 2023, 12.35.35
5
Grande band che ho ascoltato anche parecchio, ma non ricordo proprio i titoli dei pezzi. Tranne qualcuno. Album preferiti probabilmente Lovehunter Trouble e 1987.poi Ci metterei anche un bel Good to be bad. Non li conosco tutti, questo devo ammetterlo. In casa ne ho solo.. 7
Lizard
Domenica 8 Ottobre 2023, 12.26.10
4
Band che letteralmente adoro fino a \"Slip of the Tongue\" compreso, con un filotto di album da urlo, che in pochi possono vantare. Coverdale meraviglioso fino a lì. La preferenza va alla prima fase della carriera anche per me, essenzialmente perché preferivo la maggior inflessione blues e anche perché da un certo punto smettono di essere una band e si sente. Complimenti a Claudio per la sintesi, a me non sarebbe riuscito scegliere
Rik HM
Domenica 8 Ottobre 2023, 9.53.01
3
Band caratterizzata da due fasi musicali ben distinte. Una propriamente hard/blues e l altra di heavy americano. Apprezzo entrambe le versioni anche se molto differenti. La lista dell articolo ovviamente è soggettiva, ma è redatta con cognizione, anche se ognuno di noi potrebbe aggiungere numerosi titoli di songs. Live cmq è una band che da il meglio di sé 🤟🎸
Rob Fleming
Domenica 8 Ottobre 2023, 9.44.58
2
Su Vandemberg mi son sbagliato, avevo letto male il commento a Restless Heart.
Rob Fleming
Domenica 8 Ottobre 2023, 8.56.44
1
Articolo molto stimolante. Ognuno ha i propri Whitesnake, i miei sono quelli \"inglesi\" sino a Slide it in compresi. Ognuno ha le proprie canzoni ed è per questo che l\'assenza di BLINDMAN deve assolutamente essere segnalata. Talmente bella che Coverdale stesso l\'ha incisa due volte. Poi sono indeciso: lancio il sasso e nascondo la mano? Lancio il sasso e resto lì per assumermi le mie responsabilità? Ok, lo faccio. Coverdale-Plant. Che sia un\'influenza è noto per stessa ammissione di David. Che non gli parve vero di incidere un disco con Page per poter cantare i Led Zeppelin pure, ma...ed è qui che mi assumo le mie responsabilità: tra Coverdale e Plant non c\'è proprio partita. Dopo 20 minuti (cioè sino a Led Zeppelin IV) in cui la partita è bilanciata non c\'è più storia, ma proprio nessuna. Coverdale è NETTAMENTE superiore a Plant. (Oggi invece Robert se lo mangia a colazione, troppo elegante Percy con i suoi limiti vocali rispetto agli starnazzamenti di Coverdale). Still of the night non l\'avevo mai messa in relazione con Kashmir quanto piuttosto con Black Dog (che a sua volta riprendeva la struttura di Oh Well dei Fleetwood mac e di un milione di canzoni blues). L\'ho riascoltata e in effetti è un mischione delle atmosfere dei due brani. Infine, Vandenberg: è vero che non ha mai inciso nulla in studio, ma in quel gioiello di Starkers in Tokyo la chitarra è sua. Comunque, è vero: la voce di Coverdale è una delle più belle della storia e il suo timbro forse il più bello in assoluto (o quanto meno se la gioca con Paul Rodgers che a me pare l\'influenza più evidente e marcata, però non lo leggo quasi mai quindi sarò io a sbagliarmi). Scusate il post \"lungherrimo\", ma con certi gruppi o artisti non posso trattenermi
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