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FATAL PORTRAIT - # 27 - Dimmu Borgir
19/06/2017 (2013 letture)
Pochi gruppi nel panorama del metal estremo hanno saputo dividere ed essere controversi come i Dimmu Borgir: questo combo norvegese, tra i massimi esponenti del black metal di stampo sinfonico, ha difatti sempre fatto parlare di sé, sia in termini di vendite (si parla di milioni di copie in tutto il mondo, vetta irraggiungibile per quasi tutte le realtà a loro coeve), sia in termini strettamente musicali, creando una sorta di faida tra chi ne elogia le qualità artistiche e chi li taccia di commercializzazione, di essersi ripetutamente “venduti” insomma. Con tutta probabilità, la verità, come sempre, sta nel mezzo, ma è indubbio che i Dimmu Borgir abbiano scritto alcune tra le pagine più belle del metal estremo e lungo questo articolo, e una selezione di quindici brani, andremo a percorrere le tappe salienti del loro percorso musicale verso l'Olimpo dello “Svart Metall”…

Inn I Evighetens Mørke
Fondati nel 1993 per volere di Tjodalv, Shagrath e Silenoz, i Dimmu Borgir, a differenza di molte altre band, non hanno mai prodotto demo ufficiali. Si limitarono difatti a registrare una manciata di rehearsal tra il gennaio e l'agosto del 1994, fatte circolare all’interno negli ambienti black metal underground di allora. Il loro debutto ufficiale arrivò già nel dicembre di quell'anno, quando venne alla luce un breve EP intitolato Inn I Evighetens Mørke, pubblicato dalla piccola Necromantic Gallery Productions (la stessa dello split Ulver / Mysticum, per intenderci). Allora, la formazione era ben diversa da quella odierna (vedremo che i cambi di line-up saranno una costante per il gruppo) e prevedeva Shagrath, allora proveniente dall'esperienza nei Fimbulwinter, alla batteria, Erkekjetter Silenoz alla chitarra e al microfono, Tjodalv, anch'egli alla chitarra, Brynjard Tristan al basso e Stian Aarstad alla tastiera. Va ricordato che, in particolare nei primi anni, Aarstad sarà sempre accreditato come un session member, in quanto non partecipava attivamente al processo di songwriting e non era sempre presente ai rehearsal.
Venendo al disco, esso conteneva solo la title-track e Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde, poi riproposta su For All Tid. Inn I Evighetens Mørke è una canzone divisa in due parti: nella prima le protagonisti assolute sono le tastiere, prima sotto forma di malinconici giri di pianoforte e poi anche di cori. Dopo un'introduzione in sordina, si aggiungono anche gli altri strumenti: la batteria è molto semplice e lineare e funge quasi solo da accompagnamento, mentre alla chitarra distorta in sottofondo fa contrasto una in clean che disegna bellissimi arpeggi. Anche il basso riesce a ritagliarsi i propri spazi, essendo abbastanza presente nel mix e pulsando a dovere. La seconda parte invece, di circa due minuti di durata, è più tipicamente black metal e anche la voce fa infine la sua comparsa, con alle spalle un ritmo abbastanza sostenuto, ma mai eccessivamente veloce. Quanto iniziato e abbozzato con questo EP verrà elaborato in maniera fluente e coerente nel successivo For All Tid, tant'è che la Nuclear Blast ha aggiunto Inn I Evighetens Mørke come bonus track della ristampa di tale platter.

For All Tid
Il primo full-length del gruppo, pubblicato nei primi mesi del 1995 dalla No Colours Records, ci mostra un combo che ovviamente non ha ancora trovato perfettamente la sua dimensione e che esprime un black metal molto atmosferico, spesso anche lento e riflessivo. Il disco fu scritto da Shagrath e Silenoz, che si occuparono anche delle lyrics insieme ad Aldrahn. Quest’ultimo compare inoltre come guest cantando nella bellissima Over Bleknede Blaner Til Dommedag insieme al suo compagno nei Dødheimsgard, Vicotnik, che si occupa delle backing vocals su tutto il disco.
La qualità di registrazione è tutt'altro che ottimale e inoltre si notano delle differenze tra le varie tracce in quanto l'album fu registrato e mixato in due trance, una ad agosto e l'altra a dicembre del 1994, in quanto il gruppo non poteva permettersi il costo di una sessione unica. La title-track fa parte della seconda registrazione e lo si può notare soprattutto dal suono della batteria, più profondo e riverberato. È una delle tracce più lente ed atmosferiche di tutto il disco: l'intro è composto da cori evanescenti che intonano una sola nota, e, dopo qualche secondo, entra in scena la batteria di Shagrath, sempre molto lenta, e una chitarra in clean che suona un arpeggio lento e malinconico. A questi si aggiunge presto anche una chitarra distorta che sfodera un assolo semplicissimo, ma d'effetto. Dopodiché, si passa al brano vero e proprio: il ritmo è sempre cadenzato e i riff, lineari e melodici, sono accompagnati dal basso, posto molto in risalto, che disegna delle linee in clean azzeccatissime. La voce di Silenoz, che canta i testi strettamente in lingua madre, è molto graffiata e poco “professionale”, ma si adatta bene al contesto. Il tutto, sin dalla copertina (un'illustrazione ad opera di Gustave Dorè) è ammantato da un'aura antica e quasi mistica.
Nonostante la tecnica sia abbastanza trascurabile, l'effetto creato dalla band in questi primi capitoli della sua storia, è davvero notevole soprattutto dal punto di vista dell'atmosfera arcana e misteriosa che viene evocata.

Hunnerkogens Sorgsvarte Ferd Over Steppene
Questa canzone, che verrà poi ripresa nell'EP Godless Savage Garden, tratta una tematica abbastanza inusuale, facendo riferimento al re degli Unni, Attila, e al suo viaggio attraverso le steppe. Dal punto di vista musicale, nonostante le tastiere giochino sempre un ruolo fondamentale, stavolta sono più relegate all'accompagnamento, mentre gli strumenti “tradizionali” del genere sono più in evidenza. La canzone presenta dei tratti quasi thrash metal, tanto nelle linee di chitarra quanto nelle ritmiche, comunque ancora molto semplici date le limitate capacità di Shagrath dietro alle pelli. Tratti che torneranno spesso nella carriera del gruppo, seppure ovviamente in forme diverse, dato che il thrash metal è sempre stato una componente abbastanza presente e in fondo mai rinnegata da parte del gruppo. Il brano è piuttosto breve e rappresenta la parte più tipicamente black metal della band in questa sua prima fase.

Alt Lys Er Svunnet Hen
Con il secondo disco Stormblåst cambiarono un po' le carte in tavola per i Dimmu Borgir: innanzitutto passarono dalla No Colours Records alla britannica Cacophonous (label già con Cradle of Filth e Gehenna e specializzata in black metal sinfonico), mentre a livello di formazione Tjodalv e Shagrath si scambiarono i ruoli, dedicandosi l'uno alla batteria e l'altro alla chitarra solista, e dunque ognuno al proprio strumento principale. Finalmente, quindi, entrambi poterono esprimere al meglio il loro potenziale, concentrandosi sugli strumenti che sapevano suonare meglio. Anche dal punto di vista del sound, molto andò a modificarsi: il suono arcano e quasi medievaleggiante di For All Tid si evolse in un sound più marcatamente sinfonico e per certi versi anche più raffinato, pur mantenendo una base fortemente black metal e una qualità di registrazione ancora abbastanza scadente.
Proprio la qualità di registrazione bassa (seppur migliore del suo predecessore), per cui le chitarre sono quasi soffocate nel mix dagli altri strumenti, fu il principale motivo che poi spinse Shagrath e Silenoz a ri-registrare Stormblåst quasi 10 anni dopo. Che sia stata un'operazione azzeccata o meno, non è questo il luogo adatto per deciderlo, ma una cosa è certa: ogni volta che parte nello stereo l'intro celestiale di Alt Lys Er Svunnet Hen (letteralmente “Tutta la luce è svanita”), l'effetto nell'ascoltatore è di estasi assoluta. Un vero peccato che Aarstad avesse rubato quella splendida melodia da una canzone dei Magnum senza, ovviamente, dire nulla ai compagni, che quindi poi hanno tagliato tale intro in Stormblåst MMV, insieme alla famosissima Sorgens Kammer, anch'essa plagiata dall'allora tastierista e poi sostituita con una “Parte II” che nulla ha a che vedere con l'originale. Tornando a Alt Lys Er Svunnet Hen, quando parte la canzone vera e propria, le tastiere sono ancora in primo piano, mentre le chitarre suonano riff sempre semplici ma indubbiamente efficaci. La voce entra in campo solo dopo qualche minuto ed è sicuramente migliore di quella udibile in For All Tid, nonostante si riveli ancora tutt'altro che perfetta. Va ricordato, a tal proposito, che contrariamente alla credenza comune, in questo disco per la maggior parte delle canzoni canta ancora Silenoz e non Shagrath. I testi sono ancora una volta in norvegese, ma le traduzioni esatte sono facilmente reperibili su internet.
Questa canzone è dunque esempio lampante di come i Dimmu Borgir a distanza di solo un anno si fossero decisamente evoluti sotto tutti i punti di vista.

Guds Fortapelse – Åpenbaring av Dommedag
Se il disco si era aperto con la luce che svaniva, esso si chiude addirittura con il giorno del giudizio e la dannazione di Dio, descritti da quest'altro piccolo gioiello. Introdotta da un estratto da una sinfonia di Dvorak, dal sapore oscuro ed apocalittico, la canzone (scritta da Shagrath) esplode poi in un riff in tremolo molto melodico e dalla batteria in blastbeat, mentre la voce sputa fuori tutte le blasfemie e gli inni al demonio vergati dalla penna di Silenoz:

Hengitt er vi
Til Mørkets keiser
Den allmektiges kraft
(Som) Fører vårt sinn
I kamp
Mot godhet og løgn


Noi siamo devoti
All'imperatore dell'oscurità
Il potere dell'onnipotente
(Che) guida le nostre menti
In battaglia
Contro i buoni e le menzogne


Si tratta di uno dei brani in cui le tastiere sono meno prominenti, mentre finalmente le chitarre si fanno sentire a dovere e i riff sono più articolati.
Con Stormblåst si chiude una parte della storia di questo gruppo, quella più legata al black metal primigenio e in un certo senso più tradizionale, ma le soddisfazioni non sono certo terminate.

Master of Disharmony
Con l'EP Devil's Path, si apre una nuova strada per i Dimmu Borgir. Innanzitutto, salta all'occhio l'abbandono della lingua madre in favore dell'inglese, in grado di rendere la loro musica fruibile ad un maggior numero di persone. In secondo luogo Shagrath assunse qui per la prima volta il ruolo di lead vocalist, che manterrà fino ai giorni nostri, oltre ad occuparsi della chitarra solista nonché, anche se solo momentaneamente, anche delle tastiere data l'indisponibilità di Aarstad, che all'epoca stava effettuando il servizio militare. Abbandonò invece la nave il bassista Tristan, il cui posto venne occupato da Nagash, mente dei Troll oltre che dei Covenant e abile polistrumentista.
L'EP in questione venne pubblicato sempre nel 1996 attraverso la label di proprietà di Shagrath, la Hot Records, e conteneva due canzoni inedite e due versioni della cover di Nocturnal Fear dei mitici Celtic Frost.
L'opener Master of Disharmony, dopo una lunga intro, viene lanciata dall'urlo di Shagrath: Sons of Satan, gather for the attack! (diventato poi il titolo dello split che vedrà proprio questo disco affiancato dalla demo In the Shades of Life degli Old Man's Child). Il brano, che come si può intuire facilmente è un'invocazione al demonio, è violento e velocissimo, come mai i Dimmu Borgir erano stati, mentre le tastiere contribuiscono a donare un tocco di oscurità in più. Nel pezzo si possono udire anche parti più thrasheggianti e verso la fine c'è spazio anche per un assolo di chitarra. Il pezzo verrà poi ri-registrato nel successivo full-length con le tastiere più in evidenza e senza il lungo intro originale.

Mourning Palace
Se i primi due full-length contribuirono a far conoscere il nome dei Dimmu Borgir nel panorama estremo di allora, il terzo (che spesso è la prova del nove per molte band) li portò finalmente alla consacrazione. Enthrone Darkness Triumphant, che vedeva il ritorno alla tastiera di Stian Aarstad e il passaggio al colosso Nuclear Blast, rappresentò un netto taglio col passato: la qualità di registrazione era finalmente di alto livello, potente e pulita (merito anche dell’inossidabile Peter Tägtren e dei suoi Abyss Studios, già scelti prima di firmare con la nuova label), il songwriting era maturato e si era affinato, così come la tecnica dei musicisti in campo.
Senza nulla voler togliere alle atmosfere create dai suoi esimi predecessori, che sicuramente riservano un fascino ineguagliabile, appare chiaro come la band da questo punto in poi abbia trovato la propria dimensione e il modo che trovava più consono per esprimere il proprio potenziale, anche se questo a molti fan della prima ora non è mai andato giù. È indubbio però come le precedenti influenze dall'heavy metal classico e dal thrash metal incorporate abbiano giovato e non poco.
Ad aprire questo lavoro è la grandiosa Mourning Palace, tra i capolavori assoluti dei Dimmu Borgir e quasi sempre suonata live, introdotta da archi maestosi in grado poi di esplodere con dei riff mai troppo complessi, ma certamente d'effetto. Tutto è al suo posto: le chitarre graffiano a dovere, la batteria è chirurgica e suonata alla perfezione, la voce di Shagrath (decisamente superiore a quella del predecessore) non è mai monocorde e offre una prestazione di alto livello, le tastiere intonano sinfonie pompose e raffinate che fanno da contrasto perfetto con la violenza sonora creata dagli altri strumenti. La canzone è quasi tutta in mid-tempo, ma nel finale prorompe con una forza inaudita anche grazie al talento di Tjodalv, che mostra i suoi evidenti miglioramenti dietro alle pelli con un blast beat preciso e veloce.
Mourning Palace è una canzone che tutti i blackster (e non) dovrebbero ascoltare per capire di quale gioiello di musica estrema stiamo parlando. Epocale.

Spellbound (By the Devil)
Restando in tema di capolavori, subito dopo la sopracitata Mourning Palace, è il turno di Spellbound (By the Devil). Cosa questa canzone perde rispetto alla precedente in maestosità ed epicità, lo ri-guadagna in malvagità e velocità. É un pezzo infatti molto più dinamico e giocato su riff e melodie di tastiera più oscuri e “movimentati”. Apice assoluto del brano è l'intermezzo in cui chitarre e batteria si stoppano ed entra in campo il suono ossessivo di un organo, dopo il quale la canzone sfocia in un mare di violenza difficilmente eguagliabile. Il finale è decisamente più melodico e cadenzato e c'è anche il tempo per un bell'assolo di Shagrath.
Il testo, così come quello di molte canzoni dell'album (in particolare Tormentor of Christian Souls e Master of Disharmony di cui abbiamo già parlato) affronta tematiche apertamente sataniche ed era uno dei primi album con testi simili ad entrare in territori “mainstream”, termine sempre e comunque da prendere con le pinze quando si parla di metal estremo.
Insomma, molti hanno definito Enthrone Darkness Triumphant il miglior disco symphonic black metal di tutti i tempi (forse dimenticando un po' frettolosamente lavori dei vari Emperor, Limbonic Art eccetera), ma sicuramente è un album che ha lasciato il segno e che ha lanciato, meritatamente, i Dimmu Borgir nel panorama metal mondiale e ha portato alto il nome del black metal norvegese.

Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde (Godless Savage Garden version)
A seguito dell'uscita di Enthrone Darkness Triumphant, i Dimmu Borgir intrapresero un tour con i Dissection, immortalato nel live video Live & Plugged Vol. 2, in cui per l'occasione entrò in formazione Astennu come chitarrista solista, dando così la possibilità a Shagrath di concentrarsi dal vivo solo sulle linee vocali.
Nel 1998 uscì l'EP Godless Savage Garden che conteneva cinque canzoni registrate durante le sessioni di Enthrone..., due inedite (Moonchild Domain e Chaos Without Prophecy), una cover degli Accept nelle quali era già presente Astennu alla chitarra, due ri-registrazioni di vecchie canzoni, e tre canzoni live in cui faceva la sua comparsa il nuovo tastierista Mustis, dopo il licenziamento di Aarstad.
Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde, ripresa dal debutto For All Tid (così come Hunnerkogens Sorgsvarte Ferd Over Steppene) è un raro caso di una canzone che, registrata di nuovo, ha acquistato decisamente qualcosa in più rispetto all'originale. Difatti, nonostante la versione presente sul debutto fosse sicuramente già una buona traccia, in questa nuova cornice essa guadagna molto sia in atmosfera che in dinamicità. Le tastiere infatti hanno un suono decisamente più pulito, così come tutti gli altri strumenti, e il tempo è leggermente più veloce, il che smussa un po' quel senso di “staticità” che si aveva nella prima versione. Molta differenza la fa la prestazione di Tjodalv alla batteria, che, anche grazie al sapiente uso della doppia cassa, risulta decisamente superiore a quella di Shagrath. Anche la voce di Silenoz, tornato dietro al microfono per l'occasione, seppur non perfetta, è sicuramente migliore rispetto a quella sfoggiata qualche anno prima su For All Tid. Questo pezzo verrà spesso suonata in sede live ed è uno dei più del loro repertorio.
Va anche ricordato che grazie a questo EP, i Dimmu Borgir si guadagnarono la candidatura agli Spellemannprisen (i Grammy norvegesi) per il miglior disco metal, in cui per l'occasione suonarono in diretta TV la bella Grotesquery Conceiled (Within Measureless Magic). Il premio, però, fu vinto, non immeritatamente, dai Covenant con il fantastico Nexus Polaris.

The Insight and the Catharsis
Tornati negli Abyss Studios, i Dimmu Borgir registrarono nel 1998 Spiritual Black Dimensions che vide la luce a marzo dell'anno successivo. Ancora una volta ci furono molti cambiamenti: il primo fu l'inserimento in formazione del tastierista Mustis, dotato evidentemente di uno stile molto diverso da quello di Aarstad: dopo il suo ingresso si assistette infatti alla comparsa di suoni più “moderni” quali synth pad e lead, oltre ai pur presenti archi e pianoforte, che contribuirono a creare un'atmosfera più misteriosa e quasi inquietante. In verità, già nel precedente disco c'era stata la timida introduzione di qualche suono di synth dal sapore più “elettronico” (vedasi Spellbound o Entrance), ma si trattava solo di piccoli accenni. Questo cambiamento alla tastiera, indubbiamente strumento fondamentale del combo, è uno dei motivi principali della riuscita di Spiritual Black Dimensions: bissare il successo di Enthrone Darkness Triumphant era un compito assai arduo, eppure i Dimmu Borgir ci riuscirono, senza semplicemente emulare quanto fatto nel precedente lavoro. Altro elemento che dona un quid in più a questo disco sono le linee vocali pulite di Simen Hestnæs, che, dopo l'abbandono di Nagash, si unirà alla band in pianta stabile come bassista e cantante. La voce pulita di Vortex ammanta canzoni bellissime come Reptile e Dreamside Dominions di un'aura ancor più eterea e diventerà un must nelle seguenti uscite del gruppo. Altra canzone in cui Hestnæs fa la sua comparsa è la meravigliosa The Insight and the Catharsis, una delle prove migliori di tutto il disco. La voce di Shagrath si dimostra maturata ulteriormente rispetto a Enthrone Darkness Triumphant, Mustis dà un contributo notevole con linee di pianoforte oscure ed ammalianti e c'è anche spazio per il chitarrista Astennu per sfoggiare una tecnica solistica non comune con scale velocissime e ottimo uso di tremolo e floyd rose. Ma a splendere ancor di più sono proprio le linee vocali di Vortex, il cui contrasto con lo scream di Shagrath creano un effetto davvero unico. La produzione purtroppo non risulta perfetta come nel precedente lavoro, in quanto a volte si viene a creare un amalgama sonoro in cui è difficile distinguere i vari strumenti e la batteria è leggermente soffocata nel mix, ed è un vero peccato perché anche in questo disco Tjodalv ha svolto un lavoro egregio.
Nonostante questo, Spiritual Black Dimensions appare un lavoro riuscitissimo e dimostrò come le idee in casa Dimmu Borgir non erano finite con Enthrone..., ma che anzi il gruppo era capace di innovarsi ed evolversi.

Blessings Upon the Throne of Tyranny
Per il tour di supporto di Spiritual Black Dimensions, Nagash, come anticipato in precedenza, fu sostituito da ICS Vortex, mentre a Tjodalv, dopo le prime date, fu chiesto di abbandonare il gruppo, che nel frattempo aveva già stretto accordi con l'ex Cradle of Filth Nicholas Barker. Il batterista fondatore, ritenuto ormai lontano dai requisiti del gruppo, accettò la situazione e si dedicò in seguito al progetto Susperia, rimanendo comunque in buoni rapporti con la sua ormai ex formazione. In seguito a questo tour, abbandonò la nave anche Astennu, che fu sostituito da Galder degli Old Man's Child, da lungo tempo amico dei membri della band. Contro questo chitarrista spesso i fan hanno mosso critiche molto aspre, rimpiangendo il suo predecessore: ovviamente il suo stile è molto diverso rispetto a quello dell'australiano, e forse sarà vero anche che i suoi assoli sono meno emozionanti e creativi di quelli di Astennu, ma a suo favore bisogna dire che tecnicamente egli non ha nulla da invidiare all'ex-Covenant e che anche con gli Old Man's Child ha dimostrato un talento non indifferente, tanto da guadagnarsi lodi da musicisti di elevata caratura come Gene Hoglan.
Puritanical Euphoric Misanthropia è il primo prodotto di questa rinnovata formazione, ed è un lavoro in cui vengono accentuate certe derive thrash/death già accennate nei precedenti dischi, e la violenza sonora, anche grazie ad una produzione mai così limpida ma aggressiva, raggiunge picchi altissimi. Persino l'artwork in copertina a primo impatto risulta piuttosto violento e d'impatto. Nonostante ciò, la componente sinfonica è più presente che mai: per la prima volta infatti, la band si avvalse non solo delle tastiere, ma di una vera e propria orchestra, la Gothenburg Opera Orchestra, mentre i synth assunsero suoni più freddi, eliminando quasi totalmente le parti di pianoforte. L'opener Blessings Upon the Throne of Tyranny, preceduta dall'intro sinfonica Fear and Wonder, si presenta come un brano violento e tiratissimo. Si tratta di un pezzo al fulmicotone in cui il neo-entrato Nick Barker sfoggia tecnica e velocità d'esecuzione di livello assoluto, senza nulla voler togliere al suo predecessore, che tuttavia possedeva una tecnica più “umana”. L'assalto iniziale a base di riff in tremolo, blast beat fulminei e vocals al vetriolo, viene bruscamente interrotto da un riffing stoppato e dall'entrata in campo della doppia cassa, che mantiene la velocità elevata per tutta la durata del brano. Shagrath sfoggia ancora una buona voce, a cui vengono applicati per la prima volta degli effetti, poi usati spesso dal singer.
I testi a cura di Silenoz, sempre principale lyricst del gruppo, così come la musica del resto, appaiono invece aver perso in parte quella componente quasi mistica che invece imperversava nei precedenti (capo)lavori, divenendo più violenti e rabbiosi, invece che misteriosi e oscuri. Un vero peccato, perché soprattutto nelle due passate fatiche il chitarrista aveva scritto testi davvero di ottima fattura, in cui anche la componente satanica e anticristiana non era fine a sé stessa, ma ben inserita nel contesto che il gruppo stesso voleva creare con musica e parole.

Kings of the Carnival Creation
Premetto che sarebbe stato interessante parlare di un brano come Puritania, vera e propria “pietra dello scandalo” del disco, sperimentale nella sua vena quasi industrial e piena di campionamenti. Ma siccome l'altro pezzo da novanta di Puritanical Euphoric Misanthropia è la bellissima Kings of the Carnival Creation, mi sembrava doveroso darle il giusto spazio. Introdotta dalle tastiere di Mustis, esplode poi nuovamente in un riffing molto aggressivo e un drumming in doppia cassa tremendo, che si alternano con parti invece velocissime e caratterizzate ancora una volta dal blast beat violentissimo. Highlight assoluto della canzone è però l'intermezzo in cui compare la splendida voce di ICS Vortex (che tendeva a registrare due linee vocali che si incrociano e si completano a vicenda). Il singer intona le parole scritte dal solito Silenoz con i suoi magnifici vocalizzi:

Glance into the blackness,
hidden beneath your surface.
And enjoy the suffering,
sanity drained in disrespect.

With such bedevilled faith in good,
subsequently trusting evil.
Next step for mankind,
will be the last seasons in sin


In questa canzone c'è spazio per ben due assoli della new entry Galder, uno velocissimo in tapping e l'altro, subito dopo l'intermezzo di Vortex, più lento e melodico, anche se effettivamente non all'altezza di quelli del suo predeccessore Astennu dal punto di vista emotivo.
In definitiva, Puritanical Euphoric Misanthropia, pur essendo un disco dai connotati assolutamente estremi e che mostrava una continua voglia di innovarsi da parte della formazione, incappò nei primi problemi che poi affliggeranno i Dimmu Borgir anche nei seguenti album, in primis un songwriting non più freschissimo, nonostante una line-up da all star band.

Progenies of the Great Apocalypse
A due anni da Puritanical Euphoric Misanthropia, i Dimmu Borgir diedero alle stampe Death Cult Armageddon, confermando in parte la nuova direzione artistica intrapresa con il primo, e in parte cambiando ancora qualcosa. La line-up fu la stessa che registrò il precedente disco e venne nuovamente accompagnata dalla Gothenburg Opera Orchestra, il cui maestoso lavoro però viene messo decisamente più in evidenza rispetto a quanto udito nei solchi del suo predecessore. Il sound prodotto da questo platter infatti, pur mantenendo una certa violenza, stavolta più che sulle chitarre si concentrò sulle ricche orchestrazioni: non è forse un caso che, alla pari con Silenoz, sia stato proprio il tastierista Mustis a comporre la maggior parte della musica. Death Cult Armageddon è infatti un disco più pomposo e magniloquente, che fa pensare quasi più a una “colonna sonora metal” che non a un vero e proprio disco di black metal sinfonico.
Gemma assoluta e capolavoro del disco è la celebre Progenies of the Great Apocalypse, che già dal titolo preannuncia il tono quasi apocalittico che assumerà la sua musica. Il pezzo, interamente scritto da Mustis, lascia infatti poco spazio alle chitarre, che suonano parti molto lineari, e mette in risalto la componente sinfonica forse come mai prima di allora. Ancora una volta, però, a brillare è l'intermezzo in cui compare la voce pulita di ICS Vortex, che in questo brano si lancia in una delle sue performance migliori di tutta la sua carriera nei Dimmu Borgir: pochi cantanti nel metal estremo possono vantare delle qualità vocali così elevate; il suo modo unico di unire raffinatezza e potenza lo rendono un singer unico nel suo genere, e forse non a caso è stato uno dei punti di forza di questa band. È il caso, però, di tessere le lodi anche di Mustis che, ancora una volta, in questo pezzo riesce a far emozionare l'ascoltatore non solo grazie ad un songwriting di altissimo livello, ma anche grazie ad una tecnica pianistica che in campo black metal (e dintorni) trova un valido “avversario” solo nel grandissimo Sverd, mente degli Arcturus. Non a caso si può facilmente trovare su internet un video in cui Mustis suona questa canzone interamente al pianoforte, e posso assicurare che l'effetto creato è davvero unico.
Nel complesso Death Cult Armageddon, seppur potesse nuovamente far storcere il naso a più di qualche fan, è l'ennesimo disco “coraggioso” dei Dimmu Borgir e forse l'ultimo realmente valido. Già con questo album e con il precedente si comincia ad avvertire qualche segno di cedimento, che a mio parere arriverà con i successivi dischi, di cui ci apprestiamo a parlare.

The Serpentine Offering
A seguito del tour in supporto di Death Cult Armageddon, abbandonò il gruppo anche Nicholas Barker, che venne prontamente sostituito dall'ex-Nile Tony Laureano in sede live per alcune performances come quella all'Ozzfest nel 2004, registrata e poi inserita come DVD bonus nel famoso Stormblåst MMV. Fu in quest'ultimo album che comparve come batterista Hellhammer, che fu l'unico musicista insieme a Mustis a coadiuvare Shagrath e Silenoz nella ri-registrazione del disco. Il batterista dei Mayhem si unirà poi alla band in pianta stabile e parteciperà alle registrazioni di In Sorte Diaboli, settimo disco della band.
Trattasi di un concept album (il primo nella storia del combo) ideato da Silenoz, ambientato nel Medioevo, come si può evincere anche dai video clip realizzati per alcune canzoni, che narra di un uomo di chiesa che lentamente scopre di avere poteri soprannaturali e si avvicina al “lato oscuro”, accorgendosi sempre più di non avere nulla a che fare col Cristianesimo. La storia non sembra niente di straordinario o di particolarmente innovativo, ma il vero problema è che anche la realizzazione dei testi sembra peccare di originalità e creatività. La trovata (anche carina se vogliamo) di scrivere i testi al contrario ed includere uno specchio per leggerli di certo però non ne migliora la qualità.
Ad esempio, nell'opener The Serpentine Offering, all'inizio tutto sembra procedere bene: orchestrazioni sempre di livello, riff più thrasheggianti e meno complessi del solito e un buon ritornello che si stampa subito in mente:

My descent is the story of everyman
I am hatred, darkness and despair


Salvo poi arrivare a quell'orribile Share my sacrifice! ripetuto più volte che, francamente, suona abbastanza banale e poco efficace. Persino le clean vocals del solito Vortex, sempre state fino ad allora punta di diamante della produzione della band da Spiritual Black Dimensions in poi, risultano meno emozionanti, se non addirittura fuori scritte male e fuori posto come in The Chosen Legacy. Il discorso fatto per The Serpentine Offering, comunque, può valere per tutto il disco: i synth vengono lasciati più in secondo piano rispetto alle uscite precedenti, le chitarre suonano riff più thrash e l'unico elemento che brilla davvero è la prova dietro alle pelli di Hellhammer, preciso e letale come sempre. In Sorte Diaboli risulta, dunque, un disco qualitativamente peggiore di tutti gli altri prodotti fino ad allora dalla band, tanto che a “vincere” il premio come miglior canzone del disco insieme alla succitata opener, è sicuramente The Fallen Arises, una strumentale in realtà molto semplice ma decisamente ben realizzata.
La critica l'ha accolto in realtà non poi così male, ma risulta evidente come le idee in casa Dimmu Borgir stavano cominciando a scarseggiare.

Born Treacherous
Ad oggi, Abrahadabra, a distanza di ormai 7 anni, è l'ultima fatica in studio della band norvegese, ed ancora una volta al suo tempo rappresentò l'ennesima rivoluzione per i Dimmu Borgir. Dopo “The Invaluable Darkness Tour”, infatti, non solo lasciò la band Hellhammer che non aveva neanche partecipato al tour per problemi fisici, ma ci fu l'abbandono anche di due figure che ormai sembravano imprescindibili per il combo norvegese: Vortex e Mustis si allontanarono (o vennero allontanati) dal gruppo in circostanze ancora oggi non chiare in termini assoluti e sicuramente non in rapporti sereni.
Aldilà di queste vicende extra-musicali, da allora ancora oggi nucleo fondamentale della band sono rimasti Shagrath, Silenoz e Galder, che si sono però circondati di guest di un certo livello: Daray (ex-Vader) dietro alle pelli, Cyrus dei Susperia e Gerlioz (alias Geir Bratland degli Apotygma Berzerk) alle tastiere. Per Abrahadabra al basso venne reclutato Snowy Shaw che registrò anche qualche clean vocal, ma anche lui tagliò presto i ponti con la band in circostanze ancora una volta non ben chiare. Inoltre tornò ad affiancare il combo un'intera orchestra, stavolta la Norwegian Radio Orchestra, nonché addirittura lo Schola Cantorum Choir.
Si narra che la stessa orchestra dovesse suonare con i Dimmu Borgir agli Spellemannsprisen nel 1998 (era stata scelta la canzone The Insight and the Catharsis), ma che poi avesse rifiutato a causa del messaggio satanico presente nei testi e che addirittura un membro della band fosse finito in una rissa con un membro dell'orchestra, ma nulla di tutto ciò è mai stato confermato in maniera ufficiale.
Tornando al disco, con una tale mole di cambiamenti, ovviamente Abrahadabra risulta un album molto diverso dal suo predecessore, e sembra più ricollegabile, invece, a Death Cult Armageddon, senza però raggiungere la qualità artistica di quel platter. Dal punto di vista delle idee e del songwriting (in declino entrambi), infatti, non è cambiato molto rispetto ad In Sorte Diaboli, per non parlare di trovate palesemente commerciali come il nuovo look adottato dalla band e la presenza in ben due brani, tra cui il singolo Gateways, di Agnete Kjølsrud, totalmente fuori luogo a mio avviso.
Detto questo, c'è da dire che una band di tale esperienza qualche buona idea riesce sempre ad uscirla dal cappello, e arrivano dunque pezzi di buonissima fattura come l'eponima Dimmu Borgir, mid-tempo solido ed epico, ma soprattutto Born Treacherous, brano aggressivo e veloce in cui la veemenza dei riff in tremolo e dei blast beat non escludono la presenza di un chorus abbastanza azzeccato e non pacchiano; inoltre c'è da dire che per tutta la durata del disco sia l'orchestra che il coro, che poi accompagneranno la band spesso anche in sede live, fanno un lavoro davvero egregio. La presenza di questi buoni elementi non risolleva però le sorti del disco, in cui ancora una volta la mancanza di idee fresche in fase di composizione e arrangiamento si fa sentire eccome, e dunque ci troviamo di fronte ad un altro lavoro non all'altezza del nome di questa grande formazione…

TIRIAMO LE SOMME...
Dunque, nonostante una parabola discendente a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, che li si ami o li si odi, non si può negare l'importanza che hanno rivestito i Dimmu Borgir in ambito black metal, che hanno contribuito a portare in una veste meno strettamente underground (se questo sia un male o un bene ognuno è libero di deciderlo) con lavori di tutto rispetto che si meritano un posto tra i migliori dischi del genere. Quindi, anche se le ultime prove non abbiano certo fatto gridare al miracolo, nulla toglie che il nuovo disco, che a sentire la band non dovrebbe tardare ancora molto ad uscire, sarà uno dei più aspettati nei prossimi mesi nell'intero panorama metal. Staremo a vedere se torneranno in grande stile come ai vecchi tempi o se sarà il definitivo segnale di una band che ha smesso da tempo di vivere i suoi anni migliori. Ai posteri l'ardua sentenza!

…Left are the kings of the carnival creations
For we are the ones carrying out the echoes of the fallen...



Tiradipiuunpelodifiken
Lunedì 19 Giugno 2017, 8.47.57
1
Io faccio parte di quelli che ritengono EDT il miglior disco sympho black di sempre, capolavoro impareggiabile, inimitabile, irraggiungibile per chiunque, anche per gli autori stessi, un mix di complessità e immediatezza che tutti gli altri possono solo sognare di imitare. Purtroppo tutto ciò che viene dopo, dall'aumento della componente sinfonica inquietante e apocalittica rispetto all'epicità, dall'aumento della componente thrash detah, e soprattutto dal calo di songwriting, niente è stato anche solo LONTANAMENTE paragonabile a quel capolavoro. Non so come cazzo si faccia ad apprezzare i lavori successivi, che sono un ammasso di suoni a caso senza una struttura melodica che permetta di ricordare minimamente qualcosa, per non parlare delle clean vocals agghiaccianti...un gruppo che si è rovinato con le sue stesse mani dopo un capolavoro epocale
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