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HateSphere - Ballet of the Brute
( 1960 letture )
Nati nel 1998 dalla mente di Peter “Pepe” Hansen, gli HateSphere sono sempre stati caratterizzati dall’attento e ponderato bilanciamento di elementi death e thrash nel loro sound personale. La passione per entrambi i generi, unita a una realtà discografica che non era rosea né per il death metal, né tantomeno per il thrash, ha permesso agli HateSphere di raggiungere un buon livello nell’accezione metallica comune con il loro ibrido che cerca di unire una potente brutalità a una travolgente melodia, simili eppure differenti rispetto alle scene melodic death che avevano preso piede in quegli stessi anni nei paesi nord-europei. Nel primo contratto firmato dalla band, valido per tre album a partire dal self-titled del 2001, il terzo e ultimo a uscire sotto Scarlet Records è il qui presente Ballet of the Brute. Dopo quindici anni di carriera e otto album, con una line-up attuale che mantiene il solo Pepe come membro originario, non risulta sbagliato né tantomeno azzardato definire questo album uscito nel 2004 come il punto più alto della loro intera discografia, subito seguito a ruota dal successivo The Sickness Within.

The Beginning and the End ricopre il ruolo di semplice intro, malgrado la sua durata superi di qualche secondo la traccia successiva, la breve e devastante Deathtrip. In questi quattro minuti complessivi, la maggior parte degli elementi caratterizzanti gli HateSphere vengono messi in mostra con innata brutalità e meraviglioso senso melodico. Il drumming compatto e vario di Anders Gyldenøhr nell’intro la fa da padrone sul riffing prettamente heavy delle chitarre, salvo poi sfociare in una vera e propria cannonata thrashy nel secondo brano. I tre strumenti a corde si accavallano con devastante prepotenza, mentre la cruenta voce di Jacob Bredahl vomita il refrain del brano con efferatezza, stagliandosi a metà tra un growl gutturale e un isterico scream. Malgrado l’incessante ricerca della brutalità, in quella mistura di generi che non ha mai reso facile la catalogazione della band, non mancano elementi più orecchiabili e melodici che contrastano vistosamente con l’immanente violenza targata HateSphere. In Vermin, le vocals dialogano tra loro su un canovaccio prettamente scream, senza privarsi di un botta e risposta tra il clean e il growl tipicamente brutal death. Appare dunque lampante che i nostri cinque danesi non si vogliono porre limiti e non sembrano ricercare un’etichetta che li possa identificare all’interno di un genere prestabilito, saltellando da un canonico thrash agli elementi più brutal del metallo della morte. Tenendo presente l’anno in cui questo album è uscito, ormai una decade fa, bisogna rendersi conto di come Ballet of the Brute rientri tra i primi album con tali sperimentazioni a raggiungere un così elevato livello qualitativo. Tra le possenti mazzate che caratterizzano tutto l’album, spiccano veri e propri lampi di genio melodico in grado di sollevare ulteriormente la qualità del prodotto finale. Passando per la cadenzata Only the Strongest, dall’atteggiamento strumentale tendente al groove e le vocals prettamente death, si giunge alla meravigliosa doppietta What I See I Despise - Last Cut, Last Head, vero e proprio simbolo riassuntivo della scuola HateSphere: la prima si fa portatrice di sonorità maggiormente thrashy e ingloba dentro di sé uno scambio solista tra le due asce di altissimo livello, alla fine del quale viene messo in mostra il sismico basso in un giro cadenzato e orgogliosamente dedito all’headbang; la seconda, invece, è portatrice dell’assolo melodico più trascinante e coinvolgente che sia mai uscito dalle corde di Pepe Hansen. Dopo una doppietta del genere, il resto dell’album scorre via con la pesantezza adeguata, offrendo ancora una bella dose di headbang nella conclusiva 500 Dead People senza mai scadere nel noioso, grazie al longevo songwriting del chitarrista danese.

Con Ballet of the Brute ci troviamo di fronte al masterpiece degli HateSphere, uno di quei dischi che non possono essere inseriti di diritto nelle pietre miliari di un genere musicale, ma che hanno permesso a una band di buon livello di ottenere un altrettanto valido riscontro da parte di critica e pubblico. Recentemente, la band sembra aver perso quel tocco d’ispirazione e quel tipo di songwriting che ha reso grande questi primi album: le motivazioni sono molte, prima tra tutti un genere che non permette di stupire ogni volta l’ascoltatore e che è fortemente incline alla noia nel caso in cui l’ispirazione non sia a livelli più che ottimi. Malgrado questa recente piega verso il basso, il lascito offerto dal disco in questione e dal suo successore è talmente buono da incensare il nome HateSphere e da rendere loro l’onore di aver portato alla ribalta un genere grazie alla semplice e sconfinata passione musicale. Ballet of the Brute è l’album maggiormente consigliato a chiunque voglia avvicinarsi agli HateSphere e alla loro proposta, così come è un obbligo discografico per tutti gli amanti delle sonorità più caustiche del death/thrash.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
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LAMBRUSCORE
Martedì 29 Settembre 2015, 20.18.28
1
Per me inferiore ai primi 2 ma accettabile. In certi riff mi ricordano molto un gruppo che conosciamo in 4, ahah, i Defleshed, anche loro non dei grandi innovatori ma a me certi dischi piacciono parecchio. Questo per me non va oltre il 70, forse colpa anche dei pochi assoli, peccato, sanno suonare e mi aspettavo di più anche dalla chitarra solista...
INFORMAZIONI
2004
Scarlet Records
Death / Thrash
Tracklist
1. The Beginning and the End
2. Deathrip
3. Vermin
4. Downward to Nothing
5. Only the Strongest…
6. What I See I Despise
7. Last Cut, Last Head
8. Warhead
9. Blankeyed
10. 500 Dead People
Line Up
Jacob Bredahl (Voce)
Peter “Pepe” Hansen (Chitarra)
Henrik Bastrup Jacobsen (Chitarra)
Mikael Ehlert Hansen (Basso)
Anders Gyldenøhr (Batteria)
 
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