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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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17/10/2015
( 1863 letture )
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Welcome, my friend (Now) it's you and I Do you sense the eye that watches you? Can you feel her muted scream? This is our very own horrid dream
Siamo nel 2005. Sono passati ormai quattro anni dall'uscita di World of Glass, primo disco dei Tristania in seguito all'abbandono di Morten Veland, figura fondamentale nell'economia di una band in grado di pubblicare capolavori del calibro di Beyond the Veil e Widow's Weed, ancora oggi considerati -con merito- come pilastri del gothic. L'abbandono di una figura così pesante sul piano compositivo portò inevitabilmente la band ad attraversare una lunga fase di cambiamento, culminata soltanto nel 2010 con Rubicon, album portatore, oltre che di una definitiva nuova formula, anche di un notevole sconvolgimento in line-up, tale da lasciare soltanto due superstiti della formazione storica (Einar Moen e Anders Hidle).
Il qui presente Ashes si trova esattamente al centro dei tre dischi di transizione (il già citato World of Glass e il successivo Illumination), ed è probabilmente quello in cui si consuma il distacco più netto dei norvegesi delle proprie origini. Il sound dei Tristania in Ashes va infatti indiscutibilmente alleggerendosi, non tanto per quanto riguarda la cattiveria di certi passaggi (già solo l'apertura del disco con lo screaming di Kjetil Ingebrethsen in Libre è un biglietto da visita notevole in tal senso), ma per la densità degli arrangiamenti. È difatti quello che "manca" nelle canzoni di Ashes a colpirci, forse più di quello che invece possiamo sentire: sono quasi del tutto spariti i cori gregoriani che così tanto affollavano gli episodi precedenti, si sono notevolmente ridotte le partiture orchestrali che -con fare magniloquente- guidavano intere canzoni e l'approccio al canto di Vibeke è via via sempre più lontano dal lirico. La cantante norvegese è certo autrice di una prova precisa e sempre molto sentita, ma decisamente più moderna nello stile e con l'aggiunta di piacevoli parti "eteree" piuttosto acute; il lirico dunque è passato in secondo piano, con brevi passaggi spesso limitati ai controcanti. È proprio parlando di cori e controcanti che si possono notare le differenze maggiori nell'approccio alla composizione dei Tristania: mancando momenti corali così "affollati", il trittico di voci -composto dai già citati Kjetil e Vibeke e da quella baritonale di Østen Bergøy- assume improvvisamente una profondità maggiore, in cui i tre riescono ad alternarsi in modo efficace a seconda delle necessità, anche se sarebbe stato ancora più interessante sentire un maggior numero di intrecci armonizzati dei tre (come quello che possiamo sentire in The Wretched), che invece spesso si limitano a fare i cori a sé stanti nelle loro parti, senza l'ausilio degli altri. Non è rimasto immune ai cambiamenti nemmeno un membro fondamentale come Einar Moen, che ha ridotto sensibile il numero di layer dei suoi sintetizzatori, suonando questa volta parti più moderne e meno classicheggianti, con peraltro echi vagamente elettronici in quantità. Un approccio anche questo più "contemporaneo" e spartano che però non rappresenta di per sé un punto a sfavore dei Tristania, visto che, considerato il sound generale di Ashes, una quantità elevata di momenti orchestrali sarebbe suonata quantomeno fuori luogo. Alla sei corde, Anders Høyvik Hidle ha invece mantenuto buona parte delle sue "abitudini", proponendo un riffing granitico, con un certo uso del palm-muting nei momenti più spinti (quali The Wretched, Libre e Circus), privilegiando invece un incedere ad accordi pieni in un pulito leggermente effettato -misto a qualche sporadico momento solista- nei pezzi più tranquilli (Cure). La sezione ritmica composta da Rune Østerhus al basso e Kenneth Olsson dietro le pelli è invece piuttosto camaleontica, muovendosi sempre con una grande coordinazione nel tentativo di assecondare l'andamento di brani così diversi tra di loro. Nelle canzoni più intense Olsson si lascia spesso andare, mostrando di poter reggere senza problemi ritmi anche elevati, con incursioni possenti di doppio pedale e filler più corposi, mentre Østerhus doppia convinto le ritmiche di Hidle. Al contrario, nei pezzi più lenti è Olsson ad accompagnare in modo più pacato, lasciando libero Østerhus di creare linee più complesse, anche grazie al maggior spazio lasciato dalle chitarre.
La produzione appare bilanciata in quanto a volumi, ed è sostenuta da una batteria efficace, forse un po' troppo secca nella resa dei fusti (cassa soprattutto), non troppo ariosa sui piatti e in generale senza troppi fronzoli. Seguono delle chitarre ben presenti sia in quanto a corposità del suono, sia in quanto a timbrica della distorsione (mentre il pulito rimane invece un po' anonimo). Il basso e le tastiere sono al contrario un po' più indietro, ma riescono comunque a farsi sentire grazie ad un buon mixaggio che ha scavato nei punti giusti per far ben emergere entrambi gli strumenti. Infine, anche le voci sono ben prodotte, probabilmente a causa al minore "affollamento" dovuto al citato taglio dei cori.
Ashes è dunque un buon disco, che rappresenta un coraggioso cambiamento da parte di una band che, avendo prodotto ottima musica con una formula ben determinata, ha corso un grande rischio allontanandovisi. Sicuramente in certi aspetti non riesce a reggere il confronto con i suoi predecessori, anche per un discorso di "peso storico" (di cui è facile parlare oggi, a dieci anni di distanza), ma rappresenta un mutamento forse inevitabile per i Tristania, che probabilmente non sarebbero sopravvissuti continuando a riciclare sé stessi all'interno di stilemi troppo rigidi. Siamo quindi davanti all'innesco vero e proprio del nuovo ciclo della band norvegese, che inizia a recidere in modo convinto i ponti con il passato e a correre verso la sua fase moderna. Di per sé, Ashes è un disco forse un po' troppo eterogeneo nel suo voler alternare momenti più atmosferici e soft ad altri piuttosto tirati, tanto che si un po' fatica in certi momenti a percepirne il filo conduttore. Si tratta comunque di un album piacevole e che -oltre a dividere i fan tra amanti del vecchio ciclo e curiosi più aperti alle novità- ha sicuramente una suo valore nella carriera di una delle band gothic più importanti a cui la Norvegia abbia mai dato i natali. This is the darkest fight The fight of a thousand years The pounding of blood Through our veins In our veins In our eyes The circles of fears I cling to you Cling to me through the night
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4
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mah.....io penso che i Tristania con l'ultimo Darkest White abbiano sfornato un gran bel disco. |
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3
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Ricordo che all'epoca dell'uscita torsi non poco il naso, probabilmente la distanza dalla sacra triade precedente era troppa per le mie gothic orecchie talebane di allora... Poi però è partita la scintilla e sorprendentemente dai brani più soft (Cure e Shadowman), che ancora oggi reputo tra le migliori ballad del genere. Detto che, come scrive Room, in effetti c'è forse un po' troppa carne al fuoco che rischia di far perdere il filo conduttore, è impossibile non levare lodi di gloria per la prova stratosferica della Regina, che trasforma in oro ogni frequenza in cui decide di imbattersi. Considerata la genesi e l'esito tormentato di Illumination, la carriera dei Tristania per me si chiude di fatto qui, tacendo volutamente dell'ombra che oggi si aggira a parità di nome sul pentagramma...  |
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2
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Ottimo album, di un'altra ottima band che poi si è piano piano spenta. Con Beyond the Veil hanno composto un album fondamentale per il loro genere, ma anche questo si lasciava ascoltare bene |
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1
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Concordo con la recensione: album molto buono, ma il capolavoro dei Tristania per me è World of Glass. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Libre 2. Equilibrium 3. The Wretched 4. Cure 5. Circus 6. Shadowman 7. Endogenesis 8. Bird
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Line Up
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Vibeke Stene (Voce) Kjetil Ingebrethsen (Voce) Østen Bergøy (Voce) Anders Høyvik Hidle (Chitarra, Cori) Einar Moen (Tastiere, Cori) Rune Østerhus (Basso) Kenneth Olsson (Batteria)
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