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Tristania - World of Glass
21/04/2018
( 1983 letture )
Morten Veland. Prendiamo un gruppo di metal fans riuniti a cenacolo a discutere sui massimi sistemi, sediamoci tra loro ostentando disinvoltura e proviamo a gettare in pasto quel nome alle folte chiome fino a quel momento protagoniste di un dibattito sereno e pacato. Il consiglio amichevole è quello di guadagnare al più presto una collocazione fisica in piena sicurezza, considerato che quasi inevitabilmente avremo raggiunto l’effetto di scatenare uno dei flame a più alto tasso di partecipazione emotiva e parallela virulenza delle affermazioni, in grado di rompere amicizie inveterate e produrre strascichi nelle relazioni interpersonali per i mesi a venire. Iperbole a parte, il dato di fatto è che ci troviamo in presenza di un classico oggetto di discussione caratterizzato dai tratti della divisività e della tipica contrapposizione frontale tra fazioni l’una contro l’altra pentagrammaticamente armata.
L’oggetto principale del contendere, dato per quasi universalmente accettabile un punto di mediazione che riconosca il valore dell’artista di Stavanger quantomeno agli esordi della sua ormai ventennale carriera, ruota intorno al momento in cui il polistrumentista abbia cominciato ad abbandonare, se non proprio lo scranno più alto, almeno uno dei seggi più nobili della corte gothic su cui si era trionfalmente assiso negli anni a cavallo del cambio di millennio. In una simile parabola, uno degli eventi cardine per valutare anche a posteriori la portata di scelte che avrebbero segnato la storia di un intero genere, è stato l'abbandono della creatura di cui Veland era stato deus ex machina, sia pure per un lasso di tempo alla prova dei fatti decisamente contenuto.

Erano bastati infatti tre soli anni, ai Tristania, per imporsi sulla scena internazionale come una delle band di punta di un movimento che stava scrivendo in quegli stessi anni pagine memorabili, con i Theatre of Tragedy freschi reduci da una prova strepitosa del calibro di Aegis. In quello stesso 1998, però, i Nostri rilasciavano un album come Widow's Weeds, dimostrando di saper maneggiare la materia gothic con pari classe e profondità e riuscendo a ripetersi l'anno dopo con l'altrettanto convincente Beyond the Veil. Mentre tutti si aspettavano tappe ulteriori su un cammino segnato da pietre miliari già così significative, giungeva come un fulmine a ciel sereno la notizia della dipartita dalla band di Veland, con il classico, laconico comunicato che adombrava “insanabili divergenze artistiche” come motivo della scelta. La sfida per i “superstiti” si presentava dunque quanto mai impegnativa, dovendo ripartire praticamente da zero sul fronte del songwriting e della creatività, con l'obiettivo di non avviare l'infernale macchina del ripiegamento all'interno dei meccanismi consolidati del genere e la risposta arriva con questo World of Glass.
Le vicende biografiche che ne hanno preceduto l'uscita presupponevano quasi inevitabilmente una spaccatura nella critica e tra i fans della prima ora ed effettivamente i giudizi che hanno accolto l'album sono stati molto controversi, tra chi lo giudicava un'ombra più o meno pallida dei primi lavori e chi ne ha lodato lo spirito innovativo, nel tentativo di affrancarsi da un ingombrante padre nobile eclissatosi così improvvisamente. Per quanto ci riguarda, ci teniamo lontani non solo dalla prima ipotesi tout court, ma anche da qualsiasi tentazione di accettare proposte di compromesso nel nome del giusto mezzo e puntiamo decisamente tutte le carte sulla seconda interpretazione, al punto da considerare quest'ora di viaggio una delle vette assolute mai raggiunte da una band alle prese con la poetica gothic. A colpire fin dal primo ascolto, infatti, è la capacità di rinnovare una proposta senza stravolgerne i contenuti, inserendo contemporaneamente elementi in arrivo da registri disparati; pur potendo contare su una delle voci più “orchestrali” dell'intero metal panorama (il timbro da soprano di Vibeke Stene è da tempo oggetto di un vero e proprio culto, ingigantito dal suo precoce ritiro dalle scene e dall'annuncio di un ritorno perennemente rinviato), i Tristania hanno fatto di tutto per non farsi rinchiudere in quel recinto symphonic in cui pure avrebbero avuto garanzie di lunga vita e durata, con più che probabile gloria annessa.
Ecco allora un consistente accento posto sulla componente melodic death (peraltro già più che in nuce nel predecessore) e un timido affacciarsi, a tratti, di qualche refolo doom (di cui di lì a poco i Draconian si sarebbero incaricati di illustrare potenzialità e prospettive), ma, soprattutto, una sorprendente spolverata electro a confondere le acque della prevedibilità, con le tastiere utilizzate ereticamente, non dispiegate a tappeto bensì in funzione incalzante, a dettare ritmo e tempi. Quasi tutto, insomma, sembra disposto per tenere lontane le tentazioni enfatiche e magniloquenti che spesso si accompagnano alle declinazioni della materia gothic e anche gli inserti corali e le incursioni del violino, a conti fatti, non alterano un impianto che si regge su una muscolarità d'insieme mai in discussione.

Non ci mette molto, l'opener The Shining Path, a trasportarci in un mondo dai colori vividi che racconta gli ultimi istanti di una strega destinata al rogo ma, là dove ci aspetteremmo una narrazione tragica incentrata sulla protagonista, la musica sottolinea gli elementi teatrali della scena, in una sorta di indiavolato rimando alla molteplicità delle voci presenti allo “spettacolo”. Il latino dei cori e un cantato di Vibeke ora epico ora quasi trasognato conferiscono alla successiva Wormwood la palma di brano più sinistro del lotto, ma non manca lo spazio per un delicato ricamo del violino che interrompe il flusso narrativo e ci lascia come sospesi, preda del senso di vertigine che è del resto uno dei canoni dell'architettura gotica. Non fallisce l'obiettivo neanche la successiva Tender Trip on Earth, peccato solo che un finale stranamente anonimo tarpi un po' sbrigativamente le ali a uno spettacolo in cui Vibeke aveva disegnato arabeschi intrisi di sconfinata tristezza. Il passaggio meno artisticamente brillante dell'album si concretizza con Lost, dove forse i Nostri osano troppo, tentando di innestare “momenti gregoriani” su una trama quasi techno e finendo così per risultare troppo declamatori e ampollosi, ma il passaggio sotto quelle tempestose forche caudine fa risaltare ancora di più il momento lirico per antonomasia del platter, incarnato da Deadlocked; una linea melodica semplicissima, una voce angelica, un'atmosfera rarefatta, è il mondo che ci aspetta alla fine del nostro viaggio terreno o il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere qui e ora e invece non sarà mai?
Detto di una Selling Out con cui si riprende lentamente quota sul piano del ritmo senza rinunciare a tocchi malinconici (cantato femminile e violino diventano prevedibilmente gli assi portanti, ma spendiamo volentieri una nota di merito per le voci maschili, con la coppia Hidle/Barkved a gestire sapientemente growl e clean), i Tristania non disdegnano una doppia escursione di grande impatto in territorio “teatrale/avantgarde”, prima grazie alle spire barocche di Hatred Grows, per tuffarsi poi con la titletrack in un impasto a buon tasso sinfonico (qui tocca a Østen Bergøy presidiare con profitto il fronte del clean, come per la maggior parte della tracklist). Ma se qualcuno fosse alla ricerca della prova definitiva per certificare l’attitudine da palco della band, il consiglio è puntare sulla conclusiva (nell’edizione standard) Crushed Dreams: un’andatura narrativamente intensissima, tocchi di violino spettrali, Vibeke alle prese con il versante recitativo del canto, tutto è finalizzato ai fuochi d’artificio finali, in cui cori epicamente enfatizzati dall’uso del latino illuminano a giorno il palco prima della calata del sipario, a precedere una a questo punto inevitabile standing ovation in sala.
Con Crushed Dreams si chiude la tracklist ufficiale, ma lo slipcase rilasciato dalla Napalm Records ha un’ultima perla da offrire, nei panni di quella The Modern End che, semplice cover di un brano tutt’altro che trascendentale della band norvegese Seigmen, rivela la capacità dei Tristania di lavorare anche nell’altra metà del cielo gothic, quella più eterea e diafana in cui impalpabilità e dissolvenze interrompono la comunicazione con la realtà e ci trasportano in dimensioni parallele segnate da turbamenti appena accennati e malinconici abbandoni.

La migliore risposta possibile alla sfida lanciata dalle insondabili traiettorie dei percorsi biografici intorno a cui si gioca il destino artistico di una band, un lavoro che tiene lontani comodi luoghi comuni e combina in forme sempre nuove e mai banali elementi classici del genere e coraggiosi tocchi personali, World of Glass è un album che merita a pieno titolo un posto tra le stelle fisse della gothic costellazione. Sul futuro dei Tristania si sarebbero presto addensate nubi minacciose, figlie di ulteriori sconvolgimenti nella line up e di scelte controverse, ma pochi altri gruppi sulla scena possono comunque rivendicare con orgoglio di aver brandito lo scettro di un genere così a lungo… e con pari merito.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
79.25 su 8 voti [ VOTA]
duke
Sabato 28 Aprile 2018, 15.03.52
19
buon disco....ma io ho sempre preferito il primo widow's....
ObscureSolstice
Mercoledì 25 Aprile 2018, 20.16.23
18
Ho ascoltato tutti e tre i loro dischi, Flowerdust, Intoxication, Equilibrium. Bravi! Sonorità molto classiche, di elementi pesanti, o operistici non ce ne sono, solo atmosfere gotiche come si spettano. Il classicismo e la voce opprimente emozionale mi hanno quasi ricordato i Type O Negative nel metal
velvet
Mercoledì 25 Aprile 2018, 19.47.55
17
@Obscure, se ti piacciono mi fa davvero piacere! Sono quasi trent' anni che i miei amici mi prendono per il culo perché li ascolto , chiedendomi come faccio ad ascoltare "questa merda"! Comunque anche secondo me sono molto più vicini al gothic "classico".
ObscureSolstice
Mercoledì 25 Aprile 2018, 19.31.25
16
@velvet, Fantastici! a me sembrano gothic rock di quello puro
velvet
Mercoledì 25 Aprile 2018, 18.30.31
15
@Obscure ti posso dire che con i Celestial Season, hanno forse poco a che fare. Il loro suono è molto "ammorbidito" dalle tastiere, chitarre meno pesanti, una componente sinfonica molto più presente e una voce "growl" molto riverberata. Sebbene in genere vengono catalogati nello stesso genere (doom - gothic), le differenze sono molte. Ma a me piacciono comunque
ObscureSolstice
Mercoledì 25 Aprile 2018, 15.31.55
14
@velvet, non mi sovvengono. Come detto dipende che tipo di gothic è, se più tradizionale o più con linee pesanti sul doom marcate col death. Proverò a darci un ascolto
velvet
Martedì 24 Aprile 2018, 20.38.12
13
Certo @Obscure, perfetto. In linea con il mio pensiero. Mai ascoltato i Catherines Cathedral? Se si cosa ne pensi?
ObscureSolstice
Martedì 24 Aprile 2018, 15.30.49
12
@velvet #8: i Celestial Season li reputo più un doom gothico appunto, li metterei tra la frangia con i My Dying Bride dove la sinfonia non è presente, ma c'è la componente più pesante. Sempre della famiglia gothic è comunque, ma con caratteristiche diverse
ObscureSolstice
Martedì 24 Aprile 2018, 15.18.10
11
#10: anche negli anni '80 davano inutili termini doppi, non è cambiato niente da ora a prima. Comunque grande duttilità Zolfo, questo disco lo comprai perché questo dei pochi gruppi i Tristania, con i Theatre of Tragedy che possono avvicinare chiunque. Ma negli anni '90 erano il massimo splendore. Sempre in scandinavia, i primi avanti in europa a utilizzare elementi di musica classica operistica nel metal (Yngwie Malmsteen docet.). Vibeke è un fiore...la reputo una delle migliori voci femminili e artiste di questo settore. Nessuna come lei.. Nessuna...
Titus Groan
Martedì 24 Aprile 2018, 13.23.41
10
E' vero negli anni 90 non esisteva il termine Gothic per catalogare capolavori come il primo disco dei Celestial Season con una bellissima rosa rossa in copertina. Bei tempi quando queste bands erano definite Doom nelle recension di Metal Hammer, mentre oggi con tutte queste definizioni di generi sottogeneri e sub generi si e' veramente esagerato
Tevildo75
Martedì 24 Aprile 2018, 13.07.43
9
Questo album ed il primo sono due grandi capolavori,poi purtroppo si sono persi
velvet
Domenica 22 Aprile 2018, 16.53.19
8
@Beta ti consiglio vivamente "Solar Lovers" dei Celestial Season. All'epoca era classificato come Doom, ma per me è anche molto Gotico , se è il genere che preferisci . Comunque se apprezzi questo World of glass, dei Tristania, credo proprio che "Solar Lovers" non ti deluderà . Ciao Beta.
Beta
Domenica 22 Aprile 2018, 16.36.41
7
Velvet: no,mai sentiti Gothic?
velvet
Domenica 22 Aprile 2018, 16.26.58
6
@Beta mai ascoltato i Celestial Season?
M. G.
Domenica 22 Aprile 2018, 15.38.35
5
Per me World of Glass è in assoluto il miglior album dei Tristania, un capolavoro senza tempo. Seguono Beyond the Veil e il sottovalutato Ashes.
Beta
Domenica 22 Aprile 2018, 12.27.52
4
Per me la triade Widow's Weeds, Beyond the veil e World of Glass è veramente superba, tre ottimi dischi Gothic; sono una di quelle persone che reputa l'ultimo di questi,nonostante l'abbandono del mastermind, per niente inferiore ai precedenti. Purtroppo, dopo di lui, il declino progressivo (per fortuna interrotto con Darkest White). Concordo con recensione è voto.
Sicktadone
Sabato 21 Aprile 2018, 17.12.20
3
Capolavoro
valz
Sabato 21 Aprile 2018, 15.24.14
2
all'epoca aveva fatto un po' storcere il naso per la svolta più "commerciale" rispetto ai precedenti plumbei dischi (capolavori del genere). ma bisogna dire che anche questo, musicalmente è davvero notevole.
Alessio
Sabato 21 Aprile 2018, 14.23.24
1
Non sono mai andato oltre ( in acquisti ) a widow's weed. Quello e' un supercapolavoro del gothic piu plumbeo. Magari più in la proverò a sentire anche questo.
INFORMAZIONI
2001
Napalm Records
Gothic
Tracklist
1. The Shining Path
2. Wormwood
3. Tender Trip on Earth
4. Lost
5. Deadlocked
6. Selling Out
7. Hatred Grows
8. World of Glass
9. Crushed Dreams
10. The Modern End
Line Up
Vibeke Stene (Voce)
Anders Høyvik Hidle (Chitarra, Voce)
Einar Moen (Tastiera)
Rune Østerhus (Basso)
Kenneth Olsson (Batteria)

Musicisti Ospiti

Ronny Thorsen (Voce)
Østen Bergøy (Voce in tracce 1, 2, 3, 7, 8)
Jan Kenneth Barkved (Voce in tracce 6, 9)
Pete Johansen (Violino)
 
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