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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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08/04/2016
( 3880 letture )
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Sin dai tempi della loro comparsa i Wolfmother hanno diviso pubblico e critica per la loro palese ispirazione al rock settantiano che tante perle ci ha lasciato in eredità, e in molti hanno accusato il mastermind Andrew Stockdale di essere fin troppo derivativo nelle proprie composizioni: se da un lato tale fatto è più che evidente, dall'altro non si può negare che il debut omonimo era un album di qualità eccelsa che ha regalato alcuni brani diventati degli instant-classic. E proprio agli esordi guarda il gruppo australiano, che con Victorious cerca un ritorno alle origini del proprio sound, sempre volto al passato fin dalla grafica del logo: particolare simpatico, il disegno dell'evocativa copertina del platter in questione è stato presentato sul web disadorno e quindi colorato dai fan tramite un'apposita app attraverso un contest lanciato dal gruppo stesso. Una delle maggiori differenze rispetto all'album precedente è sicuramente la produzione, affidata al guru del mixer Brendan O'Brien, (mentre New Crown era un disco autoprodotto e va detto che proprio quel particolare sound, che si attagliava perfettamente a canzoni meno solari rispetto al solito, era una delle sue peculiarità più affascinanti). Qui si va invece sul sicuro, essendo O'Brien uno dei più stimati professionisti del settore in ambito rock, e i risultati si sentono: il produttore infatti ha saputo donare quell'aura scanzonata a brani allegri e tendenzialmente spensierati, completando così il quadro tipicamente 70's che Stockdale ha dipinto sulla sua tela-spartito. Già, perché -tanto per cambiare- è proprio Andrew ad essersi occupato interamente del songwriting delle tracce, relegando il polistrumentista Ian Peres alle sole tastiere e avvalendosi di due ospiti per le parti di batteria (Josh Freese è noto per essere membro dei Devo e per aver collaborato con decine di altre band). Anche in questo quarto capitolo la formula non si discosta da quella solita: riffoni esagerati di chitarra pieni e potenti con un basso che ricama sotto una fittissima trama di note, un vocalism squillante che raggiunge picchi elevatissimi e un'attitudine assolutamente seventies che non bada troppo a modernismi che in tale contesto forse stonerebbero: insomma un'esplosione di sonorità calde e colorate come accadeva ai bei tempi. Il Wolfmother-sound, è risaputo, è tipicamente figlio dei solchi tracciati dai Grandi del passato, una sorta di mix tra Led Zeppelin e Black Sabbath -il motivo trainante della lisergica Happy Face sembra una Paranoid edulcorata- ma per un attimo sembrano far capolino addirittura i Queen (uno dei riff presenti in The Simple Life ricorda molto quello di Back Chat): volendo fare il gioco delle citazioni sicuramente salteranno fuori qua e là altri passaggi che possono sapere di già sentito -del resto cosa rimane ancora da inventare?- ma dare eccessivo peso a ciò non renderebbe giustizia al notevole sforzo di Andrew, il quale ha comunque trovato fin dagli inizi un suo stile e una propria dimensione musicale. Efficacissimi il chorus e l'organo di Baroness, trascinanti nel loro incedere sia l'opener che la title track, mentre Best of a Bad Situation è gioia pura, una di quelle canzoni che balleresti a piedi nudi sull'erba verde di un prato godendoti il tiepido sole primaverile. Psichedelia e prog si incrociano in Eye of the Beholder -nessuna parentela con il pezzo dei Metallica, ovviamente- il brano più particolare del lotto e con un'eco epica a definirne il gran carattere, sicuramente uno degli highlight del disco; ma vale senz'altro la pena anche segnalare le atmosfere sognanti create dai Wolfmother quando depongono la chitarra elettrica in favore di quella acustica (Pretty Peggy). Insomma non c'è un pezzo che possa essere definito riempitivo, ogni traccia lascia qualcosa di sé denotando una grande qualità di fondo. Qualcuno aveva visto in New Crown un passo falso della band, ma quel disco andava apprezzato soprattutto nel contenuto piuttosto che nella forma: come detto, con Victorious i Wolfmother tornano alle origini ripulendo il proprio sound e scrivendo pezzi divertenti che sprigionano positività da ogni nota. I 35 minuti dell'album, diretto e coinvolgente, volano via in un attimo, le dieci canzoni che compongono la tracklist sono relativamente brevi e molto easy-listening, ma la loro "leggerezza" non deve essere vista come un difetto: la band sa suonare hard rock come si deve e -cosa ancor più importante- Stockdale si conferma autore di belle canzoni con parti di chitarra quanto mai efficaci senza essere eccessivamente complicate o "ragionate", ma fondamentalmente semplici; in una parola questi pezzi hanno personalità, e in fondo è questo che si chiede a un disco di sano rock. Non è cosa di poco conto, no?
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3
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Secondo me questo disco è una sorta di reset per i Wolfmother, un nuovo inizio dopo un po' di casino (giusto testamatta ride) di cui la brevità e la leggerezza, ci sta. Brutto non è, non diciamo cazzate dopo aver sentito un singolo, è un bel disco perchè Matoocc dice giusto, il talento c'è è si sente tutto, anche qui dove non vanno molto oltre il sette, in onestà, ma cominciano a riprendersi. Sono una grande band, Stockdale è un grande stronzo ma ha un talento enorme, il debut è un altro gran bel disco ma il capolavoro dei Wolfmother è Cosmic Egg senza la minima ombra di dubbio ed a qualunque metallaro può piacere più del debut, che è un disco un po' più ostico e con meno parti veloci o trascinanti. Cosmic Egg, soprattutto in limited perchè ha bonus track da sbancare billboard, è uno dei migliori dischi in assoluto che ho sentito. Questo Victorious finalmente comincia a restituirci quella stessa grande band, forse timorosa di strafare dato che le riesce facile... li ho visti dal vivo e perez è un animale allucinante indistinguibile da un primate se non si rade tanto salta e gesticola mentre suona due strumenti...
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2
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Stockdale ha rovinato tutto quando ha deciso di smantellare l'ottimo ed affiatato trio che erano sul grande album d'esordio (o cmq gli altri due membri decisero di mandarlo a quel paese, non ricordo bene). Dopodiché c'è stata solo confusione, palesemente manifestatasi sui lavori successivi. Ho ascoltato il singolo Victorious e francamente lo trovo molto brutto. |
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1
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I singoli mi hanno detto veramente poco, ma questa recensione mi fa sperare. Gli darò una chance |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Love that You Give 2. Victorious 3. Baroness 4. Pretty Peggy 5. City Lights 6. The Simple Life 7. Best of a Bad Situation 8. Gypsy Caravan 9. Happy Face 10. Eye of the Beholder
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Line Up
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Andrew Stockdale (Voce, Chitarra, Basso) Ian Peres (Organo)
Musicisti Ospiti Josh Freese (Percussioni su tracce 1, 2, 3, 4, 7, 9 e 10) Joey Waronker (Percussioni su tracce 5, 6 e 8) Brendan O'Brien (Percussioni Addizionali, Organo, Piano e Chitarra)
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