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Elder - Lore
21/12/2018
( 2474 letture )
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal secondo al terzo full length in casa Elder. Da i tempi di Dead Roots Rising (2011), il trio di Massachusetts ha pubblicato due EP e un live, vagando alla ricerca di una maggiore consapevolezza stilistica. Nonostante l'omonimo esordio e il seguente disco del 2011 avessero un'attitudine tendenzialmente più lineare, basata principalmente su i canoni doom e stoner, l'attesa di quasi quattro anni si è rivelata ripagata degnamente. Si dice sempre che il terzo album sia un po' quello della maturazione stilistica e senza ombra di dubbio, gli Elder con Lore hanno fatto un salto di qualità encomiabile. In questo terzo full length gli americani hanno posto degli innesti stilistici soprattutto sulla componente progressive, alzando fortemente sia l'asticella della complessità dell'ascolto che della profondità compositiva. Non che i lavori precedenti fossero privi di sperimentazioni o di una venatura progressive che ha sempre contraddistinto la formazione, tuttavia mai come in Lore essa era stata messa in risalto, giocando un ruolo così principale.

Misticismo, epicità e strutture progressive in salsa stoner si celano dietro la meravigliosa copertina in sfumature di blu, in grado di trasmettere la stessa sensazione di eleganza e reverenza che si prova durante l'ascolto del platter. Fin dalle prime note -apparentemente incerte- di Compendium gli Elder trasmettono una sensazione di ignoto e profondità, pronta poi a esplodere verso un'idea di folklore remota ed epica. Numerosi cambi di tempo e riff a cavallo tra lo stoner e l'heavy metal più classico portano l'ascoltatore a scuotere immediatamente il collo. Risulta incredibile la capacità dei ragazzi, di passare a momenti più tirati e aggressivi, ad altri più morbidi e riflessivi. Un esempio eccellente si trova verso il quarto minuto abbondante, quando tutti gli strumenti vengono meno, per poi rientrare sul basso gonfio e distorto di Jack Donovan, accompagnato da un etereo arpeggio di chitarra. Nicholas di Salvo, chitarrista e cantante del gruppo, offre una buona prestazione vocale, per quanto quest'ultima non sia il punto forte del disco. Tutta l'ultima sezione del brano ritorna su i lidi iniziali mantenendo a lungo le atmosfere sospese, fino ad un ultima sfuriata finale dove i tempi si rallentano e la chitarra distorta sfuma morbidamente. Una partenza fiammeggiante che ci traghetta successivamente verso i lidi rilassati e introspettivi di Legend, Dopo una sezione iniziale di basso e chitarra, a cavallo fra il clean e il crunch, il feedback di una distorsione preannuncia in un attimo l'esplosione melodica e contenuta del secondo brano di Lore. Nonostante i tanti cambi ritmici e le scelte stilistiche del suono -ostiche da gestire in fase di missaggio e mastering- tutto il brano gode di una buona produzione, rendendo anche i volumi degli strumenti in grado di emancipare alcuni momenti del pezzo più di altri. Continuano a susseguirsi alternanze fra riff e arpeggi di natura prog anni settanta, fino ad uno stacco intorno al settimo minuto che richiama con prepotenza il blues e l'hard rock più classico. La ripartenza con i fiocchi viene condita da un bell'assolo di chitarra che porta nuovamente il pezzo verso lidi heavy/stoner. Siamo già a metà platter durante l'esecuzione di Lore. La titletrack è il capolavoro assoluto del disco e uno dei brani migliori degli Elder nonostante il minutaggio permanentemente in salita dei brani. Fin dal primo riff della lunga composizione l'atmosfera epica avvolge il pezzo, grazie ai caldi e psichedelici arpeggi che si posano -come se nulla fosse- su una batteria decisamente più aggressiva. Potremmo spendere davvero molte parole sull'apertura di Lore, ricca di dettagli: dagli stacchi a 1:15 che aprono le porte a un giro sognante e semplicemente bellissimo, arrivando alle sovra-incisioni di chitarra a fine battuta che gonfiano notevolmente il mood del pezzo. Anche il cantato lontano di DiSalvo, nonostante vocalmente non sia un miracolo, riesce a posizionarsi egregiamente all'interno del brano. Dopo appena quattro minuti abbiamo sentito di tutto a livello di soluzioni compositive e capacità di arrangiamento, tuttavia si ripete la prima strofa su un tempo decisamente più galoppante e di matrice heavy tradizionale a rincarare la dose. Intorno al settimo minuto tutto sembra fermarsi su delle bassissime e profonde frequenze che, nonostante il senso di cupezza, vengono immediatamente schiarite dai raggi di sole portati da un bellissimo arpeggio di chitarra. Segue anche la batteria a dare tono alla lenta risalita dalle tenebre, che culmina intorno al minuto dieci quando entrano anche gli archi per appena un paio di giri. Giù il cappello per uno dei climax più belli degli ultimi anni, capace di trasformare poche idee in qualcosa di sontuoso ed epico, nonché di fortemente emozionante. Dopo l'assolo di chitarra e dei momenti più ansiosi, vale la pena spendere qualche parola sul bellissimo finale, tanto ricco di lirismo quanto violento ed esaustivo. A dare quel senso ritmico e fare da ciliegina sulla torta vi è una placida chitarra acustica che rimane costante di volume mentre tutto il resto si abbassa lentamente. Dopo un trittico assolutamente eccellente, per il quale il voto finale del disco potrebbe rimanere immutato anche se il platter si fosse concluso alla fine della titletrack, abbiamo ancora due ottime canzoni. Deadweight -appena nove minuti- è la composizione meno longeva del platter e -ironia a parte- risulta tremendamente coincisa nelle sue intenzioni. Il pezzo propone un atmosfera decisamente meno cupa e più e rock rispetto ai brani precedenti, permeando tutto con riferimenti settantiani e venature blues. La struttura stessa risulta meno complessa, ma non per questo meno efficacie, porantdoci verso un momento di distensione totale grazie a un bellissimo fraseggio di chitarra intorno al quinto minuto e mezzo. Il lavoro di Matthew Couto, così come in tutto il disco, rimane stellare e titanico, in grado di offrire sempre delle tinte di varietà e dei filler veramente azzeccati. Nel finale, rumoroso e violento, l'idea viene allungata un po' troppo, tuttavia la resa finale del brano è senz'altro ottima. Dopo un ultimo giro di quello che è il riff portante del pezzo, veramente ben riuscito, veniamo traghettati verso il gran finale. Spirit at Aphelion si apre sulle note di una chitarra acustica arricchita da degli armonici eterei e sognanti, che danno una connotazione naturale e spirituale alla proposta musicale. La canzone è un'ottima sintesi del disco, manifesto di un gruppo che ha già raggiunto una maturità musicale/compositiva sconvolgente in relazione all'esperienza. Il breve innesto di archi a circa metà brano, seguito dal palm mute secco e veloce della chitarra crea un dualismo tra vintage/acustico e moderno/distorto meraviglioso, facendo combaciare le sonorità di metal moderno e alcune sfumature prog anni settanta. Nonostante le strutture complesse e il quinto brano decisamente longevo che ascoltiamo, gli Elder continuano a stupire e a non annoiare, mettendo infine la firma su un disco semplicemente ammaliante e bellissimo.

Che altro dire su un disco in grado di rendere perfetta la commistione di due generi apparentemente molto diversi come stoner e progressive? Lore è un lavoro tremendamente sincero nella sua dichiarazione di intenti, che non accetta compromessi. Pochi sono i dischi stoner con cinque tracce dalla media di dieci minuti l'una e gli Elder sono riusciti a incastonare nel loro stile tante venature che sono alle basi dei loro generi di riferimento, senza tuttavia banalizzarle con cliché noti. Lore non è di certo l'unico platter su questa lunghezza d'onda, tuttavia possiamo affermare con assoluta certezza che è senz'altro un disco in grado di raccogliere momenti più violenti e altri incredibilmente sognanti e profondi. Capolavoro di oggi e del domani.



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
95 su 5 voti [ VOTA]
No Fun
Martedì 26 Marzo 2019, 23.54.45
3
Anche il primo omonimo è un gran bel disco un po' più sludge/heavy doom! Grande band anche dal vivo
SkullBeneathTheSkin
Lunedì 25 Marzo 2019, 21.01.01
2
...ma "compendium" che diavolo di pezzo è? un trip-buto agli zep?! fenomenali, voto ok nella suo essere picco della band... tanta, tantissima roba anche dead roots stirring e reflections, avercene... ma il meglio è qui. Lo "sparo" di zep dell'opener vale il disco. Da paura, 93
Giaxomo
Venerdì 21 Dicembre 2018, 19.41.00
1
Consumato, consumatissimo. “Capolavoro dell’oggi e del domani”, hai detto bene, Michele. Poi hanno (quasi?) replicato col successivo. Fate un po’ voi. A ruota si consigliano: Weedpecker, King Buffalo e Lonely Kamel. Ovviamente, sempre del roster Stickman Records...😉 Grande Michele, corro sopra a riascoltarlo, ahahah!
INFORMAZIONI
2015
Stickman Records
Stoner
Tracklist
1. Compendium
2. Legend
3. Lore
4. Deadweight
5. Spirit at Aphelion
Line Up
Nicholas DiSalvo (Voce, Chitarre, Tastiere)
Jack Donovan (Basso)
Matthew Couto (Batteria)
 
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