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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Candlemass - The Door to Doom
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12/03/2019
( 5158 letture )
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Chi scrive chiede venia ai lettori. Chiede venia perché è scoppiato come una bomba, nel settembre 2018, il caso proveniente dalla creatura di Leif Edling. Un caso, che di fatto ha annullato ogni mio presupposto auspicato (buono o cattivo esso fosse…) nelle ultime righe della recensione dell’EP House of Doom, e che ha visto coinvolti, nello specifico, due dei vocalist più celebri – per ragioni diverse - che la Svezia abbia mai partorito. Il primo, Mats Levén, preso a c…insomma, licenziato improvvisamente dai Candlemass. Vedute stilistiche diverse fra lui e gli altri componenti? Dissapori personali con i membri storici? Scoop e gossip a parte, ché tanto la verità la sapranno solo loro cinque, management e pochi altri, è comunque un piacere annunciare che il cantante non è uscito con le ossa rotte da questa situazione, ma anzi, ha dato vita ad nuovo progetto (un altro, sì…) chiamato Skyblood, in cui figurano, tra gli altri, membri di Opeth (Martin Axenrot) e Therion (Nalle Påhlsson). In ogni caso, auguriamo a Mats buona fortuna per ciò che gli riserverà il futuro. Archiviata la parentesi “primo cantante”, una parentesi durata, ad onor del vero, sei anni, ma pur sempre infruttuosa, almeno dal punto di vista discografico poiché incentrata solo su live e uscite brevi, entriamo ora nel merito dando un nome a quella che è stata, presumibilmente, la vera bomba-news del settembre scorso: Johan Längquist. E poi “hype” fu: il disgustoso prestito più abusato degli anni ‘10 prese il largo in ogni dove. A rendere ancor più sfibrante quest’attesa, giunge pure la notizia che il “Riff Master” per antonomasia, Tony Iommi, sarà ospite con un assolo in Astorolus – The Great Escape.
E fu così che The Door to Doom cominciò a rivelarsi mese dopo mese, a partire dal singolo The Omega Circle, rivelatosi, tra l’altro, uno dei migliori tasselli del dodicesimo lungo dei Candlemass. Dopo trentadue anni rincontriamo Johan Längquist, sul quale è necessario spendere qualche parola. Dubbi leciti hanno afflitto i doomsters di tutto il mondo, su quella che sarebbe stata la prova del vocalist, rientrato tra i ranghi dopo un’era musicale. Si sa, il tempo è tiranno. Längquist, che storicamente parlando, è una delle voci doom per eccellenza (e i suoi emulatori abbiamo smesso di contarli da qualche anno…), ha assunto nel corso di questi tre decenni lo status di figura mitologica: incide con la band una pietra miliare del genere, Epicus Doomicus Metallicus, poi svanisce nel nulla. Da allora, i termini “culto” e “scuola” si conficcano a fondo nella propria figura. Nel frattempo, (approccio alla) musica e mondo cambiano. Settembre 2018: Längquist, ormai lontano dal music business, torna a ricoprire il ruolo che egli stesso aveva abbandonato nel 1987. Ma a quanto pare il tempo è stato clemente con il vocalist. Lo scriviamo nero su bianco, a caratteri cubitali: The Door to Doom ce lo riconsegna in forma smagliante, considerato il fatto che metà dei brani erano stati scritti per Mats Levén. The Door to Doom non si è rivelata una sgradevole operazione nostalgica, anche se, diciamolo, l’artwork potrebbe indurre a pensarla diversamente, poiché Johan Längquist non solo offre una performance riuscitissima, ma riesce pure nell’impresa di donare al lavoro in esame un certo fascino. Per cui, sì, optare per il ritorno dello storico vocalist si è rivelata una scelta azzeccata. Quasi per una naturale conseguenza, The Door to Doom, è un album dignitoso, non eccelso, ma un gradito ritorno, forse lungi dal far scattare quella scintilla che ce lo farà mettere in loop per un po’, ma che se ascoltato con la giusta concentrazione paleserà una band che, solo in parte, suona col cosiddetto “pilota automatico”. Ne spieghiamo brevemente i motivi: tutto funziona a meraviglia, non manca nemmeno qualche passaggio degno di nota che verrà evidenziato poi, ma in una serie di brani si avverte una carenza di emotività (strumentale) combinata ad un songwriting globalmente poco ispirato che va ad affossare un’altra porzione di spessore. Di freschezza compositiva non ne vogliamo e non ne vogliono sapere i Nostri, d’altronde questo sanno fare i Candlemass e questo pretendono i fan dalla band di Stoccolma: non è questa la più classica delle richieste del fandom metal? E così sia, ma non aspettatevi di balzare dalla vostra postazione d’ascolti gridando al miracolo. Avvertiti. Nonostante ciò, sarebbe intellettualmente disonesto definire The Door to Doom un flop, giacché, formalmente, si presenta come un lavoro che rispetta tutti i sacri crismi del genere, offrendoci una serie di brani ben distinti tra di loro, a patto di dedicargli una discreta quantità di ascolti. Portando un esempio tangibile, puntiamo il dito contro la traccia d’apertura, Splendor Demon Majesty, ultimo singolo rilasciato: introduzione per mano di feedbacks, ronzii e poi ritmiche spigolose di stampo heavy/doom impostate sulla tabella di marcia del mid-tempo vengono arricchite da atmosfere horror e da un giro pomposo nella sezione del chorus. Sarà pure una buona opener in sede live, volta a scaldare gli animi, ma come biglietto da visita risulta scontata. Più interessante, ma pur sempre acerba, si rivela, invece, la successiva Under the Ocean, che comincia (bene) a mo’ di semi-ballad ed esplode in un altro mid possente, dall’incedere violento, ben interpretato dal cantante redivivo e segnato nel mezzo da un bell’assolo heavy/doom di Mappe, secondo protagonista assoluto dell’opera, ma che globalmente sconfina in qualche minuto di troppo. Proseguendo, incontriamo il singolo Astorolus – The Great Escape, nel quale si ripete, all’incirca, la medesima situazione che vizia il brano d’apertura e il precedente: performance vocale ineccepibile, appaiata, però, ad un riffing spento, privo di pulsioni comunicative e…di un bel po’ di fantasia. Al che, Iommi si prende la scena e salva in calcio d’angolo l’intero brano con la sua sei corde - e neppure sforzandosi più di tanto - dati i “precedenti” solisti del chitarrista. Un altro déjà vu (in riferimento al solo avvio di Under the Ocean) lo riviviamo con Bridge of the Blind: i Nostri scaricano la loro sofferenza nell’unica ballata del lotto, guidati dal trio Längquist/Mappe/Lasse in grande spolvero e in grado di non far ripiangere i brani più movimentati e ad alto voltaggio elettrico. Brano promosso. Terminata la prima parte, dimenticatevi la chitarra acustica o altre ballate: Death’s Wheel inaugura una sequela di brani, in cui la fanno da padroni classe e ritmiche avvincenti che catturano l’attenzione dell’ascoltatore ancora perlopiù indifferente. Della suddetta traccia, poco si può dire: heavy/doom con più soluzioni stilistiche di Splendor Demon Majesty, con degli echi nel cantato di un certo Ronnie James Dio e dove ritroviamo ancora l’epico Mappe, qui dannatamente ispirato. A Black Trinity e al suo doom puro, vanno assegnati, a detta di chi scrive (mi piace vincere facile, direte voi…), una serie di premi: miglior riff, semplice, malvagio ed efficace, e miglior assolo. Le soddisfazioni non terminano qui, perché anche la doppietta successiva è sinonimo di qualità: è stato piacevole ritrovare House of Doom (che già aveva colpito in positivo chi scrive ai tempi di Levén, in veste di opener dell’omonimo EP rilasciato lo scorso anno), coi suoi orpelli liturgici e fraseggi heavy e che qui si concretizza pienamente grazie al “nuovo” timbro gentilmente concesso da Längquist, che la spedisce sul podio degli highlight di questo platter. Chiude nel migliore dei modi The Omega Circle, che con i suoi sette minuti riassume quanto sentito in The Door the Doom: dapprima imita l’incipit di Under the Ocean, poi è la volta di un arpeggio arcigno che evolve in una sezione opprimente che vira, a sua volta, verso refrain canticchiabili, bridge e assoli rock-oriented. Completa, a dir poco, marchiata dal gusto melodico del mattatore Mappe.
Schiettezza e onestà, prima di tutto: The Door to Doom è un album valido, ma allo stesso tempo disomogeneo. Paradossalmente, i brani che risollevano le sorti di un album, pervaso, comunque, dal tanto mestiere, com’è normale che sia, si trovano nella seconda metà, il che pare quasi un invito ad assaporare fino in fondo questo nuovo lungo. Trademark immutato, alcuni guizzi di classe perpetrati del duo Längquist/Mappe, un cantante in grado di sopperire ad alcuni deficit di chi “c’è sempre stato” e anche qualche passo falso sono i protagonisti di questo The Door to Doom, un album che lascia pochi spiragli d’infiltrazione ad altri generi e che riporta sotto i riflettori una band che ha fatto la storia del genere, senza stupire, ma senza annoiare, senza tradire, ma senza esaltare. Normale amministrazione e un qualcosa in più. E quel qualcosa, per tutti gli dei del doom, lo possiedono loro e pochi altri!
VOTO Prima Recensione: 70
The Girl With the Raven Mask, Death Thy Lover, The Doomsday Kingdom, Hurricane and Halos dopo una staffetta simile non si può negare che è stato un piacere dribblare la successiva “timbrata di cartellino” firmata Leif Edling (ci si riferisce a House of Doom), questo perché, a parte il primo titolo della lista, quanto recentemente partorito dall'estro del bassista svedese ha palesato un evidente arretramento sul versante qualitativo anche se, è bene precisalo, in nessun modo si deve parlare di un vero e proprio tracollo. Considerate le recenti mosse nella sua scacchiera, pare che il nostro Leif sia ben consapevole di non aver schierato i suoi pezzi a configurare un assetto vincente, tuttavia la partita è ancora aperta, non importa quali pedine sacrificare, quale sortilegio di un passato ormai remoto evocare, l'importante è trionfare nuovamente e sedersi su quel trono del doom che con sedicenza e petulanza si proclama di diritto di voler occupare pur oggettivamente non meritandolo. Dunque si riprendono le redini dei Candlemass, fuori il Mats Levén che, nonostante doti canore e curriculum invidiabili, ha concorso nel lascito dei due sbiaditissimi EP Death Thy Lover e House of Doom nonché di prove live che, pur contraddistinte da una professionalità indiscutibile, non hanno mai convinto in pieno (ci si riferisce soprattutto all'effetto della trasposizione della tonalità dei pezzi di cui è bene precisare Mats non sia diretto responsabile), dentro la leggendaria voce di quell'Epicus Doomicus Metallicus che rappresenta di fatto una delle colonne portanti (se non LA colonna portante) del doom: Johan Längquist. Ovviamente un espediente del genere avrà come inevitabile conseguenza un richiamo massiccio dei riflettori, ancor di più se si esegue integralmente in sede live Epicus Doomicus Metallicus come antipasto ma, soprattutto, se si utilizza come “richiamo visivo” dell'ultimo full intitolato The Door to Doom, ovvero il tassello in cui per la seconda volta dopo ben trentatré anni Längquist solca con la sua voce la musica partorita sotto il monicker Candlemass, una copertina che con sfacciataggine e lusinga ricalca gli stessi emblematici tratti effigiati nel suddetto capolavoro.
A dispetto della marea di aspettative che può comprensibilmente generare questo borioso tripudio di effetti speciali (tra i quali peraltro è doveroso menzionare anche la partecipazione di nonno Iommi come special guest nei gustosissimi assoli di Astorolus - The Great Octopus), i Candlemass continuano di fatto nel percorso musicale intrapreso nell'era in cui si assistette all'innesto nella line-up del formidabile Robert Lowe (a proposito Leif, grazie per aver concorso allo scioglimento dei Solitude Aeturnus...), azzerando dal punto di vista musicale quei richiami al passato effigiati solamente a livello visivo. Detto che in una siffatta scelta artistica non si annidano di per sé insidie destinate a condurre a una rovinosa caduta, a patto ovviamente di riuscire a offrire un risultato qualitativamente ragguardevole, non resta che verificare se in questo The Door to Doom (dovrebbe essere la porta della House of Doom? Che titoli, davvero senza parole...) vi risiedano delle corrispondenze...
Spetta a Splendor Demon Majesty il compito di farci intuire se effettivamente è avvenuto un cambio di marcia con l’affidamento a Längquist del comparto vocale; proprio in quest'istanza si avverte immediatamente come il timbro del singer svedese sia evidentemente mutato rispetto a quel punto di riferimento che inevitabilmente si palesa da un passato remoto. Linee cupe, striscianti ed insidiose con un bel colpo di coda sul refrain, non mancano certo gli elementi di discontinuità formale, ma la classe, quella sicuramente sì, rimane immutata e diviene il mezzo principale per fare la differenza sui riff arcigni che costituiscono l'ossatura del pezzo, sebbene ad essi si alternino alcune transizioni heavy che inevitabilmente ne annacquano la resa complessiva. Più strutturata ed al contempo coerente nelle sue alternanze tra inserzioni più sommesse (su cui si erge il lirismo esemplare stillato dall'ugola di Längquist e in cui si rivela piuttosto strano riscontrare qualche sentore di Avatarium, idem a partire dai 4:15 di Death's Wheels o a 2:30 di The Omega Circle) e quelle più spietate e convulse, si rivela la successiva Under the Ocean, a cui seguono le inflessioni marcatamente doom di Astorolus - The Great Octopus, brano indubbiamente piacevole, ben costruito e con una bella ciliegina disposta centralmente rappresentata dal diabolico duello pentatonico Iommi – Lasse, sebbene d'altra parte siano altresì evidenti mestiere e astuzia nell'impiego di una tipologia di formulario attraverso il quale difficilmente i Candlemass potrebbero sbagliare. Il medesimo discorso potrebbe valere per tracce quali Death's Wheels (in cui si rileva un caratteristico main theme dall'andamento “swingato” ed il cui valore aggiunto è rappresentato dalla sezione solista che si diversifica se due frange dai caratteri decisamente opposti), e soprattutto Black Trinity, la cui immediatezza è attribuibile ad una formula compositiva che tende spesso a riproporsi sfruttando abilmente un archetipo di riffing piuttosto collaudato. A tale contesto strumentale come sempre si accorpa con puntualità una performance vocale costantemente a fuoco, impeccabile e senza dubbio degna della reputazione del nome che sta dietro al microfono, ma che al contempo non è in grado di determinare il passaggio cruciale che porta dall'apprezzamento alla memorabilità. Si giunge all'eccezione alla regola, ovvero il momento nel quale il talento compositivo dello storico combo svedese giunge al suo apice svincolandosi da qualsiasi sotterfugio; trattasi di Bridge of the Blind, ballad per la quale non esitiamo a spendere aggettivi impegnativi grazie a una magnifica impalcatura armonica sulla quale si intercalano magistralmente sia la toccante interpretazione vocale di Längquist che il bellissimo assolo di Lars Johansson. La penultima House of Doom risulta strumentalmente identica alla versione dell'omonimo EP; con la stessa modalità le vocals ricalcano in maniera speculare quanto inciso da Mats Levén, limitandosi dunque a scorrere senza ulteriori sussulti sebbene chiaramente si palesino quale evidente differenza le tonalità timbriche non sovrapponibili dei due cantanti. Strascichi solenni, sofferti, sospesi in un battito di ciglia, un torbido inganno che cede il proprio spazio ad un riffing opprimente e frasi avvelenate; il cerchio si chiude nell'inaspettato, ovvero un refrain dalle connotazioni settantiane, stavolta sono i figli ad influenzare i padri, in The Omega Circle prevale il coraggio ed al contempo non si può che invidiare quell'estro la cui effimera scintilla è in grado di elevare un brano come questo ai livelli che si pretende da un gruppo di tale caratura.
Della serie di alti e bassi che hanno caratterizzato l'ultima fase della carriera dei Candlemass, ovvero quella sancita a partire dal subentro di Robert Lowe, The Door to Doom si piazza esattamente nella via di mezzo ossia tra picchi compositivi come Psalms for the Dead e punti bassi quali gli ultimi Death Thy Lover e House of Doom. Ovvio, le abilità compositive del combo svedese appaiono indiscutibili ed insieme ad esse le qualità canore di un singer eccezionale come Johan Längquist, tuttavia risulta altrettanto evidente la preminente volontà di adagiarsi su meccanismi compositivi di cui ormai Edling & co. sono ormai divenuti detentori assoluti. Al di là di tale giudizio, in questa contingenza è doveroso rimarcare un atteggiamento che sta divenendo piuttosto fastidioso se non controproducente nei riguardi di coloro che con passione seguono queste sonorità e che da esse non pretendono nient'altro che ottima musica, facendo dunque volentieri a meno dell'effimera ruffianeria dettata da alcuni orpelli di facciata plasmati con il solo scopo di incrementare attenzione, invito esteso principalmente e calorosamente a coloro che con il proprio talento non hanno di certo bisogno di impiegare tali mezzi. Anche perché, caro Leif, se anche questo giro di boa non andasse come speri, quale possibile, ulteriore arma letale ti resterebbe da brandire? Licenzieresti Längquist per assumere Marcolin e, cavalcando la scia di Nightfall e Ancient Dreams, pubblicheresti The Stairs to Doom e The Bedroom of Doom? Andiamo...
VOTO Seconda Recensione: 72
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33
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Mancano le idee anche se la qualità e la tecnica non si discutono. Tuttavia i pezzi sono piuttosto ripetitivi. Resta però il fatto che rispetto a tanto Doom Metal che si ascolta in giro (soprattutto nuove leve che imitano pedissequamente i mostri sacri) i Candlemass restano sempre una spanna sopra. |
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32
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ps: ma che senso ha riciclare la canzone house of doom che ha poi dato il nome all\'ep precedent. per non parlare del far succedere ad un ep house of doom un disco door to doom, eccheccazzo, almeno stacca un po\', siamo già a 4 dischi che hanno la parola doom nel titolo (e due con la parola sun) |
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teh sinner ricordo che dopo aver ascoltato epicus doomicus metallicus rimasi deluso dal cambio di cantante, mi sembrava prematuro passare subito ad uno stile così diverso come quello di Messiah, oggi però ascoltando questi ultimi due album con Längquist sento proprio la mancanza di Messiah. Per carità, non sono tra coloro che pensano che sia stato l\'unico grande cantante della band : mi piaceva sia Vikstrom che Lowe che Björn Flodkvist in From the 13th Sun e decisamente non mi piaceva Leven (non in assoluto, ma in questa band), però questi ultimi due dischi mi sembrano con il freno a mano tirato e non so se soltanto vocalmente. |
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un bell'album con dei bei riffoni che mi piacciono tanto, non saranno originalissimi ma direi sempre di buon livello. Voce stupefacente e ogni pezzo ha qualcosa di speciale. voto 77 |
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29
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Un gran bel ritorno quello dei Candlemass .. ma senza troppi dilungamenti - nonostante una buona prova del ritrovato Johan Längquist quello che manca a questo album sono la voce, la timbrica "unica" di Messiah Marcolin ed il suo carisma in sede live......Messiah era l'ingrediente "essenziale" che faceva la differenza...la netta differenza. |
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28
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Disco ottimo. Sonorità già sentite come da tradizione ma comunque sempre accattivanti e efficaci. Il ritorno del primo cantante nonostante la grandezza inconfutabile dei blasonati predecessori e' un grandissimo valore aggiunto, ha spesso quel timbro aggressivo ma caloroso di un certo Ronnie che spesso fa venire qualche brivido a fior di pelle. Notevole |
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Il ritorno di Johan Längquist per me ha regalato al gruppo un'altra perla assoluta. Album stupendo. Il doom come deve essere composto e suonato. 83 |
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26
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Non mi ha entusiasmato così tanto come tanti. Più atmosferico e meno metal del solito. Album di mestiere, la presenza di Längquist ne aumenta il valore di molto. |
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..questa è CLASSE ! Voto 90 |
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Discone e l'ospitata di Iommi una sorpresa.Maestri del doom |
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Questo è Classic Doom di superba fattura.
Album bellissimo e cantante ancora all'altezza.
Leggermente meno brillante del capolavoro (a mio avviso) Psalms for the Dead e questo perché parte dell'album è già stato sentito ed assorbito sull'EP House of Doom. |
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Bel disco mi è garbato parecchio. Voto 80 |
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Sono d'accordo con gran parte dei commenti sotto e meno con le recensioni. Si, certamente, sono i Candlemass e rappresentano il gotha del doom ma non ci si può aspettare chissà cosa. Qui, sfornano un gran album che ne mette in evidenza la classe compositiva in un genere che non offre divagazioni più di tanto e lo fanno con pezzi ispirati e freschi, con un Johan Längquist che esalta il tutto. Mi è piaciuto molto. Godibilissimo e lo ascolterò ancora a lungo. Loro questo sanno fare e il risultato è veramente ottimo. Au revoir. |
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20
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L'ho comprato appena uscito e non me ne sono pentito. Un gran disco per una delle mie band preferite. Leiif secondo me è sempre una sicurezza, le canzoni sono tutte di livello e i riff catacombali si sprecano!
Un cubo di granito che ti schiaccia lentamente.Promossi a pieni voti 85! |
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19
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Gran bel disco, voto 80 |
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In effetti l’assolo del “Riff Master” non e’ niente di che |
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Album spettacolare, altro che chiacchiere. Iommi risolleva le sorti di Astorolus? Riffing spento? Semmai è il contrario. L'assolo di Iommi non è nulla di eccezionale (secondo me lui non è mai stato eccelso come solista). Se questo sarà il loro ultimo disco, meglio non potevano finire. |
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@5-HT: recensione degli Avatarium riletta e mi trovi d'accordo nell'analisi di quel bel disco (che anch'io ho commentato). Riletta nuovamente anche questa. Non ho urlato alla lesa maestà; ho solo avvertito in alcuni passaggi punte di sarcasmo all'indirizzo di Edling. Ma ripeto: prima lo compero e lo metabolizzo (ora mi accontento di Spotify mentre faccio altro) e poi, magari, rivedo le mie posizioni |
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13
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Ottimo albulm doom...questa band potrebbe funzionare con qualsiasi altro cantante doom...insomma hanno una marcia in piu’ Rispetto alle altre band nel genere...mi stupisco del voto basso...voto 90 |
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Noi siamo più d’accordo con Metal Hammer UK. Quest’album è un 9 pieno. |
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@10 Ciao Rob, ringraziandoti per il tuo feedback ti invito a rileggerla insieme alla rece di The Girl With the Raven Mask. |
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10
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A me pare un bel disco altroché (dai primi ascolti tra il 7,5 e l'8). E alla fine finirò per comprarlo. Per quanto riguarda i voti delle recensioni, in fin dei conti un 7 è sempre un bel voto. Sulla descrizione dell'album in sé mi sembra, così di primo acchito, che soprattutto la seconda sia un po' ingenerosa nei confronti del gruppo e di Leif Edling in particolare. |
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9
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Voti troppo bassi, non un capolavoro ma ottimo album, per me 80 |
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8
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Premesso che rispetto le valutazioni delle recensioni non sono assolutamente d'accordo. Per me è veramente bello. 85 come minimo. Son gusti comunque |
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7
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Buonissimo album, anche se esaltato da tutti a causa dell'effetto nostalgia. Un po' di ispirazione e un po' di mestiere, a sentire la gente sembra il capolavoro del millennio, ma non è così. Resta comunque un bel lavoro, ci mancherebbe. Voto 76 |
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6
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Perfettamente d'accordo con le valutazioni. Finito l'effetto "nostalgia" si tornerà ad ascoltare a rotazione i primi dischi. |
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5
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Hanno fatto il compitino. Voto 63 |
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Sempre se potessi votare sarebbe pure meglio ... |
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3
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Ragazzi, siamo seri su. Un 70 e un 72 per un album coi controcazzi.
80 pieno, almeno. |
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2
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In totale disaccordo con le recensioni. Altroché album discreto, sinceramente non avrei mai sperato in un album del genere, un album che riporta i Candlemass in pompa magna al vertice della scena epic doom, riconfermando per l'ennesima volta il talento compositivo di Edling, I due ultimi ep erano effettivamente sub standard, ma questo... ...questo è il ritorno del re. |
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1
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Non inventano niente di nuovo, ma direi che dai Candlemass nel 2019 non si possa pretendere chissà quale innovazione. Personalmente mi è piaciuto veramente tanto, bel sound, riffoni maestosi e cantante in formissima. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Splendor Demon Majesty 2. Under the Ocean 3. Astorolus – The Great Octopus 4. Bridge of the Blind 5. Death’s Wheel 6. Black Trinity 7. House of Doom 8. The Omega Circle
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Line Up
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Johan Längquist (Voce) Mats “Mappe” Björkman (Chitarre) Lars “Lasse” Johansson (Chitarre) Leif Edling (Basso) Jan Lindh (Batteria)
Musicisti ospiti
Tony Iommi (Chitarre in traccia 3)
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