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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Avatarium - Hurricanes and Halos
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25/05/2017
( 3718 letture )
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Siamo rimasti piacevolmente in sospeso, nella bolla temporale generatasi successivamente alla pubblicazione di quel quasi capolavoro intitolato The Girl with the Raven Mask, album che, oltre ad essere, a parere di chi scrive, uno tra i più memorabili di questo decennio, ha sancito una sorta di punto di rottura all'interno della carriera degli Avatarium, determinandone il progressivo distacco dall'impronta doom in favore di sonorità vicine all'hard rock, progressive e psichedeliche di matrice settantiana. C'era dunque da aspettarsi che il quintetto svedese, forte del risultato qualitativo e soprattutto dall'impatto emotivo ottenuto, si spingesse nuovamente in avanti nella stessa direzione, andando a ridurre ancor più drasticamente gli apporti di quella vena doom “ortodossa” che pulsava con maggior impeto nel loro debutto; così è infatti accaduto con la pubblicazione del terzo lavoro Hurricanes and Halos.
Prima di addentrarci nell'analisi del disco occorre mettere in evidenza alcuni cambiamenti non indifferenti nella line-up: come sapete Leif Edling negli ultimi anni ha avuto dei seri problemi di salute, nello specifico parliamo di sindrome da affaticamento cronico; questa condizione a quanto pare non gli ha impedito, con le dovute precauzioni, di continuare a produrre musica, dividendosi di fatto tra i The Doomsday Kingdom (progetto di indubbia inferiorità di caratura rispetto alla mostruosa discografia prodotta del bassista svedese) e gli Avatarium, con una particolare riserva se si considera che ora il suo apporto è relegato ad un “dietro le quinte”, ovvero ad una partecipazione attiva soprattutto in veste di songwriter. In passato si era già messa in evidenza una silente ridefinizione degli equilibri in seno alla scrittura dei pezzi ed in questo terzo capitolo si assiste ad un'ulteriore ripesatura dei due piatti della bilancia, con il risultato che ora parte del testimone passa nelle mani di Jennie-Ann Smith e Marcus Jidell, nonostante ben 6/8 delle canzoni partano comunque dall'estro creativo del fondatore degli Avatarium. La line-up, oltre alla sostituzione sul versante strumentale di Edling con Mats Rydström, vede l'entrata di Rickard Nilsson a colmare il vuoto generato dalla fuoriuscita di Carl Westholm; possiamo affermare nell'immediato che, a livello di resa, entrambi i nuovi membri non fanno affatto rimpiangere i due predecessori, offrendo una prova eccellente ed inappuntabile sotto ogni punto di vista.
Polarizzando l'attenzione sulla produzione, notiamo subito delle sostanziali differenze rispetto a quanto partorito in precedenza: i suoni risultano più “bombastici” soprattutto nella demarcazione della batteria, eccezion fatta per i momenti più soffusi, nei quali l'approccio verte ad esaltare le dinamiche dello strumento. Da un altro versante l'hammond di Nilsson viene particolarmente messo in evidenza nel bilanciamento dei volumi, al fine di esaltare in maggior misura la sfumature retro che tale organo, ormai diventato oggetto di culto e collezionismo, è in grado di delineare con particolare efficacia.
Come accennato in sede introduttiva, gli Avatarium hanno reso prevalente nel loro sound l'impronta del rock settantiano affondando l'ispirazione, per quanto riguarda alcuni versanti, ancora più retrospettivamente, se si considerano consistenti accenti blues. Sia nei trailer che nelle note promozionali della Nuclear Blast si ode e si legge la parola doom o addirittura modern doom; ebbene, in questo album di tale genere nella sostanza c'è pochissimo o addirittura nulla, eccezion fatta per alcune venature presenti nella bellissima A Kiss (From the End of the World); possiamo solo percepirlo quale materia impalpabile aleggiante nelle atmosfere cupe, malinconiche, dolceamare che percorrono marcatamente e costantemente il corso del disco. Detto che il lavoro di Jidell stavolta si concentra più sull’arrangiamento che sul comparto solistico (con la ragguardevole eccezione del bellissimo assolo che segna “jimmypageianamente” The Sky at the Bottom of the Sea), l’analisi può partire proprio dai tre pezzi in cui è più tangibile l'impronta hard rock: Into the Fire - Into the Storm (traccia a cui è affidata, oltre all'apertura del disco, la funzione di antipasto in quanto primo lyric video) e The Sky at the Bottom of the Sea contengono al loro interno richiami importanti a mostri sacri quali Deep Purple e Uriah Heep, anche se, ovviamente, il “fattore” Avatarium gioca un ruolo chiave nel far convergere queste sonorità verso un'impronta personale grazie alla quale i Nostri sfuggono agevolmente dalla trappola del clone. Al microfono la Smith traccia puntualmente l'ennesima prova marchiata da una classe indiscutibile, sebbene stavolta si percepisca l'assenza di quel quid in grado di renderla travolgente e indelebile così come avvenuto nel recente passato. Della terna rimane da disquisire riguardo A Kiss (From the End of the World); in questo caso le sorti della valutazione si muovono verso esiti differenti; lo spirito doomiano acquisisce maggior peso ma ciò non è ovviamente il fattore determinante nel giudizio, visto che sia i quattro strumentisti che la bionda singer sfoggiano una prova magistrale sul “come” scrivere una brano con la B maiuscola e catapultarlo inevitabilmente sulla scena quale uno dei migliori episodi del disco. Si colgono gradazioni differenti passando all'ascolto di The Starless Sleep, canzone piacevole impiantata su influenze surf rock con una struttura semplice nonché un refrain molto orecchiabile. Nonostante le apparenze, il lavoro in sede di arrangiamento risulta determinante nel farle acquisire un'impronta che risulti coerente con lo stile della band. Giungiamo ora al punto massimo di Hurricanes and Halos, ovvero Road to Jerusalem; il primo parametro nonché punto a favore da mettere in evidenza è che gli Avatarium provano spesso a muoversi verso altre direzioni (in questo album notiamo e noteremo che tra l'altro non sempre centrano in pieno il bersaglio) ed in questo episodio si rimane a bocca aperta visto il risultato; le pieghe prendono infatti dei risvolti completamente inaspettati, culminanti nell’emergere di venature dal sapore southern a scandire un frangente d'apertura sul quale l'ugola della Smith acquisisce un calore e un'impronta emotiva certamente di inversa proporzionalità rispetto al suo paese di provenienza. E sono brividi nonostante sia solo l'inizio; uno stacco improvviso accompagnato da echi sospende momentaneamente il tutto, cedendo il passo ad un crescendo capace di rilasciare quelle emozioni che riportano in auge il genio e l'assoluta eleganza del quintetto svedese. Ancora una volta gli Avatarium mutano pelle e al contempo tentano il colpaccio con le stranezze contenute in Medusa Child (brano che tra l'altro ha ispirato Erik Rovanpera per l'artwork del disco); ad una suggestiva e solenne apertura avvolta da organi saturi capaci di generare un momentaneo stato di tensione fa seguito infatti un refrain nel quale la voce di Jennie-Ann assume (o è rafforzata da) toni “fanciulleschi” mutando ancora in una sorta di post-refrain accostabile allo stile dei Guano Apes (ebbene sì, avete letto bene), esperimento coraggioso, nulla da dire, ma non particolarmente riuscito nella sostanza. Risolleva parzialmente l'esito uno stacco netto costituito dalla reiterazione di un semplice riff che, accompagnato dall'hammond, genera un crescendo/decrescendo capace di produrre quel forte impatto che solo i fuoriclasse sono in grado di regalare. C'è ancora spazio per una toccante ballata, When Breath Turns to Air, dedicata al padre di Marcus Jidell, venuto a mancare proprio durante le registrazioni di Hurricanes and Halos. A livello di impostazione ci immergiamo completamente a cavallo fra i '60 e '70, i toni si fanno caldi, le dinamiche palpabili, l'interpretazione vocale della Smith si mostra impeccabile così come il bel solo di Jidell, eppure si sente ancora che sfugge qualcosa, quasi che sui circuiti neuronali aleggiasse sempre quel “bello ma...”. La chiusura, tutt’altro che in gran spolvero, stavolta, è affidata alla titletrack, strumentale di dubbia validità in cui il chitarrista svedese si limita ad abbozzare lo scheletro di una struttura semplicemente sfruttando vari livelli di fade-in suonati dalla sua sei corde.
Rispetto alle prove di cui si sono dimostrati capaci in precedenza, risulta evidente che questo terzo capitolo targato Avatarium contiene diverse oscillazioni qualitative. Provando sommariamente a riassumere: Road to Jerusalem e A Kiss (From the End of the World) si possono ricordare come vertici del platter (in particolare il primo brano può reclamare legittimamente un posto nell’olimpo dei pezzi migliori composti fino ad ora dal quintetto svedese); The Starless Sleep si colloca un gradino sotto ma è comunque premiabile per il coraggio nel toccare determinate influenze particolarmente estranee all'universo metal; Into the Fire - Into the Storm e The Sky at the Bottom of the Sea sono prove esemplari sul come suonare oggigiorno hard rock in chiave personale e moderna. Sul lato calante dell’ispirazione, When Breath Turns to Air, pur senza brillare, raggiunge se non altro gli standard minimi per aspirare alla dimensione di una buona ballad; Medusa Child sfodera una resa non proprio convincente in alcuni frangenti, mentre Hurricanes and Halos non può ambire ad altra qualifica che quella di riempitivo inutile. Complessivamente, dunque, siamo di fronte ad una prova discreta in cui i momenti di bagliore hanno la meglio su ombre purtroppo in dilatazione rispetto al passato e che finiscono per collocarla al di sotto dei lavori finora prodotti. A questa sensazione di “mezzo passo falso” si aggiunge anche il capitolo parzialmente controverso legato a scelte stilistiche non del tutto rifinite nei dettagli e tali da risultare a tratti quasi sbrigative (un dispendio di un tempo maggiore avrebbe probabilmente giovato ai fini del processo di maturazione e sviluppo di alcune idee certamente valide). Così, accanto all’apprezzabilità del tentativo di approccio (quando non di vero e proprio passaggio) a generi più “allegri e vivaci”, la contemporanea materializzazione di un'aura decisamente più cupa e oscura non centra l’obiettivo di aggiungere colore all’impasto. Un album sicuramente sopra la media, una tracklist che la maggior parte delle band del settore si scorda di poter anche solo immaginare di comporre a questi livelli, prove individuali tra l’impeccabilità e l’eccellenza, gli ingredienti per il successo ci sono tutti, ma da fuoriclasse (ormai) di questo calibro era lecito attendersi qualcosa di più.
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10
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Li aspettavo, addiritura erano diventati la suoneria del mio cell....purtroppo niente a che vedere con i primi due album. C'è stato un rallentamento del sound preoccupante. Cmq vengono in tour a Milano e per un deca li vado a vedere... |
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9
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Sono un po' preso da altre uscite (Sólstafir su tutte...) e ho ascoltato questa nuova release degli Avatarium, con qualche ritardo. Devo associarmi ai Messieurs AndreA e Entropy nel sottolineare che la perdita della componente doom, non ha giovato alla loro musica. Dopo due album veramente notevoli, questo, al momento, non mi ha per niente preso e in effetti scorre via senza lasciare emozioni. Naturalmente ci sono tecnica e classe, qualche spunto ma non siamo più sulla bellezza che proponevano negli album precedenti. Forse ha bisogno di più ascolti ma come ho sottolineato altre volte, diffido dei dischi che devo ascoltare più volte per "farmeli piacere". Aggiungo una nota anche sulla bruttezza della copertina. Steps back, no doubt. Au revoir. |
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8
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concordo con andreaA. per me hanno perso quel tocco magico che era legato probabilmente a partiture "doom" (non in senso stretto). Spero di ricredermi.. ma mi sembra un passo indietro notevole quest'album... Scorre via quasi senza che me ne accorga... ci sono dei passaggi notevoli ma anche momenti francamente poco ispirati (. Into the Fire - Into the Storm la trovo irritante, o i coretti dei bimbi ,mi pare in "medusa child", davverro imbarazzanti). Voto 70 |
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7
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Io sono rimasto deluso. Il Doom lo hanno abbandonato del tutto o quasi. Era proprio la vena doom che li rendeva particolari. Potevano e dovevano esplorarlo più a fondo. Potevano usare il doom per dargli nuova linfa con nuove idee ed esperimenti. La classe e la voce e le idee pensavo ci fossero tutte per dare nuova linfa vitale al genere. Purtroppo hanno scelto di puntare su 7 canzoni che non fanno gridare al miracolo come in passato, e le hanno impostate su un hard rock settantiano già sentito e risentito. Si sono Wolfmotherizzati.. Certo anche il doom è un genere iperconosciuto ed iperabusato. Ma è pur sempre un genere di nicchia. Spero nel futuro non prendano vie facili e di successo, ammorbidendo ancor di più il loro sound. Ma il musicbiz è potente. Torno ad ascoltarmi i Krux ed i Candlemass.. |
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6
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Ascoltato finalmente. Criticare un disco cosi` lo trovo delittuoso; innanzitutto Leif ha scritto sei brani per il disco, quindi lo segue ancora da molto vicino; secondo anche se e` vero che la componente doom viene quasi completamente a mancare, le influenze e sonorita` anni 70` aumentano e la cosa non puo` che rendermi felice. Poi Jennie-Ann e` stupenda alla voce e riesce a far brillare ancor di piu` una serie di brani capolavoro come Road to Jerusalem. Per me un 90 lo prende alla grande. |
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5
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mah, a me ha lasciato parecchio l'amaro in bocca. Di metal c'è davvero poco e di doom ancora meno. Quel tocco psichedelico e settantiano qui ha preso completamento il sopravvento (già dalla brutta copertina) e secondo me ha in parte coperto quella vena gotico-atmosferica che li contraddistingueva nei due primi album. Il refrain di Into the Fire/ Into the Storm è brutto forte, mentre quello di Medusa con quel cantato "fanciullesco" è semplicemente ridicolo. Spero solo che cresca con gli ascolti, ma per adesso è una mezza delusione. Leif ti prego riprendi le redini di questo gruppo! |
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4
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Io invece adoro le influenze settantiane se non sessantiane e le aperture melodiche alla abba (tipo l’ultimo singolo), il taglio doom era ottimo ma comunque si respira anche altrove, ora la proposta mi sembra più personale e non più una specie di candlemass 2.0 con una bella (e brava) signora alla voce. Se ti interessa del doom con voce femminile, ti consiglio i bathsheba. Sono un gruppo molto interessante. |
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3
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Peccato per l'allontanamento dalle sonorità doom, che adoro. Ho ascoltato solo il primo e mi piace un sacco, vediamo questo... |
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2
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concordo con graziano una band che ha portato una ventata di aria fresca. Sto aspettando l'arrivo del cd originale |
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1
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Non vedo l'ora mi arrivi. Band eccellente e decisamente sopra la media. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Into the Fire - Into the Storm 2. The Starless Sleep 3. Road to Jerusalem 4. Medusa Child 5. The Sky at the Bottom of the Sea 6. When Breath Turns to Air 7. A Kiss (From the End of the World) 8. Hurricanes and Halos
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Line Up
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Jennie-Ann Smith (Voce) Marcus Jidell (Chitarra) Mats Rydström (Basso) Rickard Nilsson (Organo) Lars Sköld (Batteria)
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