|
27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
|
|
|
25/07/2020
( 1744 letture )
|
Il suono dello spazio. Si tratta evidentemente di un ossimoro: nello spazio non esiste suono. Ma se con la fantasia dovessimo crearne uno, allora ci sono buone probabilità che gli Hawkwind lo abbiano già suonato qualche decennio prima che ci illudessimo di aver inventato qualcosa. Figli di un’epoca magica, irripetibile, eppure ancora oggi credibili portatori di una storia e di un’immagine così fortemente caratterizzata da sembrare destinata a scomparire con il venir meno della stagione dei figli dei fiori, gli Hawkwind sono una leggenda vivente, una delle più grandi band di tutti i tempi. Non male per un’accozzaglia instabile e disorganizzata di hippie carichi di droga e dalla formazione in continuo rimescolamento. Merito e forse a volte anche un po’ colpa di Dave Brock, leader indiscusso e unico membro stabile nella storia della band. Musicista di strada, uomo con un sogno, hippie nell’animo, ma non per questo privo di una certa autorità e di una idea chiara di cosa dovesse essere la sua band. Nati nel 1969, quando la psichedelia scorreva a fiumi in tutto il mondo e già si cominciava a delineare l’idea di “viaggio astrale” condotto grazie alla musica, in particolare ai sintetizzatori e modulatori sonori, che proprio in quegli anni cominciavano ad essere sperimentati e commercializzati e, naturalmente, all’abuso di droga, in particolare le cosiddette droghe psichedeliche appunto: LSD e acidi vari, funghetti allucinogeni, marijuana, hashish e via discorrendo. A questo gli Hawkwind pensarono bene di accostare anche un impianto di luci psichedeliche e un set nel quale una o più danzatrici si esibivano in multicostume e, perché no, spesso e volentieri anche nude. Un monumento sia quanto meno prontamente realizzato per Stacia: farebbe senz’altro più onore di tanti altri alle città che decidessero di ricordarsi di lei. La prima formazione vede Brock e Mick Slattery, che suonavano assieme nei Famous Cure, trovare un comune interesse per la musica elettronica nel bassista John Harrison. Trovato Terry Ollis come batterista -allora diciassettenne- i quattro reclutano poi Nik Turner e Michael “DikMik” Davies, amici di Brock che si erano offerti di fare da roadies al gruppo e che vengono invece buttati sul palco e in studio, a completare un sound che inizia a delinearsi. La band non ha inizialmente un nome e si iscrive come Group X ad un concorso musicale, al quale si presenterà senza avere neanche un pezzo pronto. Fortuna vuole che nel pubblico ci sia il leggendario talent scout e DJ della BBC John Peel, che consiglierà all’organizzatore della serata di tenerli d’occhio. Detto fatto, Douglas Smith, questo il suo nome, farà firmare a loro e ai Cochise un accordo con la Liberty Records. Bei tempi eh? Un primo demo viene realizzato col moniker Hawkwind Zoo in quello stesso 1969 e, alla fine, il nome sarà scorciato nel definitivo Hawkwind per la pubblicazione del primo autointitolato album. Questo comunque non prima di aver lasciato Mick Slattery e aver tirato dentro Huw Lloyd-Langton come chitarra solista, a fianco di Brock.
La copertina dell’album, non particolarmente bella a dire il vero, vede il nome del gruppo fatto di foglie che cadono a formare dei mucchietti da cui nascono dei serpenti con testa di coccodrillo/dragone, è comunque perfettamente in linea con l’impostazione grafica di quegli anni. Al bancone degli studios come produttore troviamo invece Dick Taylor, chitarrista dei The Pretty Things, il quale vista l’impossibilità di ricreare l’atmosfera delle esibizioni live della band, decise di registrare i brani in presa diretta in studio, lasciando che gli Hawkwind improvvisassero, creando direttamente le tracce che avrebbero composto l’album. L’approccio si rivela tutto sommato vincente e anche se non ancora perfettamente a fuoco, il debutto contiene in forma primordiale quasi tutti gli elementi che saranno poi sviluppati con maggior efficacia nei dischi successivi. Non tutto nasce da queste jam in studio e in particolare la prima traccia Hurry On Sundown e l’ultima Mirror of Illusion, mostrano chiaramente una struttura più sviluppata e completa. La prima era già in effetti nel demo degli Hawkwind Zoo e sentendo questa versione nella ristampa dell’album del 1996 dove figura come bonus track, si può apprezzare come la versione definitiva sia pressocché identica. Si tratta in effetti anche delle due canzoni dove più chiaramente emergono le influenze blues e della classica psichedelia sessantiana, con dei bei giri di chitarra acustica e delle melodie vincenti, che rendono entrambe le canzoni molto piacevoli e interessanti, forse addirittura le due tracce migliori dell’intero album e non solo perché le più rifinite e vicine al concetto di canzone vera e propria. La prima sarà in effetti anche utilizzata come singolo, ma è forse Mirror of Illusion, che vede comunque un forte intervento degli “audio-generatori” di DikMik, a risultare come traccia definitiva dell’album. In mezzo alle due, ci sono cinque jam quasi interamente strumentali, nelle quali gli Hawkwind creano e forgiano per la parte inglese il concetto di space rock, che in Germania alcuni gruppi del cosiddetto movimento kraut rock stavano a loro volta sviluppando e che, se vogliamo, già i Pink Floyd, David Bowie e perfino Jimi Hendrix, per tacere dei Grateful Dead negli States, avevano ampiamente anticipato. Eppure, gli Hawkwind riescono ad andare anche oltre, innervando la propria musica quasi totalmente su questo aspetto, lasciando libero campo alle jam nelle quali erano i suoni a vincere sui brani, le strutture dilatate, i reverberi e i rumori elettronici, uniti alle improvvisazioni strumentali e a tematiche sci-fi di ampio respiro a cui contribuiranno anche autori come il grandissimo Michael Moorcock. Un impasto sonoro di cui gli Hawkwind saranno Maestri indiscussi e che in questo Hawkwind comincia già a prendere forma. Dopo la bella Hurry On Sundown, pezzo comunque da rivalutare e rispolverare che davvero nulla lascia presagire di quanto seguirà, l’immersione spaziale inizia con The Reason Is?, pezzo di pura apertura alle dimensioni stellari, che ci consegna poi a Be Yourself, il cui riff insistito, doppiato dalla voce ossessionante lascia poi spazio alla jam impazzita condotta dal basso di Harrison, dalla chitarra “grattugiata” e dalla batteria rutilante di Ollis sulla cui base Turner spara il proprio assolo di sax a cui fa seguito quello di Lloyd-Langton, dal quale si fa poi progressivo ritorno all’obbligato iniziale, per un primo viaggio astrale che supera gli otto minuti. Paranoia, divisa in due parti, vede la prima rincorrere ancora un sinistro giro insistito che riproduce appunto l’idea della paranoia e ricorda neanche troppo da lontano il riff portante di L’America dei The Doors (non fosse che L.A. Woman sarebbe uscito esattamente un anno dopo), che viene poi ampliato musicalmente nella seconda parte. Il tutto non sembra imperdibile e vale quasi più come apertura al pezzo forte dell’album, ovverosia i quasi undici minuti di Seeing It As You Really Are, vera e propria tempesta di polveri e campi magnetici spaziali, resa magistralmente dal gruppo, che dona davvero la sensazione di star “vedendo tutto come se fossi lì”. Siamo ancora lontani dalla grandezza e dalla sicurezza con cui saranno concepiti gli episodi successivi, ma tutto nasce qua e si sente.
L’inizio di una leggenda è sempre emozionante da ripercorrere e in questo caso la spontaneità e la genuinità con la quale gli Hawkwind intrapresero il loro primo volo interstellare riesce ancora a colpire, dopo cinquant’anni. L’entusiasmo per qualcosa di nuovo che si va creando è palpabile ed è probabilmente quello che resta alla fine dell’ascolto, assieme alla sensazione che qualcosa di grande stava in effetti per arrivare. Le quattro bonus track della ristampa remasterizzata del 1996 non aggiungono moltissimo a quanto detto, seguendo principalmente la vena di acustica blues e psichedelica di Hurry On Sundown, ma tra queste si segnala quel capolavoro che è Kiss of the Velvet Whip, bella traccia con un gran lavoro di tutto il gruppo, che ricorda vagamente i Pink Floyd per la stranezza della parte centrale e mette in luce anche il sax di Turner assieme al dinamico lavoro della sezione ritmica e alle ottime incursioni della solista. Da non perdere. Gli Hawkwind centreranno il bersaglio grosso già col successivo capolavoro In Search of Space, inanellando poi una serie di album storici che li consegneranno alla Leggenda del Rock, assieme alle indimenticabili esibizioni dal vivo che sono e resteranno sempre il momento culminante e più significativo della loro arte.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
6
|
L’inizio di un lungo viaggio senza fermate (più di 30 album in studio) e che ancora va avanti: a ottobre dovrebbe uscire una nuova release. Non ancora al livello degli album successivi, in cui il loro stile unico si mostrerà con più convinzione, ad un livello -per così dire- programmatico. Però in Seeing It As You Really Are senza ombra di dubbio si vede ben chiaro già tutto il loro futuro. Grande band! Voto 79 |
|
|
|
|
|
|
5
|
Non il loro album più rappresentativo, ma avanti decenni. Band fondamentale per tutto il rock psichedelico e poi per lo stoner metal |
|
|
|
|
|
|
4
|
Nessuno li ha citati. Ma i Monster Magnet? Quanto devono agli Hawkwind? Poco poco...  |
|
|
|
|
|
|
3
|
Recensione dovuta e sentita, e come al solito competente, da parte dello storico amico-nemico dell'Uomo Ragno. Disco già bello e rappresentativo, ma coi seguenti In Search Of Space (xme un vero Capolavoro) e Doremi Fasol Latido, faranno meglio, avendo acquisito maggiore perizia col lavoro in studio. Ma anche i + recenti con ALAN DAVEY, che guarda caso sembra LEMMY col camice da dottore, sono validissimi. Poi hanno una discografia quasi infinita, quindi bisogna vedere. /// Tralasciando Wikipedia che parla di loro come l'anello di congiunzione tra Hippies e Punk- Metallers, si va anche oltre. Gli HAWKWIND, da noi molto poco conosciuti, se non, nella maggior parte dei casi, x aver vantato la militanza del KILMISTER, hanno SICURAMENTE influenzato molta musica che dopo di loro non sarebbe stata + la stessa. Intanto non bisogna confondersi con la data di uscita di questo debutto, in quanto essi (ma soprattutto DAVE BROCK, la loro Anima), erano conosciuti nell'ambiente da molto x l'allestimento di concerti "particolari" e gratuiti, alcuni leggendari, allestiti anche in molti festival famosi già pre-settantantiani. Da loro scaturirono Bands di rilievo e non, allargarono il concetto di Musica Psichedelica, svelarono un nuovo approccio, coniando di fatto lo Space Rock e dando così il la a svariate correnti tipo AMON DUUL II, e persino a un certo tipo di Ambient, da POPOL VUH a OZRIC TENTACLES (questi ultimi, forse la loro naturale evoluzione). In sostanza penso che gli stessi PINK FLOYD, senza gli HAWKWIND, sarebbero stati differenti. |
|
|
|
|
|
|
2
|
Bel disco che potrebbe essere definito il manifesto programmatico del loro modo di intendere la musica. Gli album migliori saranno i successivi, ma qui c'è già tutta la loro concezione di musica Space rock imbastardita con il jazz. Paranoia trasmette proprio quello che promette il titolo e gli altri brani si muovono in tutte le direzioni che non fanno capire l'ascoltatore dove sta andando a finire. A questo gruppo poi sono particolarmente legato perché mi rimanda a quando quindicenne comprai il libro "Hard Rock Story" di Silvio Ricci. Eravamo alla fine degli anni 80 e mi ritrovai immerso nelle schede di 60 gruppi che, secondo l'autore, avevano fatto la storia del rock e incuriosito andai alla scoperta di entità totalmente sconosciute ed introvabili sino all'avvento del cd. Per capirci chi erano Ted Nugent, Rory Gallagher, gli High Tide, Black Widow e appunto gli Hawkwind? Questa recensione mi ha dato modo di andarmene a riascoltare questo bel disco e farmi ricordare un tempo in cui si aveva il tempo per approfondire la musica e scoprire che oltre ai Beatles, Pink Floyd e Deep Purple c'erano anche i Golden e i Grand Funk. 80 |
|
|
|
|
|
|
1
|
Gran debutto. Un mix di sonorità davvero vincenti. Certo il loro trade mark è ancora allo stato embrionale, però già si intuiscono le potenzialità. Yeah |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Hurry On Sundown 2. The Reason Is? 3. Be Yourself 4. Paranoia Part 1 5. Paranoia Part 2 6. Seeing It As Your Really Are 7. Mirror of Illusion
Bonus Track della ristampa 1996 1. Bring It On Home 2. Hurry On Sundown (Hawkwind Zoo Demo) 3. Kiss of the Velvet Whip 4. Cymbaline
|
|
Line Up
|
Dave Brock (Voce, Chitarra solista, Chitarra 6 e 12 Corde, Armonica, Percussioni) Huw Lloyd-Langton (Chitarra solista) Michael “Dik Mik” Davies (Effettistica) Nik Turner (Sassofono alto, Voce, Percussioni) John A. Harrison (Basso) Terry Ollis (Batteria)
Musicisti ospiti Mick Slattery (Chitarra su bonus track) Dick Taylor (Produttore, Chitarra)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|