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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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Pain Of Salvation - Panther
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12/11/2020
( 4358 letture )
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Quando si ha tra le mani un disco dei Pain Of Salvation si affronta un viaggio multidisciplinare tra musica, filosofia, arte, psicologia e questo Panther non fa eccezione. Certo, avere il supporto delle parole di Daniel Gildenlöw che ha rilasciato un’intervista (qui il link con le parole del frontman) proprio sul loro undicesimo lavoro in studio, rende il lavoro di un recensore più semplice. Intanto non ci si deve addentrare nei testi provando ad indovinare il significato di un pensiero o un’idea discernendo e decrittando le singole parole, inoltre si hanno più chiari i concetti attorno ai quali si dipana il concept. Un’altra certezza su cui poggiano saldi gli album della band svedese è quella di avere sempre un filo conduttore che lega i dischi. All’inizio della loro carriera questo aspetto era di fondamentale importanza e ogni canzone confluiva obbligatoriamente nella successiva, ricreando un lunghissimo stream of consciousness che di fatto legava indissolubilmente ogni traccia. Con il tempo il loro modus operandi è mutato, pertanto sia con il precedente In the Passing Light of Day che con il qui recensito Panther viene più facile parlare di album a tema che non di concept album, proprio per il motivo appena spiegato.
Qual è quindi il tema che lega i pezzi che compongono il puzzle del disco? Cosa rappresenta la pantera il cui volto è raffigurato in primo piano sulla copertina? Daniel Gildenlöw è molto chiaro nella risposta e non lascia spazio per le intepretazioni. Il protagonista dell’opera è lo stesso cantante che in questa società si sente solo e alienato, come un animale selvatico in un ambiente che non è il suo. Una pantera per l'appunto, abbigliata come un essere umano, con una giacca da marine ed un simbolo già visto, tatuato sulla schiena del frontman nella copertina di In the Passing Light of Day. Il nobile felino è circondato da un’aura mistica e avanza nella pioggia in un’atmosfera familiare ad una locandina da film Marvel.
La nostra discesa nell’album comincia ottimamente con il singolo ampiamente pubblicizzato e ben noto a tutti i fan dei Pain Of Salvation in questi mesi del 2020, parliamo di Accelerator. Il brano raccoglie alcune delle scelte stilistiche ben riuscite tratte dal disco precedente, e le ripropone perdendo però l’apporto vocale di Ragnar Zolberg, non proprio un fatto trascurabile. Volendo limitarci ad un mero confronto tra questa canzone e On a Tuesday il braccio della bilancia penderebbe nettamente in favore della seconda scelta. Un discorso simile si potrebbe fare per la seconda Unfuture, musicalmente simile, nemmeno a farlo apposta, a Tongue Of God. Lenta, graffiante, cadenzata ma perfettamente conforme allo stile multiforme del genio svedese che l’ha partorita. Un testo di critica al nostro futuro, al nuovo mondo, definito appunto con una negazione, cioè un non-futuro. In questo la melodia si fonde perfettamente al testo, rendendo le parole gravi e potenti, dei macigni ben calibrati che arrivano perfettamente all’orecchio del fruitore. L’elettronica e una voce modificata e distorta ci accompagnano all’interno di Restless Boy, che scorre rapida e incolore fino al minuto conclusivo dove finalmente si presenta il tandem d’acciaio Hallgren-Karlsson a donare una verve metallica al brano, che mancava del tutto. Daniel Gildenlöw ci invita a rallentare, a prenderci il nostro tempo e lo fa con una traccia acustica di chitarra e piano dove trova spazio anche una delicata sezione di batteria del sempre preciso Léo Margarit. Forse evitabile quell’effetto vocale di autotune sui ritornelli ma nemmeno troppo fastidioso se calato effettivamente nel mood del pezzo. Il tutto appare molto cantabile e orecchiabile e il testo, semplice e ripetitivo il giusto, si fisserà nella mente già dopo pochissimi ascolti. Tanto spazio per i sintetizzatori e l’elettronica nelle prime battute di Keen to a Fault, con uno stile non troppo dissimile al neo progressive di matrice Spock’s Beard. Questa quinta traccia è un brano che sa mutare ed evolversi tra le per nulla banali sezioni strumentali e le ricercate linee vocali. La cura del dettaglio dei Pain Of Salvation, arrivati alla loro undicesima fatica in studio, è decisamente aumentata e le note trasudano esperienza accumulata. Un piccolo intermezzo strumentale di un minuto e mezzo, Fur che possiamo tradurre letteralmente con “pelliccia”, si sposa bene con la successiva Panther che dà il nome al disco. Il brano è ostico per i più, principalmente per il ricorso massiccio al rap alternato a momenti più introspettivi e docili in corrispondenza dei ritornelli, dove viene ripetuto in modo ricorrente il titolo del lavoro, nonché l’animale con cui il cantante ha deciso di identificarsi. È il turno poi di Species, un'altra composizione non troppo decisa a dire la verità, se non per alcuni interventi sporadici della doppia chitarra a ravvivare l’ambiente. Merita invece il comparto testuale, perfettamente adeguato ai tempi che corrono.
I stopped watching the news A long time ago No disaster felt new The same old mankind that I know
I toni si inaspriscono decisamente sul finale, con una critica netta e non troppo velata alla nostra specie, quella umana.
Sometimes I hate this fucking species
Per come è impostato il disco, tracce di medio/breve durata, non può che far piacere trovare una suite lunga tredici minuti nell’ultimo posto disponibile. Ciò che la costituisce è un’alternanza di parti acustiche, accompagnate dal piano o da atmosfere prog rock dei primi anni ’70, con note distorte di chitarra che sembrano dover esplodere in qualcosa di energico. Ma questo non avviene, lasciando un leggero amaro in bocca e un senso di incompiuto, nonostante i minuti conclusivi siano di eccellente caratura strumentale e tengano in piedi egregiamente la baracca.
Anche questa volta i Pain Of Salvation hanno saputo ricreare un perfetto veicolo di informazioni, emozioni e idee che si conficca dritto nella psiche dell’ascoltatore. Che sia un prodotto altrettanto valido quanto il messaggio che vuole veicolare solo il tempo potrà dirlo, perché si sa, i dischi con Daniel Gildenlöw in cabina di regia richiedono mesi o talvolta anni a fermentare nel modo migliore.
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....lo sto ascoltando adesso....davvero particolare....un gioiello...80.... |
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D'accordo con il recensore ma aggiungo un punticino. Per me 80 pieno. |
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Cmq noto da tempo che i Pos aggiungono sempre troppo ai loro componimenti, inflazionano i pezzi con millemila arrangiamenti e linee sottotraccia a discapito della fruibilità del brano, col risultato che il più delle volte disorientano l'ascoltatore: a me hanno sempre fatto questo effetto qui. |
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Mettiamoci in testa una cosa: Daniel Gildenlöw e i PoS sono un gruppo distante quanto più possibile dall'essere fanservice.
Scordatevi completamente un ritorno alle origini, e scordatevi ogni disco precedente.
A Daniel Gildenlöw piace innovare, sperimentare, osare. Anche a costo di far uscire un brutto disco come Panther. |
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Per quanto mi riguarda, un album "particolare", con un sound diverso dal solito che comunque si fa apprezzare e cresce con gli ascolti e che perciò reputo più che discreto.
Bella la versione ltd. mediabook in 2cd, più per il libretto ampliato che per i contenuti del secondo disco.
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Molto strano, anche perché una roba simile non me la aspettavo dopo Passing Light. Nel complesso non mi ha fatto impazzire, a parte Icon che trovo veramente ben congegnata e coinvolgente. Voto: 75 |
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Sinceramente non me la sento mai di bocciare un disco di Daniel Gildenlöw e questo non fa eccezione. Concettualmente scontato sì, ma con un registro di sonorità mai sperimentato prima e, produzione discutibile a parte, un gran bel disco. L'ho già ascoltato una decina di volte e il giudizio rimane positivo, senza ovviamente gridare al miracolo ( quello era avvenuto con i primi quattro dischi della band ). |
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Album che in un primo momento avevo sottovalutato, ma che invece cresce -e molto- con i successivi ascolti. Per certi aspetti, pur con le dovute differenze, mi ricorda l'evoluzione dei Leprous nel loro ultimo lavoro. |
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Che cosa mi devo aspettare dai POS? Il classico compitino per accontentare la platea o qualcosa di diverso come bene o male hanno sempre fatto? Io propendo per la seconda.
Gildenlow & C. hanno a mio avviso fatto il solito disco di qualità sopraffina uscendo per l'ennesima volta da facili stilemi per percorrere nuove strade, a volte tortuose, ma che alla fine conducono verso nuovi orizzonti.
Tutto si puo' dire del buon Daniel, ma la capacità di innovare trovando sempre delle linee melodiche pazzesche penso la si debba riconoscere.
Promosso a pieni voti.... |
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Con il "rischio" di aizzare le ire di qualcuno o la derisione di altri dico subito che i POS non li ho mai potuti soffrire e non sono mai riuscito ad entrare in sintonia con la loro musica. Questo Panther invece mi ha preso molto, non in maniera trascendentale, ma comunque lo ritengo un buonissimo album di metal moderno ed elettronico, che talvolta spiazza e in questo dunque riesce ad essere "prog". In certi momenti poi avrei voluto che l'elettronica fosse ancora più invadente e corposa, ma questo è un vezzo mio. Voto giusto per me, personalmente arrotonderei ad 80, ma parlo di gusto personale, ritornando al discorso che ho fatto ad inizio commento. |
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Meno peggio degli ultimi, ma questo non vuol dire buono. Se si riesce a resistere alla prima penosa canzone poi si ritrovano spunti discreti. La sufficienza la do, 62 |
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Fa piacere strappare un sorriso in questi tempi duri. |
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Quaaaaaantoooo? 79? Ahahahahha, mi sto rotolando dalle risate
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Che Delusione! Quello che più dispiace è ascoltare canzoni della caricatura di "wait" e "Icon"... canzoni veramente di buon livello!!!
In the passing light of day per me è stato un capolavoro...
questo a malapena raggiunge la sufficienza!!! |
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La mia impressione non può che essere positiva, un gruppo che passa dall'atmosfera calda e emozionante del disco precedente a questa roba qui è un gruppo con le palle. Non tutto brilla ma nemmeno Electric Ladyland di Hendrix sbrilluccicava tutto. |
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Semplicemente meraviglioso!! Album che ho letteralmente consumato, moderno ed elettronico ma con un gusto ed un talento che in pochi hanno. Per me 95 |
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Il peggior disco dei PoS. |
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Disco magari spiazzante se lo si vede essenzialmente come successore di In The Passing Light of Day. Trovo che rispetto al suo predecessore questo Panther (a parte un paio di episodi) sia molto meno “caldo”, meno “umano” e più “tecnologico”. Allo stesso tempo, pur nel suo differenziarsi, mantiene un punto di contatto con quanto venuto prima, una radice di fondo che attraversa la musica dei Pain of Salvation degli ultimi 10 anni. Non possono ad esempio non sentirsi echi dei due discussi Road Salt ascoltando i giri e le melodie di Species o Icon, o anche il refrain della title-track. Così come nella prima parte dell’album è più facile trovare agganci con l’album precedente. Allo stesso tempo un certo peso dato all’elettronica gli conferisce una precisa identità. Continuità e differenziazione quindi. Già questo non è da tutti. Per quanto riguarda il mio giudizio personale, devo dire però che a parte Accelerator e Wait il resto l’ho trovato raffinato, ben fatto, ma non troppo esaltante. Per come la vedo io, il confronto con ITPLOD (grandissimo album, ricordiamolo) è perso in maniera abbastanza netta, a prescindere da motivazioni stilistiche. Allo stesso tempo non è assolutamente un brutto album, anche se non lo trovo riuscito al 100%. È un altro tassello che si va ad aggiungere al mosaico della discografia dei PoS, che si fa sempre più multiforme e sfaccettata. Voto 77 |
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10
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Album raffinato che però mi ha lasciato abbastanza perplesso, un po' privo di impatto, troppo etereo per i miei gusti , trovo che manchi anche di sostanza e che perda vistosamente il confronto col precedente.. Da riascoltare con attenzione, comunque, nella speranza di modificare il giudizio iniziale. |
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9
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Disco meraviglioso. Lo ascolto da quando è uscito e continuo a farlo. tra le ultime uscite per me la migliore in assoluto. Dopo la rinascita "in the passing light of day" per me un altro grande passo e vi dirò anche più bello. Sperimentano nuovi lidi nel modo giusto non tralasciando il loro essere. Voto 95 |
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8
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Oh, è arrivata questa recensione che aspettavo! Mi trovo d'accordo sul giudizio complessivamente dato, se dovessi dare io un voto mi troverei proprio tra il 75 e l'80 (butto lì un diplomatico 77). "Restless Boy" e "Species" sono per me i momenti più deboli del disco, mentre "Keen to a Fault" è il vero pezzo a sorpresa del platter. Parlando dell'opera nel suo insieme, ci ha messo un po' di ascolti a prendermi, però il fatto che dopo i primi ascolti, non del tutto convincenti, io avessi ancora voglia di dare una nuova chance al disco l'ho trovato un fattore positivo. Cresce alla distanza. |
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7
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Noioso tranne per i primi due pezzi, ma per me i POS sono finiti da dopo Scarsick. |
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6
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Buona la prima parte, ma è un costante declino, quasi soporifero, verso la seconda che non intriga proprio. Secondo me un 60 stiracchiato. Appoggio pienamente l'analisi di Micologo, l'ho ascoltato per 3 settimane abbondanti, ma poi l'ho depennato dagli album scaricati di Spotify |
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5
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Mediocre.....ed il messaggio che vuole dare è che lui è un figo , un essere migliore degli altri....peccato che su 4 dei 5 ultimi album ha scritto solo pezzi mediocri......il successo gli è andato alla testa, tipo Akerfeldt degli Opeth.
Poi i gusti sono gusti.....ma questo non è Rock, non è Metal, non è arte e non c'è da capire nulla....solo musica mediocre di un egocentrico .
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4
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Un album estremamente interessante e non facilissimo da capire. La somma delle parti rende più delle singole canzoni (molto più organico nonostante la varietà rispetto a ITPLOD che vantava però un highlight superiore come On A Tuesday). Voto 82 I precedenti? Entropia 88, OHBTCL 87, The Perfect Element 100, Remedy Lane 97, 12:5 92, BE 95, Scarsick 75, RS1 76, RS2 70, ITPLOD 80 |
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3
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Ho apprezzato il loro coraggio di sperimentare e anche io l'ho ascoltato a suo tempo ma, come Micologo, non ne sento per nulla la mancanza. Peccato. |
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2
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Avevo letto tante recensioni e giudizi molto critici su questo album che era nata in me una mascohostica curiosità di ascoltarlo. Mi è piaciuto moltissimo dal primo ascolto. Ho apprezzato molto l'idea di sperimentare con un approccio sonoro diverso dal prog metal, e ancora adesso me lo ascolto volentieri. Decisamente un si per me. L'unica ota negativa è la produzione che non rende piena giustizia al sound del disco, facendolo suonare un po' troppo ovattato. |
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1
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Fra un po' finiva negli album rispolverati...battute a parte, l'ho ascoltato per due settimane quando uscì nel lontano caldo di fine agosto, carina la prima parte, carina Icon, ma sono due mesi e mezzo che non ne sento per nulla la mancanza...sul presunto concept non mi vorrei dilungare, preferisco ricordare Daniel quando dava vota a veri capolavori testuali oltre che musicali...qui invece emerge tutto l'egocentrismo di Daniel, ma mentre in In the passing light of day aveva senso ed era meglio gestito, qui diventa il protagonista...mi dispiace dirlo, ma da quando il fratello ha lasciato la band, nessuno è riuscito a tenere a freno la deriva ego-riferita di Danieluccio nostro...
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Accelerator 2. Unfuture 3. Restless Boy 4. Wait 5. Keen To A Fault 6. Fur 7. Panther 8. Species 9. Icon
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Line Up
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Daniel Gildenlöw (Voce, Chitarra) Johan Hallgren (Chitarra, Cori) Daniel Karlsson (Chitarra, Tastiere, Cori) Gustaf Hielm (Basso, Cori) Léo Margarit (Batteria, Cori)
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