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27/04/25
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Veil of Maya - The Common Man`s Collapse
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27/02/2021
( 1226 letture )
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“Djent: e che c…avolo sarebbe?”
Credo di non sbagliare affermando che un’esclamazione più o meno simile possa comparire nella maggior parte dei lettori, fatta eccezione, ovviamente, per gli appassionati di questo particolarissimo genere. Secondo i “sacri testi” facilmente reperibili su internet, il djent è “un sottogenere del progressive metal, contaminato in modo importante con elementi di metal estremo (metalcore e deathcore), principalmente caratterizzato da una forte enfasi sul groove e sui ritmi sincopati, da un ampio uso di poliritmie, assieme alla complessità dei riff in cui si trovano variazioni fra tonalità molto basse”. Definizione formalmente ineccepibile, ma non sufficiente a dare un’idea davvero esaustiva del fenomeno a chi si approcci per la prima volta. Allora, facciamo un tentativo differente. Avete presente i Meshuggah? Ecco, ci siamo. Il fenomenale quintetto svedese è unanimemente considerato il pioniere del genere, nonché il gruppo che più di ogni altro l’ha portato ai vertici, artistici (secondo molti) e di vendita (all’unanimità, dati alla mano). Ecco che, se facciamo mente locale alle caratteristiche peculiari del sound dei Meshuggah, la definizione sopra riportata acquista consistenza e concretezza. Sulla scia dei capostipiti svedesi, diversi gruppi, nel corso degli anni 2000, hanno iniziato un percorso artistico similare; e, fra questi, il quartetto statunitense dall’evocativo nome di Veil Of Maya ha saputo conquistare numerosi fan e appassionati di questo stile. Dopo l’esordio discografico del 2006 – All Things Set Aside – questo The Common Man’s Collapse costituisce la seconda prova discografica sulla lunga distanza per gli statunitensi.
I dieci brani che lo compongono, mediamente corti (poco più di mezz’ora la durata complessiva dell’opera) rientrano perfettamente nelle caratteristiche sonore sopra descritte. Innanzitutto, si tratta di pezzi che mostrano la non indifferente tecnica strumentistica del quartetto: ritmiche fulminanti, cambi di tempo repentini, tempi spezzati e ritmicamente intricati, stop & go continui sono all’ordine del giorno sin dalla opener Crawl Back (il primo brano è una semplice intro strumentale). Non mancano poi le vocals cavernose e iper-aggressive, solo in certi frangenti mitigate da linee strumentali melodiche, ad appannaggio della chitarra (notevole ad esempio il lavoro nella conclusiva It's Torn Away, probabilmente il pezzo migliore del lotto); il tutto mentre basso e batteria continuano a martellare incessantemente come magli. Tanto per dare un’idea più precisa di cosa si sta parlando: se analizziamo la complessità strumentale, possiamo tranquillamente dire che i nostri prendono le parti più tecniche e intricate di band come Dream Theater o Symphony X, e le triturano accuratamente, aumentandone ulteriormente la velocità e racchiudendo il tutto in piccole schegge sonore, che a volte superano di poco i due minuti e mezzo. Se si considera invece il lato dell’aggressività e dell’impatto, gli ultimi lavori di band come Dark Tranquillity o In Flames possono fare, all’ascoltatore abituale dei Veil Of Maya, lo stesso effetto che potrebbe dare l’ascolto di Baglioni ad un fan degli Iron Maiden. Ecco, in estrema sintesi la proposta contenuta in The Common Man’s Collapse è tutta qui.
Che dirne? Sicuramente gli appassionati del genere potranno apprezzarla a pieno; come già detto, le doti tecniche ed espressive dei nostri sono assolutamente indiscutibili, e apprezzabili anche per i non cultori del settore. È però altrettanto evidente come le scelte stilistiche ed esecutive fatte portino necessariamente la band a rinchiudersi in una nicchia particolarmente esigua: la complessità di ascolto e la totale mancanza di ogni compromesso della proposta dei Veil Of Maya può lasciare facilmente basiti e perplessi gli ascoltatori occasionali, anche coloro che sono avvezzi a sonorità estreme. Inoltre, se è vero che si riscontrano diversi frangenti compositivamente brillanti, è altrettanto vero che in gran parte i pezzi del quartetto americano finiscono per essere una sequela ininterrotta di riff, accelerazioni e improvvisi stop, accatastati gli uni agli altri senza un’apparente logica, finendo per assomigliarsi tutti fra di loro. Inoltre, come purtroppo spesso capita nel metal estremo, la voce in diversi punti tende ad essere monotona e ripetitiva, risultando quindi un elemento di debolezza invece che un punto di forza. Insomma, si tratta di un disco interessante e, all’epoca, ancora piuttosto innovativo; ma – in ambito metal estremo e tecnico – il peso specifico, e l’importanza storica di album quali The Mind’s I (Dark Tranquillity), Colony (In Flames), o l’irraggiungibile capolavoro The Sound Of Perseverance (Death) restano ancora molto distanti. Tuttavia, per i cultori del djent è sicuramente un passaggio vivamente consigliato.
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8
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ma assolutamente, il mio commento non si riferiva a te ma a quelli che continuano a fare paragoni estremamente stupidi con dischi come the sound of perseverance o allo screditare le evoluzioni di certi generi, io sinceramente sarei propenso a dare un 80 a questo e un quasi 90 al prossimo id, adoro la dinamicità delle composizioni e come restino subito in testa al primo ascolto |
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7
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Io sinceramente ascolto un sacco il genere, quindi non capisco proprio queste accusa gratuite. Avevo solo sottolineato come negli ultimi anni sia in fisiologico declino, tutto qui. Ogni genere musicale è ciclico e questo vale anche per il Djent. |
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6
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se la metti in quest'ottica anche tantissime evoluzioni del metal anni 90 cascano, è come se molti avessero ancora questa percezione abbastanza retrograda del metalcore e del deathcore in cui è tutto visto come un riciclo quando non lo è |
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5
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Ma si, le evoluzioni sicuramente ci saranno, il discorso riguarda la sostanizalita' effettiva di certi cambiamenti... |
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4
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da fan del genere trovo insipide le critiche, a sto punto secondo il ragionamento che usate anche il death metal è nato gia vecchio, dato che possessed, kreator e slayer usavano riff in tremolo e voci in scream/growl gia anni prima di altri, se non ascoltate la corrente musicale evitate di dare opinioni, ci fate una figura migliore |
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3
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Comprensibile, per molti era un genere che già nasceva vecchio, quindi non mi sorprende che sia evaporato così... |
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2
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Esistere, esiste sebbene negli ultimi anni un po' in declino fisiologico e di certo la proposta dei Veil of Maya lo è solamente in piccola parte (sono più un gruppo metalcore). In ogni caso questo disco è molto acerbo, la vera spinta compositiva la hanno avuto solamente con Matriarch nel 2015, un vero gioiellino di album che ancora oggi ascolto con molto piacere. |
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1
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Ma ancora esiste il djent? O meglio, ancora se ne parla? |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Wounds 2. Crawl Back 3. Mark the Lines 4. It's Not Safe to Swim Today 5. Entry Level Exit Wounds 6. Pillars 7. We Bow in Its Aura 8. All Eyes Look Ahead 9. Sever the Voices 10. It's Torn Away
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Line Up
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Brandon Butler (Voce) Marc Okubo (Chitarra) Kris Higler (Basso) Sam Applebaum (Batteria)
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RECENSIONI |
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