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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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11/07/2023
( 1345 letture )
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Se siete amanti del djent avrete atteso con ansia l’uscita di questo disco. Benchè non si siano quasi mai fermati in quanto ad attività live, condividendo il palco con gli altri grandi nomi della scena -core (Avatar, Born of Osiris, Dance Gavin Dance, Animals as Leaders, Periphery, Crown the Empire, Attila), i Veil of Maya tornano con il loro settimo album in studio [m]other, via Sumerian Records, dopo False Idol del 2017. Un’attesa, stando a quanto dichiarato dal chitarrista Marc Okubo, causata dalla decisione della band di scartare gran parte di ciò che avevano registrato in precedenza. Un disco che però è partito ad elargire i primi gemiti ad aprile 2022 con la pubblicazione del primo singolo Synthway Vegan; il mixaggio è poi iniziato a settembre e la strada verso la pubblicazione, avvenuta il 12 maggio 2023, ha visto l’uscita di altri 3 singoli.
L’artwork di [m]other sembra riprendere la raffigurazione dell’ottimo Matriarch (2015), ritornando ad una rappresentazione, questa volta futurista, di una divinità femminile con più braccia. Iconografia che rimanda alla dea indiana Kali, compagna di Shiva, crudele, selvaggia, libera e dirompente. Essa rappresenta la natura potente del femminile che genera e distrugge, che incarna l’istinto primordiale, rappresenta l’amore della vita e la trasgressione nel porvi fine e possiamo affermare che questo disco ne incarna il ricordo con la follia, la dolcezza e la ferocia. La band di Chicago non abbandona infatti alcune strutture massicce deathcore, qualche breakdown cattivissimo e per fortuna non banale, sfuriate djent iper-tecniche che quasi sfociano nel mathcore e due o tre incisi clean, un po' “telefonati” ma estremamente incisivi e accattivanti. Il frontman Lukas Magyar, che nel 2015 ha sostituito l’uscente (per divergenze artistiche) Brandon Butler, mostra di essere migliorato sia in tecnica che in ecletticità poiché lungo tutto il disco sembra mostrare un range vocale più flessibile, un po' ruffiano ma centrato in quei puliti che ha introdotto apportando un lieve cambio di rotta nella band; incredibilmente cattivo anche nei growl e catartico nei witch-scream. Il lavoro mostruoso, in realtà, lo fa Okubo che riesce a smazzarsi da solo il fulcro delle idee chitarristiche dei Veil Of Maya con la sua chitarra abbassata e incredibilmente virtuosa ma con idee piacevolmente “malate”; sostenuto dal basso a 7 corde di Hauser che supporta il groove e con il buon Applebaum alla batteria che fa sempre il suo lavoro ma mostra un suono, soprattutto del doppio pedale, molto secco e quindi poco coinvolgente quando i suoi fill si distanziano dalla struttura principale. Il disco è stato prodotto da Zach Jones (Chelsea Grin, Fit For A King, Silent Planet) ed ha il tipico suono -core esplosivo, ma che risulta essere un po' plasticoso per la sua omogeneità sonora e poco emozionale nel complesso. Tuttavia una delle caratteristiche positive di [m]other è la presenza di synth accostabili ad un’influenza dei Sigur Rós (dichiarata dalla band) che rende la proposta coesa e croccante.
Le parti davvero interessanti sono l’inizio e la fine: Tokyo Chainsaw è una bomba introduttiva devastante, con un main riff djent di chitarra talmente poco usuale da essere geniale facendovi alzare il sopracciglio compiaciuti. Dobbiamo poi fare un salto alle ultime tre tracce, il primo singolo Synthwave Vegan, Lost Creator e Death Runner che stimoleranno il moshpit e farebbero venire la bava alla bocca a qualunque appassionato di technical-death metal. L’altro lato positivo è la vena pop dei ganci negli incisi di Artificial Dose e Red Fur oltre a Disco Kill Party in cui viene fuori la parte “cazzona” dei Veil Of Maya che potrebbero stringere la mano agli Electric Callboy. I pezzi che convincono meno iniziano con Godhead, che è un brano cattivo ed in linea con lo stile del disco ma, purtroppo, non lascia nulla a causa di una struttura inconsistente. Un altro è [re]connect, col suo gancio interessante alla Deftones dove però il virtruosismo inizia ad essere un po' stucchevole con divagazioni virtuose che esaltano la maestria tecnica di Marc che però ostenta riportando nulla che i Polyphia non abbiano già proposto ma in versione -core. Qui è presente, inoltre, quello che appare essere il primo ritornello emotivo ed emozionale, ma di fatto il pezzo viene abbattuto dopo i 2 minuti e 20 in cui decade qualunque tipo di appeal e curiosità. Infine l’omonima Mother pt. 4 contiene una cavalcata alla August Burns Red e un’evocazione che emula a tratti i Born of Osiris, ma include un hook melodico non all’altezza di ciò a cui la band dell’Illinois ci ha abituati facendolo apparire debole. Poco comprensibile chiudere un disco che si è posto l’obiettivo di essere un’esplosione di energia con un fade out della conclusiva Death Runner.
Ci troviamo di fronte ad un altro buon album dei Veil of Maya dell'era di Lukas Magyar alla voce, che continua a scrivere ritornelli estremamente orecchiabili. [m]other è un disco elegante e brutale, soffice e caustico, breve (poco più di 35 minuti), capace di mescolare le epoche della band in modo altalenante ma coeso, divertente per fare headbanging e relativamente poco impegnativo, accessibile in alcuni casi ma nel complesso veloce, aggressivo e selvaggio. Purtroppo qualche traccia gli fa mancare il bersaglio per essere un grande album per questo genere. In ogni caso, è un graditissimo ritorno.
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8
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Un disco secondo me molto godibile e che nel suo complesso funziona. Secondo me l\'apice compositivo lo avevano raggiunto con Matriarch, mentre False Idol non mi aveva troppo convinto |
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7
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Album che ha alcune gradite sorprese e altre sfaccettature che mi sono piaciute meno, la grande colpa è stato proprio il non inserire tutti i singoli usciti durante gli anni nel disco di per se, avrebbe raggiungo anche un 85 come voto.
Comunque scopiazzature non ce ne sono, i VoM girano già dal 2004, se prima erano piû dogmatici nel vecchio stile deatchore, hanno poi trovato la loro strada da [id] con songwriting più djent, per poi tuffarsi in un metalcore/djent tecnico anche a cause del cambio lineup. L’unica band che può suonare simile ai Vom sono i Born of Osiris. |
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6
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i lorna shore non c\'entrano letteralmente nulla con i veil, ma che paragone è, hanno sempre avuto questo stile dai tempi dei primi dischi, mo non è che se metti dei blastbeat copi un gruppo, è lo dico da uno che ascolta i lorna shore dai tempi in cui c\'era tom barber, sono due band completamente diverse e con due identità stilistiche completamente diverse |
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5
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Lorna Shore. Mi é scappata una esse in più... |
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4
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Tutta questa attesa per un disco noioso e secondo me poco ispirato. Non capisco perché tirare in ballo i Dance Gavin Dance che con i Vail of Maya c\'entrano poco o nulla. Per me Matriarch è False Idol erano dischi di \"maturità\" in cui avevano messo a fuoco il loro stile. Ora non li riconosco più e lo trovo prevedibili e scontati. Non c\'è nulla di nuovo in quello che fanno. Ame sembra che scimmiottino (ed é stato sempre un loro vizio quello di scopiazzare in giro...) il successo di alcuni gruppi come i Lorna Shores. Insomma per me bocciati. Preferisco ascoltare i loro precedenti lavori. |
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3
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per me uno dei dischi dell\'anno, okubo è un chitarrista/compositore incredibile e in sto disco c\'è la loro musica più ambiziosa, anche se non è ai livelli di id ed eclipse che ritengo essere dei capolavori, ormai il loro lo hanno fatto per il genere e non hanno più da dimostrare nulla, però apprezzo la volonta dei membri di rimescolare le carte in tavola e tirarci in mezzo nuova roba come le parti synthwave o il ritorno delle influenze più deathcore e arzigolate, tanta roba |
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2
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@Mirko non conosco ancora approfonditamente i Dance Gavin Dance ed il math rock (recupererò) e mi sono perso questo dettaglio. È il primo accostamento che mi è venuto in mente ed effettivamente i Polyphia sono decisamente più recenti.
Ho iniziato da poco a recensire il genere..abbiate pietà 🙏🏻 Chiedo venia e grazie per l’appunto! Continuate così 🙂 |
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1
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Gli do cinque punti in più: a mio parere, come nei precedenti, svolgono il loro compito in maniera ottima ma manca sempre quel piccolo saltino per renderli duraturi nel tempo.
Un solo appunto sui \"virtuosismi\" di Reconnect: lì i Polyphia non c\'entrano, quella è tutta roba di scuola math rock della quale i Dance Gavin Dance sono maestri da ben prima (e Okubo non ha mai nascosto la sua ammirazione/ispirazione verso di loro). |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Tokyo Chainsaw 2. Artificial Dose 3. Godhead 4. [re]connect 5. Red Fur 6. Disco Kill Party 7. Mother pt. 4 8. Synthwave Vegan 9. Lost Creator 10. Death Runner
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Line Up
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Lukas Magyar (Voce) Marc Okubo (Chitarra) Danny Hauser (Basso) Sam Applebaum (Batteria)
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RECENSIONI |
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