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Dirty Honey - Dirty Honey
23/04/2021
( 2585 letture )
La sfavillante irruzione nel panorama hard rock dei Dirty Honey, quartetto californiano di predestinati con il rock ‘n’ roll nelle vene, costellata da una lunga serie di record susseguitosi alla pubblicazione dell’EP, primo fra tutti l’onore di aver piazzato un singolo autoprodotto al primo posto della Billboard’s Mainstream Rock chart, ha aumentato la spasmodica attesa per un debutto ufficiale che però tardava a vedere la luce, avvolto in un emblematico alone di mistero e silenzi.
D’altronde Marc LaBelle & soci si sono sempre dichiarati contrari ad accelerare il processo di scrittura delle nuove canzoni e hanno perseguito con coerenza il cammino della totale libertà artistica che li vede tutt’oggi svincolati da contratti discografici e quindi esenti dalla conseguente ansia di sottostare alle rigide scadenze delle etichette.
Per degli animali da palcoscenico come loro, tuttavia, lo stop forzato dei live deve aver inciso notevolmente sulle priorità a cui dar credito e così, come tante altre compagini penalizzate dalle restrizioni legate alla pandemia, i quattro hanno finalmente messo nero su bianco idee ed energia, componendo nuova effervescente musica sulla scia delle sonorità già apprezzate nell’EP, maturate poi nelle otto tracce facenti parte del primo full-length, ancora una volta omonimo, con copertina speculare che vede maliziose labbra socchiuse in procinto di dischiudersi, a riprova di un legame indissolubile con il punto di partenza della loro carriera.
Potremmo dire che EP e album sono due facce della stessa medaglia nonché espressioni fedeli della verve creativa dei Dirty Honey, il primo tendente al blues, il secondo maggiormente incentrato verso un hard rock dalle sonorità retro vicine agli anni Settanta (ma non solo).

Ripartire da dove ci si era lasciati, dunque, con un solo dichiarato obiettivo: divertire.
Ed in tal senso non manca all’appuntamento l’opener California Dreamin’, eletta come singolo di partenza, traccia adrenalinica che presta particolare attenzione alla melodia, capace di stamparsi subito nella mente e trascinare l’ascoltatore in un caldo vortice di sensazioni positive e familiarità.
L’ugola di Marc LaBelle riconferma l’ottimo stato di salute, con il distinguibile graffio intriso di sensualità, ribadendo, qualora ce ne fosse bisogno, quanto il vocalist americano rientri nella top ten dei migliori interpreti del genere al giorno d’oggi.
I compagni gli danno manforte confezionando un pezzo fresco e dall’incedere deciso, in particolare grazie all’apporto della sei corde di John Notto, sempre ispiratissima e tagliente, alle accelerazioni bollenti al basso di Justin Smolian e al drumming passionale e sudato di Corey Coverstone. Il giro armonico che scandisce il ritornello è un piccolo capolavoro di semplicità mista ad efficienza: le scelte operate in fase di songwriting, infatti, privilegiano pochi accordi in successione che hanno il gran merito di impiantarsi nel cervello con una naturalezza senza eguali, dialogando con gli acuti di LaBelle e ricreando un’atmosfera caliente che vi porterà le highways della California direttamente nelle cuffie, risparmiandovi lo sforzo nel prenotare un biglietto per percorrerle senza sosta.
Si origina dal connubio basso/batteria, in un battito all’unisono, e si scatena poi sui licks di chitarra (con assolo memorabile) la successiva The Wire, canzone in grado di risvegliare la passione mai sopita per le soluzioni già in voga negli anni Settanta con un settaggio degli strumenti fortemente vintage.
Tied Up, con l’arrangiamento che strizza l’occhio al funky pur senza approfondirne lo sviluppo e l’utilizzo della controvoce nel ritornello, rientra fra i migliori episodi del lotto e trova il suo apice nella straordinaria chiusura, ove è possibile spendere lodi all’infinito a favore di una manciata di secondi nei quali Marc Labelle ci delizia cantando a cappella in botta e risposta con un coro al femminile. Da stropicciarsi gli occhi: impostatela pure come suoneria per il vostro smartphone, signori!
Un riff arcigno in stop ‘n’ go regala un altro gustoso assaggio di Seventies, alternando circolarità e fantasia, nella prossima tappa del tour organizzato dai Dirty Honey che riabbraccia il groove in Take My Hand e fareste bene a stringerla forte quella mano, visto che non c’è un solo attimo di tregua concessovi dai nostri, irresistibili ed ipnotici dall’inizio alla fine.
La frenesia nelle accelerate di Gypsy, almeno prima del ritornello evocativo che risveglia l’inossidabile vena blues, è un altro diamante allo stato grezzo da contemplare e non a caso sta rapidamente sfondando i contatori di views e ascolti sulle piattaforme digitali. Si tratta infatti di una canzone che ben fotografa e immortala le influenze care ai californiani, come abbiamo visto debitrici del blues ma anche della matrice hard rock.
Ritmi dosati sul quattro corde di Justin Smolian a colorarne il timbro e dettarne la progressione caratterizzano la placida No Warning e si assiste a un cosiddetto ‘’calo’’ in termini di bpm anche in The Morning, ove sarà però possibile apprezzare le vocals di LaBelle risplendere sulle note gravi. Un fuoriclasse.
La conclusiva Another Last Time volge lo sguardo al southern, configurandosi come pezzo dalle armonie moderate e garbate, nel quale la band mantiene un profilo basso pur non disdegnando di riservare maggiore enfasi nello stupendo assolo d’alta scuola eseguito da John Notto, chitarrista che raramente si abbandona ai tecnicismi, ma che ha dalla sua una padronanza tale dello strumento da sfornare, all’occorrenza, tanto il riff indimenticabile quanto il fraseggio perfetto.

I Dirty Honey raggiungono il traguardo del debut senza tradire le aspettative di chi, come il sottoscritto, ne aveva acclamato i pregi con entusiasmo e sincera convinzione.
L’album è la degna prosecuzione dell’EP e compie un passo in avanti, giacché interiorizza l’influsso blues favorendo l’esplosività tipica dell’hard rock ancora parzialmente inespressa, e di fatto completa il puzzle relativo all’identità della band con l’aggiunta di nuovi preziosi tasselli.
Il disco sfrutta dunque le potenzialità dei Dirty Honey a 360 gradi e mette a fuoco l’idea che ciascuno potrà farsi della band, ora più nitida, vista l’ampia panoramica offerta sul sound, sviscerato in ogni suo aspetto.
Dovessimo muovere una critica, non potremmo esimerci dal constatare la brevità del minutaggio: appena 30 minuti che scorrono forse troppo veloci lasciando un pizzico di amarezza.
Ci è sembrato infatti che sul più bello mancasse la ‘’sostanza’’ da valutare per gridare al capolavoro.
Intanto siamo sicuri che alcune delle tracce di Dirty Honey accompagneranno la nostra colonna sonora estiva, com’era avvenuto con When I’m Gone e Rolling 7s, canzoni di spicco e di successo incluse nell’ EP.
Toccherà rimandare il giudizio definitivo sul quartetto californiano al prossimo appuntamento in studio, con la speranza di applaudire la definitiva consacrazione di uno dei gruppi più promettenti degli ultimi anni.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
72 su 9 voti [ VOTA]
duke
Venerdì 23 Aprile 2021, 22.04.03
1
...l'ep non era male....band talentuosa.....cerchero' questo disco.....
INFORMAZIONI
2021
Dirt Records
Hard Rock
Tracklist
1. California Dreamin’
2. The Wire
3. Tied Up
4. Take My Hand
5. Gypsy
6. No Warning
7. The Morning
8. Another Last Time
Line Up
Marc LaBelle (voce)
John Notto (chitarra)
Justin Smolian (basso)
Corey Coverstone (batteria)
 
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