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Steve Vai - Sound Theories Vol. I & II
( 6882 letture )
Ennesima sudata prova del Maestro, Sound Theories ci mostra Steve Vai nella non troppo inconsueta veste di direttore d’orchestra. Egli infatti, pazzo com’è, affianca una vera e propria orchestra sinfonica, alla quale affida l’ingrato compito di riarrangiare i propri brani. La nuova opera di Vai si divide in due parti: la prima, sottotitolata The Aching Hunger, vede Steve Vai alla chitarra, accompagnato dalla splendida Metropole Orkest, mentre la seconda, Shadows and Sparks, vede impegnati solo gli strumentisti classici, orfani della magnifica ed estrosa ascia elettrica del Vate. Si conclude, con questo disco, la parabola zappiana di Vai. L’alunno raggiunge, ma non supera, il maestro. Nonostante la conclamata bravura e l’indiscussa genialità, il punto di arrivo dello scolaro Vai è meno altisonante del suo pluridecorato mentore artistico. Il discente ha certamente appreso tutti i dettami di Zappa, ampliando senza freni inibitori la sua smodata sensibilità artistica, ma paga la colpa di essere, troppo spesso, autoindulgente, tamarro e logorroicamente superfluo sulla tastiera giapponese, che cinge come una tagliente katana. Il passo dal rock all’orchestra è però, probabilmente voluto da tempo. I brani di Vai, scelti tra i classici, vengono sconvolti, ma impreziositi, dalla splendida esecuzione dell’orchestra Metropole. Il pubblico abituato alle stravaganti messinscena del folle Vai, non si stupirà certamente nel sentire il leitmotiv di The God Eaters appena sussurrato da un quintetto di violoncelli. L’operazione in sé non è nuova d’altra parte; già i Metallica, in passato, si erano fatti accompagnare dall’eccentrico Kamen alla guida di tutta l’orchestra sinfonica di S. Francisco. La differenza però sta nel fatto che qui la controparte classica non ha la mera funzione di accompagnare il brano, ma vi penetra all’interno, nell’intima trama musicale, al fine di stravolgerlo e riarrangiarlo nella sua interezza. La stupefacente chitarra di Vai si fonde con gli strumenti ad arco, i timpani e i fiati; ogni sezione dell’orchestra segue una ben definita partitura e l’insieme è davvero mostruoso. Le singole parti vengono stravolte e quando vi aspettate il tema urlato dalla chitarra di Steve Vai, lo trovate invece accennato talvolta da un violino, altre da un oboe o da una tromba. Gli archi seguono splendidamente le melodie tessute dalle dita di Vai, che, fattosi parco di note, per una buona volta, è meno invasivo del solito e si lascia compenetrare dalla musica totale del quale vuole farsi messia. La ricerca senza fine iniziata da Zappa è qui (forse) conclusa da Vai. Le vette dell’Himalaya forse non sono ancora state raggiunte, ma siamo ad un passo dalla vetta. Questa è musica irraggiungibile e totalmente mutuata da un genio istrionico, capace di unire in un’unica saldatura d’acciaio il rumorismo à la Edgar Varèse, la comicità ipertecnica di Frank Zappa, il blues di Robert Johnson, il metal degli Slipknot e dei Korn e tutta la generazione Strauss. Con l’aiuto dell’orchestra la musica di Vai trova, a mio parere, la sua completezza. L’arditezza delle forme musicali, il continuo inseguirsi di note, fraseggi e colpi di genio, trova la sua giusta posizione all’interno di un contesto compositivo degno del più abile Bach. Violini, flauti, violoncelli e marimba riscaldano le corde del cuore e lasciano un appagato senso di pienezza morale. Vai è riuscito, come pochi altri, a fondere la sua visione della vita con la vita stessa, profondendo un insano aroma fatto di notte soffuse e confusionarie, ardite e allo stesso tempo dolci come il canto delle Sirene. Questo è un disco che aspettavamo e sinceramente non so più cosa aspettarmi da un genio che, nonostante le pagine a volte ridondanti ed esagerate à la Mike Varney impresse su disco in carriera, ha raggiunto l’apice artistico e compositivo. Gentle Ways è un ottimo regalo di Natale, da ascoltare affacciati alla finestra mentre fuori nevica. Romanticismo ottocentesco in salsa wordsworthiana. Si tratta di pura poesia tradotta in linguaggio musicale. Non mancano anche le consuete parti divertenti, nelle quali il tecnicismo è comunque presente in maniera massiccia, ma mascherato astutamente da un velo di sottile auto-ironia e comicità musicale; è il caso del fraseggio di Answers. Liberty diventa ancora più inno di quanto non lo fosse prima, regalando impagabili momenti di gioia agli astanti. Va infatti ricordato che il disco è stato registrato con una tecnica mista tra live e studio. L’orchestra ha incontrato Steve Vai alla scuola di musica classica di Rochester e, in seguito, sono state fatte alcune date dalle quali sono state estratte alcune registrazioni. Concludono il primo cd The Attitude Song e For The Love of God. Al primo brano non viene aggiunto null’altro che un’enfatica sezione d’archi, il secondo invece diventa la parabola della perfezione. Una partitura già matura e collaudata, grazie alla splendida esecuzione della Metropoli Orkest, non può che assurgere al titolo di capolavoro. La pièce vaiana, inno di una generazione di shredders, diventa una sublime cavalcata verso l’infinito e delimita i confini della musica sperimentale. Introdotta dagli archi olandesi della Metropole (Siano lodati questi ragazzi! Non è facile trovare dei musicisti classici che si “abbassino” a tale tipo di sperimentazioni. A volte l’ignoranza si cela dietro a grandi studiosi che si nascondono nel loro piccolo mondo) e dalle splendide percussioni di Arno Van Nieuwenhuize, la versione orchestrale di For The Love Of God è semplicemente MONUMENTALE. Da ascoltare assolutamente. Solo Fegiz direbbe che Vai non hai poi suonato mica tanto bene…”
La seconda parte (disc two), intitolata Shadows And Sparks, è completamente dedicata all’orchestra, lasciata sola dalla chitarra di Vai. Fischietti brasiliani, rico rico e percussioni di ogni tipo aprono il Gran Concerto, omaggiando rumorosamente l’istrionismo zappiano. E’ un crogiuolo di dissonanze e pelli accordate, quello che ci introduce un disco di musica contemporanea d’avanguardia dal gusto sopraffino e dal sapore verdiano contemporaneamente. Si tratta di brani e temi della lirica vaiana riproposti sottoforma di orchestrazione classica. Geniale! Senza rendercene conto, tra un violino, una tromba, un violoncello e un ottavino, riaffiorano i temi dei brani più celebri di Vai, come, ad esempio, il fraseggio pellerossa di Whispering A Prayer, confusi nella profonda nebbia di un’orchestrazione fuori da ogni criterio comparativo. La Metropole, guidata dal direttore/compositore Vai, riesce ad unire la freddezza formale di Strauss e il vertiginoso e logico caos programmatico dei Weather Report alla straordinaria e disincantata prosopopea à la Frank Zappa, la folle ed arguta lucidità di Captain Beefheart alla straordinaria perizia tecnica di Satriani e soci. Malmsteen dovrebbe ascoltare bene questa sezione della discografia vaiana e fare un bel compitino a casa. Alcuni passaggi rasentano la musica da film e lo spaghetti western à la Sergio Leone, evocando qua e là il festante scampanellio delle orchestrazioni di Ennio Morricone. Vai dà veramente sfogo a tutto quello che ha dentro, e ragazzi, fidatevi, è una meraviglia per le sinapsi. Il primo violino Arlia de Ruiter offre una straordinaria interpretazione nella seconda pièce, Sparks. Se qualcosa deve luccicare, è il suo talento. Le parti di pianoforte sono semplicemente sublimi e gli archi da apprendista stregone si alternano in staccati e pause degne dello Schiaccianoci. Non trovo poi così strano che in un album di Steve Vai improvvisamente si presenti uno xilofono, che, tra le altre cose, annuncia un poco rasserenante sezione dedicata alla potenza di violini, viole e violoncelli sostenute da un incredibile lavoro all’archetto da parte dei contrabbassi. La parte finale di Sparks diventa una festa hoolywoodiana, trionfante e glitter al punto giusto. Riemergono dal subconscio gli orientalismi indiani del Circo di Montecarlo e le percussioni da veglione e le tigri festanti pungolate dai nani volanti nelle successive sezioni del disco, Frangelica (pt I e II). Punto d’incontro tra musica classica, rock e qualsiasi amenità musicale post-moderna estratta casualmente dal cilindro magico, Frangelica, nella sua statuaria saldatura compositiva, è un esempio di magnificenza orchestrale. Helios And Vesta è una granitica composizione a metà strada tra il fregio del Partendone e la Gioconda, frullate insieme con salsa rock. Riecheggiano alcuni baroccheggianti motivi à la Emerson Lake & Palmer, con smodato uso delle tastiere e del sintetizzatore. Conclude Bledsoe Bluvd, brano dal curioso titolo (mi son sempre chiesto in base a cosa si dà il nome a uno strumentale!), dove la fanno da padrone gli ottoni, schierati e in gran lustro! Grande spolvero anche per la chitarra di Peter Tiehuis, insolito collaudatore antartico di strumenti a corda vaiani. Vibra come il maestro. Quasi incredibile.
In definitiva un disco per molti e per pochi, nel senso che è fruibile da una moltitudine di personaggi di diverse estrazioni musicali, ma godibile solo per ascoltatori dal panato fine. Per assaporare la zuppa musicale di Steve Vai, bisogna conoscere a fondo una dottrina già consolidata in amenità stilistiche collaudate nei remoti angoli dell’universo para-musicale. E come diceva Fripp, “la completa libertà la si trova solamente nel rigore e nella disciplina più totali”. Ascoltate questo disco e capirete perché.

P.s. Unica pecca dell’intera discografia vaiana: le copertine e l’iconografia insopportabilemente tamarre. Ma perché? Proprio non riesco a digerirle. Genio e Sregolatezza.



VOTO RECENSORE
95
VOTO LETTORI
36.6 su 25 voti [ VOTA]
jemini
Martedì 27 Ottobre 2009, 15.33.42
5
bello ma tende a stufare...preferisco steve più genuino...quoto ,la copertina è veramente pacchiana XD
Shitooh
Venerdì 11 Gennaio 2008, 18.09.05
4
M ... Mer.... Merd ..... Molto Bravo.
Yossarian
Domenica 30 Dicembre 2007, 20.37.32
3
....piaciute....
Yossarian
Domenica 30 Dicembre 2007, 20.36.34
2
Ho ascoltato il disco. Nn mi sono piacuite le canzoni tradotte in questa maniera. Mi sembra che ormai gli artisti, quando nn sanno + cosa fare, decidono di misurarsi con l orchestra, boh, gusti personali!
Francesco Raven
Sabato 29 Dicembre 2007, 15.58.03
1
Il recensore Mascarato colpisce ancora
INFORMAZIONI
2007
Epic/Red Ink
Rock
Tracklist
Part I: “The Aching Hunger”

1) Kill The Guy With Ball
2) The God Eaters
3) The Murder Prologue
4) The Murder
5) Gentle Ways
6) Answers
7) I’m Becoming
8) Salamanders In The Sun
9) Liberty
10) The Attitude Song
11) For The Love Of God

Part II: “Shadows And Sparks”
1) Shadow And…
2) Sparks
3) Frangelica (pt. I)
4) Frangelica (pt. 2)
5) Bledsoe Bluvd
Line Up
Steve Vai: Concert Master/Composer/guitars
The Orchestra:
1st Violin:
Arlia de Ruiter (Concert master), Vera Laporeva, Denis Koenders, Linda Dumessie, Erica Korthals Altes, David Peijnenborgh, Erik Kromhout, Seija Teeuwen
2nd Violin:
Merijn Rombout, Herman van Haaren, Simone Viestra, Wim Kok, Elisabeth van de Heuwel, Doesjka de Leu
Viola:
Aimeè Versloot, Mieke Honigh, Julia Jowett, Iris Schut, Norman Jansen
Cello:
Wim Grin, Annie Tangberg, Jascha Albracht, Jos Teeken
Bass:
Erik Winkelman,, Arend Liefkes, Tjerk de Vos
Flute/Clarinet:
Friederike Darius, Jeanine Abbas
Saxophone/Clarinet:
Marc Sholten, Paul van der Feer, Leo Janssen, Werner Janssen, Juan Martinez Schrijver
Oboe/Clarinet:
Willem Luijt
Bassoon:
Jaap de Vries
French Horn:
Joeri de Vente, Hans van der Zanden
Trumpet:
Jan Oosthof, Jan Hollander, Henk Heijnk, Ruud Breuls
Trombone:
Hansjoerg Fink, Martin De Kam, Bert Pfeiffer, Jan Bastiani
Tuba:
Joost Smeets
Percussion:
Arno van Nieuwenhuize,, Murk Jiskot, Mike Schapercalus, Martin Baai
Harp:
Joke Schonewille
Piano:
Hans Vroomans, Chris Opperman
Keyboards:
Carlo van der Put
Moog on "Helios And Vesta"
Chris Opperman
Electric Guitar:
Peter Tielhuis
Electric Bass Guitar:
Bryan Beller.
 
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