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Danny Elfman - Big Mess
20/06/2021
( 1508 letture )
Che Danny Elfman sia conosciuto principalmente per i suoi lavori come compositore in ambito cinematografico è un dato di fatto e basterebbe citare un brano dalla colonna sonora di The Nightmare Before Christmas per mettere tutti d’accordo, anche se le possibili altre citazioni si sprecano.
Non è scontato però ricordarsi dei natali del musicista in ambito pop, quello stesso ragazzo appassionato di musica contemporanea e jazz che invitava ad appuntamenti galanti la sua compagna di classe Kim Gordon e nel frattempo, mentre l’amore per la composizione si sviluppava sempre di più, metteva insieme i componenti adatti per la sua band Oingo Boingo. Il gruppo, nato nel 1979, era la valvola di sfogo del giovane Elfman, un modo per dedicarsi a sonorità new wave e ska all’infuori dei sempre crescenti lavori su commissione per registi all’epoca emergenti come Tim Burton. Un gruppo che ebbe vita relativamente lunga – 17 anni di attività – ma che raggiunse risultati decisamente pregevoli.
Il destino però volle per il compositore una vita votata alle colonne sonore, che riservavano sempre più libertà artistica, ma anche confini ben definiti sia dai registi e dagli addetti ai lavori, sia dallo stesso formato cinematografico. Nonostante ciò comunque i lavori solisti del musicista losangelino non mancarono, a partire da quel So-Lo pubblicato nel 1984 ed erroneamente associato agli Oingo Boingo: un album synth pop discreto che ospita, oltre ai membri della band appena citata, anche un giovanissimo Michael “Flea” Balzary al basso. Proprio l’anno precedente il bassista aveva rinominato la sua band Red Hot Chili Peppers.
L’ultimo album degli Oingo BoingoBoingo – uscì invece nel 1994 e decretò la fine del gruppo.
Bisognerà aspettare il 2006 e il 2019 per leggere il nome di Danny Elfman slegato dal contesto cinematografico, dapprima con Serenada Schizophrana, un’opera di musica sinfonica in sei movimenti commissionata dalla American Composers Orchestra e poi utilizzata come colonna sonora per il documentario Deep Sea 3D del 2006; ma è soprattutto Eleven Eleven che ribadisce la libertà artistica del compositore, qui alle prese con il suo primo concerto per violino. La musica è stavolta commissionata dalla Czech National Symphony Orchestra, dalla Stanford University e infine dalla Royal Scottish National Orchestra, ma Elfman non ha alcuna regola da rispettare e può dare vita ad un’opera contemporanea memore delle inflessioni jazz di Leonard Bernstein, le quali flirtano con l’impianto strumentale più tradizionale di compositori come Shostakovich e Ravel.
Sebbene questi lavori siano più o meno svincolati dal legame con il mondo del cinema, essi nascono sempre su commissione e non su iniziativa stessa del compositore. È dunque in questo 2021 che assistiamo ad una vera svolta artistica che porta il nostro a riallacciarsi proprio agli anni di oro degli Oingo Boingo e a riprendere ciò che la band aveva abbandonato nel 1994.

Sarebbe improprio però parlare di Big Mess, il nuovo album solista di Danny Elfman pubblicato lo scorso 11 giugno, semplicemente in questi termini poiché, sebbene l’eredità degli Oingo Boingo sia più che presente, questo disco va a toccare un territorio ancora parzialmente inesplorato dal compositore americano.
I diciotto brani dell’album sono nati prevalentemente durante il 2020 e la scintilla che ha fatto divampare la fiamma creativa è stata, ormai pare banale dirlo, la condizione psicologica e sociale vissuta dall’umanità intera durante l’anno appena trascorso, con titoli che rimandano in maniera esplicita alla pandemia globale.
Lo stesso titolo – Big Mess – va a rappresentare al contempo il grande delirio che regna attualmente nella società mondiale e il caos personale dello stesso Elfman, il quale considera il disco come una immensa “cacofonia”, così come egli stesso si autodefinisce.
In effetti nei settantadue minuti dell’opera si assiste a un vero tripudio di influenze musicali tra le più disparate con conseguenze positive, ma anche negative; la maestria compositiva non viene mai messa in discussione, ma anzi è messa al servizio di una dimensione strumentale prettamente industrial rock, con abbondanti dosi di elettronica che riescono a fondersi con l’impianto orchestrale che mantiene riconoscibile l’impronta del compositore. Nel bel mezzo di queste due aree sonore sulla carta contrastanti vi è letteralmente di tutto: momenti più sinfonici ed evocativi, intermezzi tribali dove le percussioni sovrastano tutti gli altri strumenti, schegge (cyber)punk ed episodi dove è la stessa new wave degli Oingo Boingo ad essere riportata in auge con una verve rinnovata e più attuale.
Meritano di essere citati i musicisti che accompagnano Elfman, determinanti nel dare una propria personale visione del materiale sonoro messo in piedi dal compositore in questa nuova e ingente opera: spiccano su tutti il batterista Josh Freese, membro dei Vandals – dai quali porta qui con sé il chitarrista Warren Fitzgerald – e al servizio di band come Devo, Weezer, A Perfect Circle, Guns N’ Roses e Nine Inch Nails e la polistrumentista Petra Haden, capace di spaziare da collaborazioni con Bill Frisell a partecipazioni in studio con i Sunn O))). I più esperti non mancheranno di notare come tra i tecnici del disco figurino Marc Mann e soprattutto Steve Bartek, due figure cardine nella carriera degli Oingo Boingo. Inoltre rilevante è la presenza di Nili Brosh, una delle chitarriste più tecniche e dotate degli ultimi anni. Infine il musicista più influente del lotto, ovvero il chitarrista Robin Finck, storico braccio destro di Trent Reznor fin dagli anni ’90, il quale sembra essere stato decisivo nel far sì che Big Mess si orientasse su tonalità marcatamente industrial, con grande impiego delle chitarre e dei sintetizzatori.
Ogni cerchio ha la sua degna chiusura e difatti alla produzione del disco troviamo almeno altri due assi del mestiere come Randall Dunn, colonna portante della musica estrema degli anni 2000 con le sue produzioni per Sunn O))), Boris, Anna von Hausswolff e Wolves In The Throne Room, e come ciliegina sulla torta Joe LaPorta, l’uomo che ha prodotto Blackstar di David Bowie e che qui si occupa del master finale.
Si capisce come questa pletora di eccellenti musicisti e produttori contribuisca ad alzare le aspettative al massimo, oltre a far capire su che lidi sonori i brani dell’album possano muoversi. I riferimenti principali rimangono infatti due su tutti: Trent Reznor e David Bowie; il primo sembra aleggiare sui momenti del disco più elettronici e spigolosi, come l’iniziale Sorry, e il secondo invece è preso come guida da Elfman per impostare il proprio timbro vocale, profondo e sinuoso alla stregua di quello del Duca Bianco negli ultimi anni di carriera.

Di fronte a un’abbondanza di musica come quella di Big Mess diventa difficile selezionare brani sopra la media, tenendo conto anche dell’ovvio talento compositivo e della professionalità dei musicisti e dei tecnici in campo. L’album gode di suoni perfetti e godibili sia nella controparte digitale che in quella fisica, con in particolare la versione su vinile che risulta avvolgente ed estremamente densa nella sua scena sonora.
Così tanta musica e così tanta eterogeneità rischiano però di diventare fin troppo ridondanti ed eccessive durante un singolo ascolto, tanto che in linea di massima Big Mess alterna una prima parte movimentata e di livello ad una centrale meno coinvolgente e giocata sui timbri orchestrali con tempi medio-lenti, per concludere con una nuova impennata dove protagonista è nuovamente il rock.
Contaminazione è poi l’altra parola d’ordine del disco, con un brano come Happy che inizia come una fucilata punk rock e alterna poi orchestrazioni da film Disney che disorientano e affascinano. Questa sovrapposizione di elementi rock, elettronici e sinfonici è la reale cifra stilistica dell’opera, che risulta in certi momenti perfettamente azzeccata ed in altri invece quasi forzata.
Forse la vera summa dell’album è da ricercare in un episodio tra i più personali ed intensi del disco, quella Everybody Loves You che si sviluppa su una ritmica ossessiva per sette minuti e mostra la fascinazione nutrita da Elfman per il Bowie di Earthling, mantenendo intatta la forte dimensione narrativa che deriva dall’impiego degli archi, i quali rimangono ancorati ad un contesto cinematografico ben definito. Le parole fluiscono nervose, come un flusso di pensieri sull’attualità inarrestabile e senza soluzione di continuità, mentre la musica si fa incalzante e la batteria di Josh Freese svetta sull’ensemble strumentale.
Gli archi vengono manipolati in maniera distopica e puramente industrial nella inquietante True, per la quale è stato realizzato anche un videoclip che rappresenta appieno le sensazioni morbose e disturbanti evocate dall’intero Big Mess.
Se invece vogliamo giustificare la presenza dei vecchi membri degli Oingo Boingo e il legame con il passato di Elfman ecco apparire sul finale l’episodio più new wave in scaletta, ovvero la cover di Insects proprio degli Oingo Boingo, contenuta in origine nel secondo album della band Nothing To Fear del 1982. Il brano è reso in maniera fedele all’originale, anche se le atmosfere si fanno per forza di cose più moderne. Il ritmo danzereccio di Insects, arricchito da chitarre più acide di quelle contenute nella versione dell’82, conclude il disco con un tono spensierato e divertente, assente in tutto il resto dell’opera.

Cosa dire dunque di un album che segue di ben trentasette anni la prima prova solista di una personalità oggi quasi intoccabile come Danny Elfman? Senza alcun dubbio siamo di fronte ad una dimostrazione d’amore smisurato per la musica a tutto tondo: Big Mess potrebbe essere rappresentato come un polpo dotato di lunghissimi tentacoli e laddove il corpo simboleggia la mente del compositore, i tentacoli invece sono tutte le influenze stilistiche che vanno a comporre l’opera finale. La definizione più adatta per descrivere l’album sembra essere proprio quella data dallo stesso autore e riportata qualche riga più in alto, anche se la “cacofonia” in questo caso non è da intendere nel suo senso letterale, ma semplicemente come un vaso di Pandora che dà accesso a un mondo sonoro imprevedibile e inafferrabile, sebbene sia legato a stilemi talvolta molto riconoscibili.
Per molti così tanta vastità di suoni, ritmi e melodie, legata ad una scrittura senza vistosi cali d’ispirazione, potrebbe rappresentare una vera manna dal cielo, soprattutto in questo periodo storico dove regna il cosiddetto “fast-food musicale”, ma è indubbio che un disco così vario, denso e dalla durata sostenuta mostri presto anche alcune criticità legate proprio – e quasi paradossalmente – alla fruibilità nell’ascolto.
Indubbiamente Big Mess si va a posizionare tra gli album memorabili del 2021 e si presta ad essere ascoltato ed apprezzato da una platea potenzialmente molto più ampia di quella che già apprezza Danny Elfman per il suo lavoro in campo cinematografico.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
69.5 su 2 voti [ VOTA]
gamba.
Domenica 20 Giugno 2021, 17.28.04
1
recensione molto completa, piacevole da leggere e che invoglia all'ascolto, recupererò sicuramente.
INFORMAZIONI
2021
ANTI- Records / Epitaph Records
Industrial/Alternative
Tracklist
1. Sorry
2. True
3. In Time
4. Everybody Loves You
5. Dance With The Lemurs
6. Serious Ground
7. Choose Your Side
8. We Belong
9. Happy
10. Just A Human
11. Devil Take Away
12. Love In The Time Of Covid
13. Native Intelligence
14. Better Times
15. Cruel Compensation
16. Kick Me
17. Get Over It
18. Insects
Line Up
Danny Elfman (Voce, Chitarra, Synth)
Robin Finck (Chitarra)
Nili Brosh (Chitarra)
Warren Fitzgerald (Chitarra)
Stu Brooks (Basso)
Sidney Hopson (Percussioni)
Joe Martone (Percussioni)
Josh Freese (Batteria)

Musicisti Ospiti:
Petra Haden (Voce)
Holly Sedillos (Cori)
Anna Schubert (Cori)
Danielle Withers (Cori)
Lyris Quartet (Archi)
Budapest Art Orchestra (Orchestra)
Budapest Scoring Orchestra (Orchestra su tracce 1, 9)
 
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