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07/02/25
LITTLE TIL AND THE GANGBUSTERS
CIRCOLO MAGNOLIA, VIA CIRCONVALLAZIONE IDROSCALO 41 SEGRATE (MI)
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02/12/2023
( 974 letture )
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Ci sono una serie di motivi per cui ai Funeral si può attribuire l’appellativo di band storica, ad esempio il periodo in cui sono usciti o l’impatto che hanno avuto per sottogeneri come il doom ed il gothic, così come l’influenza su molteplici band annesse ad entrambi i generi. Ma tra tutti questi motivi, ce ne sono principalmente due molto rilevanti. Si narra che i Funeral siano tra i primi, se non addirittura il primo gruppo in assoluto del funeral doom, anche se si tende ad attribuire l’attributo più a band come Tergothron e Skepticism, nonostante il nome della band potrebbe far pensare che la definizione del genere sia stata coniata prendendo spunto da esso. La leggenda dice anche che siano tra le prime band doom, se non addirittura la prima in assoluto, ad annoverare tra le proprie fila una cantante donna. E qui forse la cosa inizia a diventare credibile, perché i norvegesi faranno indubbiamente scuola da questo punto di vista, basti pensare ai connazionali Theatre of Tragedy, mentre in precedenza ai Funeral non si ha avuto riscontro di un simile approccio nel cantato femminile. La formazione tutta è di livello notevole e prevede come chitarristi Christian Loos e Thomas Angell, Anders Eek alla batteria, Einard Andre Frediksen come voce maschile munita di basso, e ultima ma non meno importante, la suddetta Tonii Snyes dietro il microfono. Le prime uscite dove si può avere un’idea di cosa facciano i Funeral sono i due demo, Tristesse e soprattutto Beyond All Sunset del 1994, ma è con Tragedies dell’anno successivo che incastonano la loro pietra miliare all’interno del doom e del metal in generale. Ritenuto tutt’ora dai più il capolavoro inestimabile della band, dove si ha la perfetta via di mezzo tra il death doom sulfureo dei primordi e gli elementi gotici che prenderanno inesorabilmente il sopravvento in futuro. Pensate un po’, è proprio l’album di cui parleremo oggi, quindi non si bada a spese.
Genericamente mi lancio in una terremotante recensione track by track, per la felicità dei lettori, che non aspettano altro per iniziare a martellarsi i cabbasisi, ma questo è uno di quei casi in cui bisogna fare un’eccezione. Principalmente perché l’album in sé fa parte di quei capitoli ormai istituzionali, che hanno fatto epoca, ai quali ormai i fan sono avvinghiati per il trasporto emotivo che l’ascolto porta, per cui sviscerare l’album soffermandosi sulla tecnica e sulla struttura compositiva renderebbe l’idea in modo superficiale, trascurando altri aspetti fondamentali. Uno di questi è l’unicità di quella che è l’atmosfera racchiusa all’interno del disco, così come la sua profondità dal punto di vista compositivo, esibita per la durata di un’ora, in cui si viene trasportati in una dimensione a sé stante, introdotta da un arpeggio acustico che lascia spazio nel giro di poco al cantato, ma che tornerà come leitmotiv a traghettarci in vari momenti dell’album, anche all’interno di una stessa traccia. Perché si poneva attenzione all’inserimento di una cantante donna in formazione, per questo semplice motivo. Tragedies è il momento di svolta nella discografia dei norvegesi, il disco in cui l’apporto della voce femminile diventa un elemento chiave, se non predominante, talmente caratteristico da stabilire un trend quasi obbligatorio nel movimento gothic doom che verrà, pur presentando numerose cantanti con timbri e soluzioni differenti. Ora la formula “beauty and the beast” è talmente inflazionata da farci sbadigliare, ma all’epoca un cantato così limpido su una base death doom doveva essere qualcosa di totalmente straniante, se non al limite del blasfemo. Basta ascoltare Moment in Black, dove la performance della Snyen è messa maggiormente in evidenza, ma in tutto l’ascolto i suoi vocalizzi sono messi costantemente in primo piano e reggono le redini per manifestare la drammaticità e il fardello emotivo della canzone. La voce è l’elemento più in risalto, certamente, ma non va messa in secondo piano la sezione strumentale, sorretta principalmente dai riff, che riescono ad alternarsi sia con la voce, come accade nella maggior parte dei casi, sia con la batteria, come avviene in Under Ebony Shades, dove ha spazio per uno stacco fatto di rullate quadratissime e scampanate sui piatti. Le chitarre hanno un suono quasi sludgy, sempre in slow tempo e con riverbero a mille, ma non lesinano momenti in cui il gain viene leggermente levigato. Altri elementi da non trascurare sono gli assoli, soprattutto nella traccia sopracitata e nella successiva Demise, durante la quale ci preparano per la conclusione. Il growl di Frediksen invece ha il compito di duettare con la voce principale, ma si concede anche dei momenti di sfuriate pure, che ricordano le fasi harsh e ferali dei demo, oltre a conciliarsi con il suono più zanzaroso delle chitarre. Un ultimo aspetto da considerare sono l’atmosfera e le sensazioni, dal momento che in tutta la durata del disco rimane sempre presente un senso di malinconia al limite della pesantezza, la quale si sente principalmente nella lunga When Nightfall Clasps, che potremmo definire quasi una lunga suite di oltre quattordici minuti, al cui interno è racchiusa la summa di quello che è il mondo dei Funeral. Nella conclusiva Moment in Black invece, si evidenziano maggiormente gli elementi ossianici e intrisi di dramma che caratterizzano il gothic, risultando a conti fatto un canto funebre con assolo posto prima della chiusura solenne. In realtà non è uno di quei lavori dove vengono richiesti molteplici ascolti o, meglio, la riproduzione del disco aiuta sicuramente a farsi un quadro completo delle sue caratteristiche multisfacettate, ma basta una prima passata sul lettore per avere un’idea di quello che si ascolta e sulla qualità del tutto.
La carriera dei Funeral si contraddistingue per la proposta sonora in costante mutamento, che si manifesta di album in album, in modo più o meno palese a seconda dei casi. Già dal successivo In Fields of Pestilence Grief la band virerà ancor maggiormente verso territori gothic, con tanto di inserimento del tastierista Kjetil Ottersen, e si potrebbe anche azzardare l’ipotesi di quanto l’ondata gothic sia avanzata salendo alla ribalta durante i sette anni che intercorrono tra i due album. Successivamente le sonorità della band subiranno ulteriori modifiche, andando ad arricchire il proprio sound anche con parentesi sinfoniche, che alleggeriranno nettamente l’incisività del gruppo rispetto alla prima fase di carriera, ma di contro continuano a garantire ai Funeral una propria personalità definita. I cambiamenti molteplici di sonorità sono dovuti però principalmente alle varie vicissitudini che hanno attanagliato ed inevitabilmente incrinato la coesione del progetto. Nel corso degli anni succederà di tutto, da numerosi cambi di lineup, che comprometterà la stabilità della formazione, fino alla morte di due membri storici come Christian Loos e di Einar Frediksen, che funesteranno la band fino a portarla ad un passo dallo scioglimento. Nonostante i momenti di difficoltà ed il periodo di decadenza dei Funeral, rimane intatto nella sua imperitura bellezza, refrattario al passare del tempo, il loro capolavoro Tragedies, il quale basta e avanza per tenere alto il vessillo dei norvegesi. Forse ancor più importante, ancor oggi a distanza di anni, rimane un passaggio obbligatorio per chiunque viva dell’oscura essenza di questo genere, che nella tragicità e nell’atmosfera funerea trova la sua ragione d’essere.
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6
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Sul discorso della Voce femminile, concordo con il Commento 3.. Fosse stata utilizzata sempre come nell\' ultimo Brano, più eterea e meno \"invasiva\", non ci sarebbe stato niente da eccepire.. Comunque grande Album! |
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5
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Concordo con quel discorso sotto sulle voci, ma in questo disco la quantità di riff ESALTANTI è IMPRESSIONANTE. Ergo voto indifferentemente dal 90 al 95. |
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4
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Band iconica, album iconico.
Doom over the world. |
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3
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Melodie ficcanti e sinistre come poche, Taarene \"pezzone\" come pochi. Peccato che il tutto sia (parzialmente) rovinato dalla esagerata predominanza della voce femminile che in questo genere, a mio parere, \"annacqua\" e indebolisce le canzoni. |
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2
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Questo è uno dei gruppi top del genere, da avere |
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1
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Under Ebony Shades è una delle mie tracce preferite di sempre. Complessivamente però gli preferisco di un poco From These Wounds, sempre e comunque considerando Tragedies un album da tenere sempre pronto all\'ascolto. Saluti a tutti. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Taarene 2. Under Ebony Shades 3. Demise 4. When Nightfall Clasps 5. Moment In Black
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Line Up
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Torii Snyen (Voce) Thomas Angell (Chitarra) Christian Loos (Chitarra) Einard Andre Fredriksen (Voce, Basso) Anders Eek (Batteria)
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